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"Prima che sia troppo amarti" di Annalisa Teggi

    Il Timone editore, 2024, pagg. 188.   Incipit "Se l'era cercata. Diana correva al buio pensando ai commenti sul suo necrologio. Non staccava gli occhi dall'unica luce davanti a sé. Aperti h24, un'insegna così anonima di giorno. Arrivarci, presto. Sentiva ancora addosso il fiato di alcol e sudore. Una voce roca era rigurgitata fuori da un angolo della strada. Un'ombra viva, arrabbiata o isterica si era sollevata da terra spalancando le braccia verso di lei. Un forte colpo a terra e una risata cavernosa. La stava rincorrendo?  O era rimasto in quel cantuccio nero di marciapiede?".   Pensieri luminosi Nel vocabolario   la parola "troppo" è sia un avverbio che un aggettivo e in entrambi i casi la definiscono come una quantità eccessiva, qualcosa più  del dovuto, più del giusto.  In definitiva sia che lo si qualifichi come avverbio o aggettivo, "troppo" ha un connotazione negativa e lo si può affiancare allo spreco come quello alimentare; o...

"Figli di ieri" di Elisabetta Sala

 

Edizioni Ares, 2024, pagg. 307.

 

Incipit 

"Monno, Valcamonica, 23 settembre 1965.
L'inizio della scuola era dietro l'angolo. Il bel sole di ieri non voleva tornare sui boschi, sui pascoli, sulle quattro case di pietra e sassi che parevano spuntare come funghi dal fianco della montagna. 
Costantino guardava la pioggia sbattere contro il vetro e formare rivoletti giallastri sul pendio, coi fili d'erba che si chinavano a ogni goccia che li colpiva. Più in là, i profili dei primi  faggi sprofondavano in una nuvola bassa che pareva un lenzuolo".
 
Pensieri luminosi

Ieri è un avverbio di tempo che indica il giorno precedente  rispetto a quello che scorre nel tempo in cui stiamo ora. Ieri come un momento passato, trascorso, finito, concluso nei suoi eventi ma che possono diventare una eco percepita debolmente o con più forza.
Il tempo di ieri ci pone spesso a ripensarlo con più o meno gioia, dolore, sofferenza o a non volerlo ricordare per nulla nel momento (scusate il gioco di parole) in cui lo si ricorda.
Leggendo questo romanzo di Elisabetta Sala ho riflettuto su questa parola di quattro lettere che ha smosso ricordi passati della mia esistenza e che diventa il mio passato, così da diventare io stessa figlia del mio ieri.
L'autrice mi ha stimolato a ricordare la mia infanzia, adolescenza e giovinezza di un tempo diverso da quello narrato, ma pur sempre un ieri colorato di ricordi, ideali, sogni, progetti di studio, lavorativi, familiari di una ragazza della generazione x, figlia di quei figli di ieri raccontati così bene.
E così Costantino, per tutti Tino,  il personaggio principale della storia mi ha chiesto di prenderlo gentilmente sottobraccio per mostrarmi il suo essere figlio di ieri, delle sue paure, dei suoi sogni da realizzare tra gli anni sessanta e settanta del Novecento.
Sì, perché Tino ha vissuto le lotte e le battaglie del sessantotto studentesco, un periodo che ha tracciato un solco profondo che prima non c'era, una nuova concezione di percepire l'esistenza,  lo studio, l'avvenire. Un domani, quello di ieri impastato di ideali, sogni forse troppo irrealistici, personaggi da idolatrare. Tino ha percepito sensazioni incredibili che l'hanno condotto tra le strade di Milano a manifestare, a gridare un nuovo pensiero che rompeva anni di tradizioni accademiche e non solo. Quelli come Tino volevano davvero un mondo diverso da quello dei propri genitori. Una ventata di novità accompagnata nel testo da diverse citazioni musicali che mi ha fatto ulteriormente assaporare quel periodo così tumultuoso.
Ma prima di Milano e della ventata di novità troviamo Tino a Monno, in Valcamonica, nel 1965 e ha dieci anni. Un bambino un po' timido e che sogna, un giorno, di diventare un eroe, di essere protagonista di un'impresa eroica che, qualche tempo dopo vedrà realizzare in modo del tutto impensabile. Studia alla scuola del paese e affronta i piccoli grandi screzi del bulletto di turno, il "Giagizza" insieme ai suoi fedeli amici Giulio, P.P. e Berto.
In questa realtà dall'aspetto bucolico un giorno, come un fulmine a cielo sereno arriva una disturbante novità. Lui, sua sorella e i suoi genitori devono trasferirsi a Milano, dove nuove opportunità lavorative sono più a portata di mano per la sua mamma ed il suo papà.
In questo brusco e necessario cambiamento Tino sente che un pezzo di cuore rimarrà sempre a Monno, tra quelle vallate.
Il tempo scorre veloce a Milano, una città in evoluzione costante, che sta per diventare una metropoli e che Tino rincorre soprattutto per non dispiacere i suoi genitori che fanno enormi sacrifici per mantenere la famiglia.
Gli anni sui libro lo portano  ad iscriversi al famoso liceo Beccaria dove Tino conosce non solo il sapere ma anche gli ideali della politica. Una capacità affabulatoria che non è data dai politici di professione ma da alcuni studenti poco più grandi di lui, in quel Piero che agli occhi del protagonista assume i connotati di un eroe, con le sue idee geniali, la sua passione oratoria che sembra sovvertire il sistema.
Tino conosce anche il professor Anselmi, un apparente eroe anche lui che trascina gli studenti nel suo circolo culturale in cui si parla di cinema, filosofia, religione, fede e si leggono romanzo e saggi.
Nonostante l'entusiasmo di queste sagge ed intelligenti figure, il protagonista sente dentro di sé una vocina malinconica e strana che non lo porta completamente ad abbracciare gli ideali sessantottini e si lascia trascinare da essi.
Ad un certo punto della storia tutto sembra cambiare e una serie di eventi forti e drammatici portano Tino a riconsiderare tutta la sua giovane esistenza e quelli ideali si schiantano al suolo d'improvviso con grande rumore. Avviene una destabilizzazione di certezze e persino l'amore per la giovane Sara con quella personalità così strana acquisterà un valore diverso. 
Il romanzo di Elisabetta Sala, descritto con grande maestria e sapienza, è dunque un affresco di un tempo, di un ieri che seppur non troppo lontano in realtà lo è, perché così profondamente diverso da oggi; quei giovani di ieri non esistono più ma hanno comunque lasciato un segno, hanno creduto anima e corpo in ciò che facevano e dicevano e per questo non  saranno mai dimenticati.


La mia lampada ha illuminato questa frase:
"Incredibile che, proprio mentre il mondo aveva bisogno di costruttori di una società nuova, fossero arrivati loro, con il loro fascio di energie, la loro fiducia nel futuro, la loro innocenza, il loro entusiasmo. Il mondo era lì per loro, il mondo era loro. Una responsabilità enorme, che dava le vertigini".
 
 
Gli oli essenziali da utilizzare durante la lettura
tre gocce di  limone e tre gocce di basilico
da sciogliere nel bruciatore di essenze con candela bianca neutra, per rendere propositivi nella comunicazione e nell'unità di ideali.
 
 
 
 
Un po' di luce sull'autrice
Elisabetta Sala, anglista e insegnante di liceo, è laureata in letteratura inglese e in letteratura russa.
 
 
 
 
Bibliografia essenziale

- "L'ira del Re è morte", saggio, Ares edizioni, 2008;
- "Elisabetta la Sanguinaria", saggio, Ares edizioni, 2010;
- "L'enigma di Shakespeare", saggio, Ares edizioni, 2011;
- "L'esecuzione della giustizia", romanzo, Ares edizioni, 2017;
- "Il cardo e la spada", romanzo, Ares edizioni, 2021;
- "Lev Tolstòj. Il fuoco interiore", saggio, Edizioni Ares, 2022;
 
 
INTERVISTA ALL'AUTRICE 
 
Grazie dottoressa Sala e benvenuta nel mio spazio letterario. Come è nata l’idea di questo nuovo romanzo? 
Grazie a lei! 
Lo considero il mio terzo romanzo storico, dopo i due ambientati nel Seicento, rispettivamente in Inghilterra e in Germania. Ho optato per un’ambientazione italiana e più recente, ma sempre di storia si tratta. I personaggi principali hanno preso forma quasi da sé; li ho collocati in mondi che in parte conosco, ma spostando indietro le lancette…. E così è nata la trama.
 
Da quali suggestioni si è lasciata trasportare per la scelta del titolo e per l’immagine di copertina? 
Di questo devo ringraziare la mia Editor, Chiara Ferla Lodigiani, e il direttore, Alessandro Rivali.
 
L’esergo che apre il romanzo “La vita è una strada di montagna: quando è dura, è perché sale; e quando pare tornare indietro avanza ugualmente” è dello scrittore e filosofo G. Cesbron. Perché ha scelto proprio un pensiero di questo autore piuttosto che un altro? 
Perché affronta in poche righe alcuni dei temi del romanzo: l’infanzia che si affaccia sul mondo e si chiede cosa sia la vita; la montagna; le nostre aspettative e la fatica di vivere; la sorpresa allo scoprire che la realtà non corrisponde alle nostre aspettative.
 
Il protagonista del romanzo è il giovane Costantino il cui desiderio è di diventare un “supereroe”. Secondo lei, nella nostra società, che significato assume questa parola? (Se ha ancora significato) 
“Non fare l’eroe”, si dice spesso. È questo il nostro mondo fatto di compromessi e cosiddette “comfort zones”. Ma i ragazzini non sono così. Loro sognano la giustizia che trionfa, il male sconfitto dal bene, uomini generosi che si sacrificano per gli altri. Costantino tiene il suo sogno acceso, come un tizzone sotto la cenere, fino al giorno in cui, inaspettatamente avrà la possibilità di riaccenderlo. Quanto alla differenza tra ieri e oggi, temo che la parola “eroe” sia ai giorni nostri solo uno dei sinonimi di “protagonista” di un racconto: niente che si possa applicare alla realtà.
 
I luoghi della narrazione sono due: la Valcamonica e la città di Milano a cavallo tra gli anni sessanta e settanta del Novecento. Quanto, secondo lei, l’anima della montagna e della città è cambiata nel corso del tempo? 
Tutto cambia, e molto. Nel bene e nel male, per fare un esempio, nessun paese è oggi isolato come poteva ancora essere negli anni Settanta. Da allora, il mondo intero è entrato in un vortice. Siamo tutti interconnessi, abituati a comunicazioni istantanee e spostamenti veloci, in campagna, in città, all’estero, dall’altra parte del mondo. Tutto questo risale proprio agli anni Sessanta e Settanta, quando, insieme alle auto economiche, cominciarono a diffondersi i cosiddetti “weekend” e le vacanze estive. Prima di allora, se ci si spostava era solo per motivi gravi, come accade nel romanzo per le famiglie di Costantino e Salvatore.
 
Gli anni raccontati in questa storia sono quelli della contestazione giovanile, delle lotte per qualche ideale, le riflessioni sulla vita; ragazzi e ragazze che con consapevolezza mettevano anima e corpo in ciò che credevano. Secondo lei, c’è rimasto qualcosa dello spirito di quella generazione nei giovani d’oggi? 
Purtroppo, no. Per fortuna, no! 
Mi spiego: quei giovani erano generosi e coraggiosi, impegnati, ingenui, a loro modo colti. Purtroppo i nostri giovani sono invece omologati, timorosi, con una forte tendenza a ripiegarsi su sé stessi. 
Quei giovani erano però anche facili prede i falsi idealisti, demagoghi e cattivi maestri, con le conseguenze che sappiamo. Meglio sacrificarsi per ideali sbagliati, come fecero molti di loro, o non avere ideali, come spesso capita ai giovani di oggi?
 
Nella narrazione c’è anche la tematica della religione, della fede, rappresentata dalla figura di don Pippo. Perché ha deciso di inserire anche questo tipo di riflessione nel suo scritto? 
Non è proprio una tematica: è uno “short” su come anche certo clero si sia lasciato ammaliare, in quegli anni e non solo, dal progressismo e dal modernismo. Oltre a perdere il sapore, come il sale evangelico, il rischio è rendersi ridicoli.
 
Tra le pagine del libro c’è il ricorso ad espressioni dialettali lombarde. Che significato ha voluto dare al racconto con tale scelta? 
Maggior realismo e, perché no, una tinta di colore locale; cercando al tempo stesso di evitare espressioni troppo criptiche o bisognose di note.
 
Cosa spera che il lettore porti con sé dopo la lettura del suo romanzo? 
Uno: l’intrattenimento! Una storia con una trama (non è così scontato), personaggi in cui immedesimarsi. Spero che il lettore porti con sé le spalle grosse di Tino, le trecce di Sara, il ciuffo biondo di Lorenzo e così via. Due (per chi ha vissuto quei tempi): il sapore agrodolce di certi ricordi. Tre (per chi non li ha vissuti): curiosità verso ciò che è stato e più non è. Verso un mondo in cui gli amici si andavano a cercare suonando il campanello, la merenda era pane e marmellata, le ginocchia erano sempre sbucciate.
 
Ha altri “progetti in cantiere”? 
Al momento sono coinvolta, insieme ad altri, in un progetto storico e culturale di ampio respiro che mi porta (con grande piacere) a dover studiare molto e non mi lascia tempo per la creatività. Ma non si sa mai…
 
Grazie infinite per il tempo che mi ha dedicato.
Di nulla! Un saluto.
 

 La scrittrice Elisabetta Sala
 
 
 
 
 
 

 

 

 

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