Il Timone editore, 2024, pagg. 188. Incipit "Se l'era cercata. Diana correva al buio pensando ai commenti sul suo necrologio. Non staccava gli occhi dall'unica luce davanti a sé. Aperti h24, un'insegna così anonima di giorno. Arrivarci, presto. Sentiva ancora addosso il fiato di alcol e sudore. Una voce roca era rigurgitata fuori da un angolo della strada. Un'ombra viva, arrabbiata o isterica si era sollevata da terra spalancando le braccia verso di lei. Un forte colpo a terra e una risata cavernosa. La stava rincorrendo? O era rimasto in quel cantuccio nero di marciapiede?". Pensieri luminosi Nel vocabolario la parola "troppo" è sia un avverbio che un aggettivo e in entrambi i casi la definiscono come una quantità eccessiva, qualcosa più del dovuto, più del giusto. In definitiva sia che lo si qualifichi come avverbio o aggettivo, "troppo" ha un connotazione negativa e lo si può affiancare allo spreco come quello alimentare; o...
Il Timone editore, 2024, pagg. 188.
Incipit
"Se l'era cercata. Diana correva al buio pensando ai commenti sul suo necrologio. Non staccava gli occhi dall'unica luce davanti a sé. Aperti h24, un'insegna così anonima di giorno. Arrivarci, presto. Sentiva ancora addosso il fiato di alcol e sudore. Una voce roca era rigurgitata fuori da un angolo della strada. Un'ombra viva, arrabbiata o isterica si era sollevata da terra spalancando le braccia verso di lei. Un forte colpo a terra e una risata cavernosa. La stava rincorrendo? O era rimasto in quel cantuccio nero di marciapiede?".
Pensieri luminosi
Nel vocabolario la parola "troppo" è sia un avverbio che un aggettivo e in entrambi i casi la definiscono come una quantità eccessiva, qualcosa più del dovuto, più del giusto.
In definitiva sia che lo si qualifichi come avverbio o aggettivo, "troppo" ha un connotazione negativa e lo si può affiancare allo spreco come quello alimentare; oppure il troppo tempo passato sui social è uno spreco, perché si potrebbe utilizzare quel tempo per camminare, passeggiare nella natura, guardare un bel documentario o studiare oppure instaurare amicizie più reali che virtuali.
Ma quando si parla di relazioni amorose che connotazione ha la parola troppo? Il troppo amore (in amore) lo si può misurare con il metro o porre su un piatto di una bilancia?
L'amore è un sentimento che si caratterizza per il suo afflato appassionato fra due individui che desiderano esclusivamente donare felicità l'uno all'altro in modo totale. Non si può quindi amare misuratamente perché ciò non sarebbe amore, ma soltanto smisuratamente e non lo si può conteggiare nella sua quantità.
Amare l'altro è un'esperienza totalizzante che coinvolge anima e corpo; è un cammino, non facile, che conduce in primis ad amare sé stessi.
L'amore in questo romanzo è una scintilla che ha la caratteristica iniziale in una sensazione olfattiva.
La giovane Diana, studentessa universitaria, incontra Ettore, rampante agente immobiliare e ne è colpita inizialmente per quel suo profumo che l'avvolge come un mistero che desidera ardentemente scoprire; vuole comprendere quali sfumature ha quella fragranza, ossia incontrarlo ancora e capire se l'essenza appena percepita nell'aria potrà diventare familiare nella sua vita.
Due vite che si incontrano in una Milano frenetica, a volte pericolosa, sempre impegnativa.
Lei e lui, stretti fra gli abbracci, vicini nelle loro fragilità, ma anche l'uno mistero per l'altra. Soprattutto Ettore nasconde dietro gli occhi chiusi un segreto, che crea nel tempo un solco nel fuoco dei sentimenti.
L'amore come una cascata impetuosa può rompere gli argini, spezzare rami, strappare radici.
Tutto allora deve essere rimesso in discussione e il tempo della riflessione, della sospensione è un tunnel buio che attraversa l'anima.
La scrittrice Annalisa Teggi ha raccontato con stile originale una storia non banale puntando l'attenzione secondo me sul mistero che l'innamoramento produce l'uno per l'altro, al richiamo dei sentimenti.
Ma il mistero è anche ciò che entrambi celano delle loro esistenze, svelate a poco a poco.
Ed è quell'amore che fa cadere le barriere interiori, perché diventa forza amorosa per cambiare, per essere e non apparire; essere pur con le proprie fragilità, essere per non scomparire nonostante tutto. Una ricerca di una bellezza d'amore che si nasconde fra le insicurezze e che si fa concreta in una spiaggia della Romagna.
Un luogo simbolo del termine di un cammino ma che ne aprirà, forse, uno nuovo fatto di energia e vigore diversi.
La storia è intensa attraversata da una narrazione frizzante e vitale, dove il palpito dei cuori si fa musica insieme a diverse canzoni citate fra le pagine che rendono il tutto armonioso; una amorosa armonia apparentemente conclusiva fra le onde di un mare in cui potranno magari "stare" due anime.
Interessante, molto ironica e tutta da scoprire anche la caratterizzazione di alcuni personaggi che ruotano attorno ai due protagonisti che rendono sfaccettata la visione generazionale della vita.
Buona lettura!
La mia lampada ha illuminato questa frase:
"Avranno avuto le loro battaglie, odissee e amori. E lunghi anni di attese, come Penelope. La sto rivalutando, mi era sempre stata antipatica perché non si schiodava da Itaca. Poi ho capito, la associavo alla malattia, il tempo perso del fai e disfa. Provi a rimetterti in piedi, un'altra botta ti stende. Ci abituano a pensare che i verbi delle persone felici siano quelli contrari allo stare. Correre, partire, smarcarsi, saltare, qualunque cosa è buona se è alternativa al rimanere fermi".
Gli oli essenziali da utilizzare durante la lettura: tre gocce di arancio e tre gocce di tea tree da sciogliere nel bruciatore di essenze con candela bianca neutra, per fare chiarezza nella mente in situazioni difficili cercando di metterci in pace con il mondo.
Un po' di luce sull'autrice
Annalisa Teggi dopo gli studi danteschi all'università, ha lavorato come traduttrice di narrativa e saggistica di lingua inglese, tra gli altri di G. K. Chesterton e C. S. Lewis. Collabora con testate giornalistiche nazionali.
Bibliografia essenziale
- "Capriole cosmiche. Da qui all'eternità (e ritorno) per mano a Dante e Chesterton", saggio, Lindau editore, 2014;
- Liberi e lieti. Fede e fraternità in san Francesco e don Giussani", saggio, Edizioni Francescane italiane, 2024.
INTERVISTA ALL'AUTRICE
Ciao
Annalisa e benvenuta nel mio spazio letterario. Vuoi parlarci un po’ di te?
Grazie di questa
occasione. Vivo in Romagna con la mia famiglia, sono sposata da 20 anni e ho 3
figli. Nel tempo, ho centrato la mia presenza sulla famiglia, lasciando al
lavoro uno spazio che non fosse invadente rispetto alla priorità di stare
accanto ai figli. Ho fatto studi umanistici
e il mio grande amore è Dante. Poi le occasioni della vita mi hanno portato a
fare la traduttrice di narrativa e saggistica di autori inglesi e, credo,
questo sia il mestiere che mi definisce di più. Anche quando collaboro con alcune
testate giornalistiche e mi occupo di cronaca, in fondo, traduco, cioè mi
immedesimo negli altri e il fatto che parlino la mia stessa lingua non
significa che non vadano “tradotti”, cioè compresi al di là di un superficiale
ascolto.
Come
è stata la genesi del tuo libro?
Non è stata una mia idea. L’editore che ha pubblicato
il romanzo mi ha fatto notare che i giovani leggono tantissimi romanzi rosa. Mi
ha chiesto se volessi cimentarmi con una storia d’amore che entrasse nel merito
di certe ferite attuali dell’affettività, aprendo però all’ipotesi che
innamorarsi possa essere un’esperienza che ci chiama alla vertigine –
bellissima e, però, sfidante – del plurale, del camminare verso il proprio
destino in relazione con qualcuno.
L’unica ipotesi che ha sostenuto il viaggio della
scrittura me l’ha suggerita la mia migliore amica: ricapitolare cosa avesse
significato per me innamorarmi.
Da
quali suggestioni ti sei lasciata trasportare per il titolo e l’immagine di
copertina?
Il titolo e la copertina
di un libro oggi hanno un’importanza cruciale. Perciò questa scelta è stata
fatta in squadra con la redazione della casa editrice. Quando tra le opzioni è
nata l’ipotesi di “Prima che sia troppo amarti”, tutti ne siamo stati colpiti.
E ci ho lavorato su, maturando una consapevolezza soprattutto sul “troppo”.
Siamo un tempo che misura, che vuole evitare lo spreco. Ma quando entra in
campo l’amore, lo spreco cambia senso: sentiamo che siamo fatti per un bene che
non usa la bilancia, ma lo spalancarsi di un abbraccio. La ragazza della copertina
corre, sembra andare incontro a una prospettiva che va «oltre».
L’esergo
al romanzo cita una frase del rapper italiano Guè Pequeno: “Dammi tutto allo
stato puro”. Perché hai scelto queste parole e nello specifico di questo
cantante?Mi è capitato di ascoltare «Brivido» di Guè in auto,
in uno dei tanti spostamenti quotidiani. Mi ha colpito perché toccava un
aspetto che avevo incontrato in autori della letteratura, trovarlo nella voce
di un rapper era insolito.
Guè elenca tutti i bonus della sua vita privilegiata,
soldi, donne, droghe. Riconosce un paradosso: agli eccessi manca qualcosa, un
«di più» essenziale che non sa nominare. Chiede di avere tutto allo stato puro.
La purezza non è una virtù tanto decantata, oggi. Dice di una visione chiara
che qui, nel tumulto quotidiano non c’è. Eppure resta il desiderio: ci sarà un
giorno in cui ci vedremo chiari?
La
vicenda di Diana ed Ettore è un viaggio nell’amore, fatto di ostacoli, cadute
ma anche di una compartecipazione di personalità che desiderano costruire
qualcosa. Secondo te, nella nostra società c’è ancora spazio nell’impegnarsi in
un cammino chiamato amore da parte dei giovani e non solo?
Mi scuso per le parole poco romantiche. Mi colpisce
che la cronaca sia piena di relazioni affettive che finiscono nella violenza di
un accoltellamento. Il coltello è un’arma che penetra nella carne, uccide
piantandosi dentro l’altro. Facendo un salto enorme, possiamo ricordarci che
per i Greci il contrario di “morte” non era “vita”, ma “amore”. Eros e Thanatos.
Penso che i ragazzi sentano che la posta in gioco dell’amore è un’avventura
grande, un incontro che penetra fino nell’anima per dare alla vita un valore
moltiplicato. Dobbiamo sostenerli a non ridurre la posta in gioco. L’amore è
uguale e opposto al coltello, va a fondo ma per piantare un seme. Ettore,
incontrando Diana, sbatte contro l’evidenza che amare non è usarsi a vicenda,
ma donarsi. Alla fine della storia lo lascio, attonito, di fronte a questa
possibilità.
Nella
vicenda citi nomi di cantanti che hanno fatto la storia della musica. Quanto è
stata importante l’arte musicale nel tuo percorso personale di vita?
Visto che l’ipotesi di scrittura iniziale
era quella di rivolgersi ai ragazzi, un’amica mi ha fatto notare che non potevo
omettere la musica. I giovani hanno sempre le cuffiette. E la musica è un
canale di comunicazione potentissimo, che sia Mozart o Sanremo. Quando Dante
decise di raccontare davvero il suo amore per Beatrice, lasciò da parte la
prosa e scrisse un poema che è fatto di 100 “canti”. Quando qualcosa ha davvero
un significato potente, non ci basta spiegarla, sentiamo il bisogno di
cantarla.
A me capita spessimo in auto, è uno dei
momenti creativi più forti. Ascolto di tutto, che sia un tormentone estivo o la
voce di un cantautore, e l’anima si accende. Affiorano pensieri ed emozioni che
si risvegliano solo con la musica.
Lo
stile narrativo che hai utilizzato per scrivere la storia ha elementi che
richiamano un linguaggio giovanile fresco e originale. Come mai hai optato per
questa sfumatura ulteriore oltre al consueto raccontare?
Il primo passo che ho
fatto è la scelta della terza persona, sentivo il bisogno di non cadere nella
tentazione di parlare dicendo «io». Credo che la scrittura possa essere
un’occasione per disinnescare l’egocentrismo sovrabbondante. Immedesimarsi in
un personaggio «altro» è un momento fecondo, fatto della fatica di non parlarsi
addosso e dell’ascolto di una voce che affiora e ha la sua unicità, la sua
storia.
So che il mio stile esige
un po’ di fatica al lettore, perché tendo a precipitare nell’intimità dei
personaggi senza troppi preamboli. È come quando arriva un amico e ha qualcosa
di importante da dirti, si va subito al dunque senza badare alle didascalie
tipo «si tolse la giacca». Vorrei proprio lasciare l’impressione che siamo già
«senza giacca», incontriamo l’altro, reciprocamente a nudo.
I
luoghi della narrazione sono la città di Milano e la Romagna con le sue
spiagge. Sono luoghi che hanno per te un posto speciale nella tua memoria?
Sì, sono nata e abito in Romagna. Mio marito è di
Milano. Anche se la storia di Diana e Ettore non ha niente a che fare con la
nostra, ho scelto di partire dai luoghi che conosco. Perché buona parte del
lavoro di scrittura è non cedere alla tentazione dell’astratto, è cercare di
incarnare sentimenti ed emozioni nel tattile, nel gusto, nei suoni. Quindi la
geografia domestica mi ha aiutato a stare ancorata al reale, a fare appello a
tutte le memorie sensoriali utili alla storia.
Cosa
vorresti che i lettori e le lettrici portassero con sé dopo aver letto il tuo
romanzo?
La vera sorpresa è vedere quel che accade a una storia
attraverso gli occhi e il cuore dei lettori. Sto raccogliendo gli appunti di
tutti i riscontri che ricevo, e il punto non sono i complimenti o le critiche.
Il punto è accorgersi che l’autore è solo la parte di innesco di quello che
accade quando nasce un racconto o un romanzo. Scopro cose imprevedibili da ogni
lettore, cose che non potevo immaginare e mi fanno riflettere. Il senso delle
storie è proprio questo: non c’è l’autore «che sa» e il lettore che «deve
capire». C’è un incontro di esperienze.
Hai
altri “progetti in cantiere”?
Sì, sto scrivendo. È il mio modo di sedimentare e
mettere in discussione quello che mi accade. Non ho nessun progetto editoriale
che mi impone di produrre qualcosa, ma sto solo e soltanto scrivendo. Non
saprei neanche bene motivare il perché, ma il mio sguardo si è orientato su tre
personaggi femminili che fanno i conti con il senso di colpa e la vendetta.
Vedremo, ascoltando queste tre donne, cosa succederà.
Grazie di aver condiviso
i tuoi pensieri.
Grazie a te.
La scrittrice Annalisa Teggi
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