IP Independently published, 2024, pagg. 353
Incipit
"Nel tranquillo villaggio di Ca' di Verdalba, adagiato su morbide colline, Nadine, una donna non più giovanissima ma con un fascino non ancora sfiorito, si svegliava ogni mattina con un senso di vuoto interiore. Le cicatrici del passato, invisibili agli occhi ma ben radicate nel suo essere, tingevano la sua esistenza di una sottile malinconia. Nonostante vivesse in un ambiente idilliaco, sentiva che la sua vita si stava consumando in una sorta di routine priva di colore e di passione. Le giornate si susseguivano in un perpetuo rincorrersi di gesti, imprigionandola in un mondo grigio e monocromatico, in cui ogni momento sembrava la replica del precedente. Eppure, nel profondo del cuore, avvertiva un richiamo, un'eco lontana che le sussurrava dell'esistenza di qualcosa di più grande, oltre i confini della sua routine quotidiana".
Pensieri luminosi
Volentieri, e grazie per l’ospitalità. Sono nata a Forlì, ma la vita mi ha condotta altrove. Mi sono laureata in Lingue Straniere all’Università di Roma, una scelta dettata dal mio grande amore per le culture e le lingue, e ho conseguito un Master in Cooperazione Internazionale a Bologna. Oggi vivo in questa città dove lavoro come traduttrice, sia tecnica che editoriale, e parlo fluentemente inglese, francese, olandese e spagnolo. È una professione che mi permette di intrecciare la precisione linguistica con la creatività, e di portare alla luce il significato più profondo dei testi con cui lavoro. Ho vissuto per diversi anni in Olanda, un’esperienza che mi ha arricchita non solo dal punto di vista linguistico, ma anche umano. Vivere all’estero mi ha insegnato ad avere uno sguardo più aperto e inclusivo verso il mondo, e questa prospettiva ha influenzato profondamente la mia scrittura. Scrivere è sempre stato il mio rifugio, un luogo dove poter esplorare le emozioni, le idee e le storie che porto dentro di me. Tuttavia, è solo di recente che ho deciso di condividere questa passione con il pubblico. Il mio primo romanzo, Il giardino dei gelsomini, ha visto la luce grazie a un premio letterario che mi ha incoraggiata a credere nel mio talento e a proseguire su questa strada. Parallelamente, ho sentito il bisogno di affrontare un tema che mi sta particolarmente a cuore: l’empowerment femminile. Questo mi ha portata a scrivere il saggio Il potere nascosto delle donne: da crisalidi a farfalle, un’opera dedicata ai diritti di genere e alla forza delle donne. È stato un grande onore avere la prefazione di Virginia Raggi, una donna che stimo per il suo impegno nella difesa dei diritti delle donne e delle tematiche ambientali. Oltre ai libri, ho scritto numerosi racconti, alcuni dei quali sono stati premiati in concorsi letterari e inclusi in antologie di autori vari. Inoltre, collaboro con diverse testate giornalistiche online, dove approfondisco tematiche che spaziano dalla cultura all’attualità.
La scrittura, in tutte le sue forme, è per me uno strumento potente: non solo per raccontare storie, ma per stimolare riflessioni e contribuire al cambiamento.
Come è nata l’idea del tuo romanzo?
L’idea del romanzo è nata durante un periodo di introspezione profonda, favorito da una lunga convalescenza che mi ha costretto a fermarmi e riflettere su alcuni momenti cruciali della mia vita. Ho voluto esplorare l’animo umano attraverso le vicissitudini di una protagonista femminile, dando rilievo alla sua dimensione emotiva, sentimentale e passionale. A differenza del mio saggio Il potere nascosto delle donne, dove ho messo in luce il potenziale razionale e l’empowerment femminile, in questo romanzo mi sono concentrata sul vissuto interiore e sulle fragilità che, se affrontate, diventano strumenti di crescita. Entrambi i lavori nascono dal desiderio di raccontare la forza trasformativa dell’esperienza umana, che può emergere tanto dalla ragione quanto dalle emozioni.
La dedica del libro è per tuo padre. Quanto è stato importante nella tua vita?
Mio padre è stato una figura fondamentale nella mia vita. Gli devo la vita, letteralmente, perché mi ha salvato quando avevo solo due anni. Era al mio fianco anche nei momenti più importanti, come durante il travaglio del mio primo figlio. Nonostante le differenze generazionali e politiche che a volte ci dividevano, il nostro rapporto è sempre stato autentico e profondo, basato su un legame indissolubile.
Il tuo scritto lascia trasparire spesso il contatto con la natura, con la nostra terra madre. Com’è il tuo rapporto con essa?
La natura è sempre stata la mia seconda casa, un luogo di conforto e rigenerazione, dove riesco a ritrovare me stessa nei momenti di tristezza o solitudine. È uno spazio che mi accoglie senza chiedere nulla in cambio, donandomi serenità con la sua semplicità e bellezza. Per questo ho sempre scelto di vivere in posti che mi permettessero di essere a stretto contatto con essa. In fondo, tutti noi proveniamo dalla natura, e a essa torneremo. È una verità che spesso dimentichiamo, ma che dovrebbe guidarci verso un maggiore rispetto e un amore più profondo per il nostro pianeta. Non possiamo rispettare ciò che non amiamo, ed è proprio questo amore che dobbiamo coltivare ogni giorno. Per me, la natura è la madre da cui tutto ha origine: una forza primordiale che ci nutre, ci sostiene e ci ricorda la nostra connessione con l’universo. Amarla significa proteggerla, riconoscendo che la nostra esistenza è profondamente legata alla sua salute e al suo equilibrio.
Una frase presente fra le pagine del romanzo dice così: “Il momento presente è l’unico momento che abbiamo per essere vivi”, pronunciata dal Jon Kabat-Zinn, biologo e fondatore della mindfulness. Quanto conta per te vivere il presente? E da che cosa è composto l’immanente nell’esistenza?
Vivere nel presente è essenziale, perché è l’unica dimensione di cui possiamo essere certi. Passato e futuro sono concetti astratti, esistono solo nella nostra mente e nella nostra percezione del tempo. La fisica quantistica ci ricorda che il tempo, come noi lo concepiamo, è una convenzione: tutto si riduce al "qui e ora", l’unico istante che possiamo davvero vivere e sperimentare.
L’immanente, poi, è un concetto filosofico che si oppone al trascendente. Rappresenta tutto ciò che appartiene al nostro mondo, ciò che possiamo percepire e vivere in prima persona, dentro di noi e intorno a noi. È ciò che ci rende umani, le emozioni, i pensieri, le esperienze quotidiane. Non possiamo pensare a qualcosa che vada oltre la nostra capacità di esperienza diretta.
In realtà, l’unica trascendenza possibile è proprio l’immanenza stessa. Più siamo consapevoli di noi e del mondo, più trascendiamo i limiti della nostra percezione ordinaria. Avvicinandoci alla consapevolezza del nostro essere, entriamo in una dimensione più profonda, quella che ci avvicina al sacro. La trascendenza non è un’esperienza lontana o separata, ma nasce dall’intensificarsi della nostra connessione con il presente, con la nostra interiorità e con la realtà che ci circonda. E così, nel cuore del presente, scopriamo la sacralità dell’esistenza.
Il valore della casa, fisico e interiore, è un luogo importantissimo per la protagonista Nadine. Lo è anche per te?
Assolutamente sì. Nadine mi
rappresenta profondamente. Per me, la casa non è solo un luogo fisico, ma una
dimensione dell’anima, un sentimento di accoglienza, appartenenza e sicurezza.
È nei legami che costruiamo con le persone care che troviamo il senso profondo
di “casa”.
Nel romanzo, la casa rappresenta sia un luogo fisico che un simbolo del mondo
interiore della protagonista. Gli oggetti vecchi e la necessità di rinnovamento
simboleggiano il peso delle emozioni irrisolte e il desiderio di rinascita. La metafora
della casa come anima riflette la sua interiorità trascurata e ferita, mentre
il desiderio di ristrutturarla diventa un bisogno di rigenerarsi e guarire.
Nel libro la protagonista e gli altri personaggi viaggiano spesso da un luogo all’altro del mondo. Anche a te piace viaggiare? C’è un luogo del cuore dove ritorni più spesso?
Sì, adoro viaggiare. Per me, viaggiare non significa solo scoprire nuovi luoghi, ma anche imparare qualcosa di nuovo su me stessa ogni volta. Il viaggio, nella sua essenza più profonda, è molto più di un semplice spostamento fisico da un luogo a un altro. È un’esperienza spirituale che ci permette di entrare in contatto con parti di noi stessi che spesso rimangono sopite nella routine quotidiana. Ogni viaggio, piccolo o grande, è una scoperta, una ricerca di significato, un'opportunità per crescere interiormente. Quando ci allontaniamo dal nostro ambiente abituale, lasciamo spazio al nuovo: nuovi paesaggi, nuovi volti, nuove culture, ma soprattutto nuove prospettive. In questo senso, il viaggio diventa un modo per esplorare non solo il mondo esterno, ma anche il nostro mondo interiore e ci offre l’occasione di guardarci dentro, di mettere in discussione le nostre certezze e di aprirci al cambiamento. C’è una dimensione quasi sacra, catartica nel viaggiare. Camminare lungo un sentiero di montagna, osservare un tramonto su un oceano sconfinato, ascoltare il silenzio di un antico tempio: questi momenti ci ricordano che siamo parte di qualcosa di più grande, che c’è una connessione profonda tra noi e il mondo. In ogni viaggio, si cela anche un ritorno: il ritorno a noi stessi. Le esperienze vissute, le lezioni apprese, le emozioni provate ci trasformano e ci rendono più consapevoli di chi siamo e di ciò che conta davvero. Il viaggio, allora, diventa una sorta di pellegrinaggio spirituale, una via per ritrovare il senso della vita e il nostro posto nel mondo. Come diceva Marcel Proust: "Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi." E forse è proprio questo l’aspetto più spirituale del viaggiare: la capacità di vedere con occhi nuovi, sia il mondo che noi stessi.
Non ho un vero e proprio luogo del cuore, ma se dovessi sceglierne uno, tornerei ai luoghi della mia infanzia, come il torrente vicino ai giardini di Ninfa, dove mi recavo spesso in bicicletta. La natura, come puoi vedere, è il mio richiamo più profondo.
Le pagine del romanzo mettono spesso in risalto la solitudine della protagonista, che è però carburante per ripartire con nuovo vigore. Anche per te è così o la solitudine ti fa paura?
Sì, è così anche per me. La solitudine, quando è una scelta consapevole, non mi spaventa, anzi, diventa un’occasione preziosa per riflettere, ritrovarmi e ripartire. Però c’è una grande differenza tra l’essere soli e il sentirsi soli: essere soli per scelta significa prendersi del tempo per sé, mentre sentirsi soli è una condizione più dolorosa, legata alla mancanza di connessione autentica con gli altri. La solitudine non è sempre legata all'assenza di persone intorno a noi; può manifestarsi anche in mezzo a una folla o accanto a qualcuno con cui non riusciamo a condividere visioni, valori o sensibilità profonde. È una sensazione che nasce dalla distanza emotiva, dall'incapacità di sentirsi compresi o autenticamente connessi. Può capitare di trovarsi accanto a qualcuno che, pur essendo fisicamente vicino, non ci conosce davvero fino in fondo, non riesce a percepire la nostra essenza, i nostri bisogni o il nostro mondo interiore. Questa disconnessione può amplificare il senso di isolamento, rendendoci quasi estranei in compagnia di altri.
La solitudine, se vissuta come uno spazio personale, invece, può essere una grande forza; al contrario, se subita, rischia di trasformarsi in isolamento.
Cosa speri che il lettore porti con sé dopo la lettura del tuo libro?
Spero che il lettore porti con sé emozioni autentiche, riflessioni su sé stesso e una nuova consapevolezza. Vorrei che trovasse nel libro spunti per interrogarsi sui propri desideri, paure e fragilità. Il romanzo invita a condividere il peso della sofferenza umana, riconoscendo che il dolore è parte della vita, ma può diventare un trampolino verso la crescita e la trasformazione. Mi piacerebbe che il lettore scoprisse la bellezza della fragilità in un mondo che spesso esalta potere, successo e apparenza. È nei nostri difetti e nelle nostre imperfezioni che si trova la vera essenza dell’essere umano. Essere fragili non vuol dire rassegnarsi, ma trasformare i propri limiti in uno slancio verso il miglioramento. Piangersi addosso non serve: solo affrontando le difficoltà con coraggio possiamo ritrovare dignità e luce.
Hai altri progetti in cantiere?
Ho appena concluso la scrittura di un romanzo storico e ho già iniziato a lavorare su un nuovo progetto. Mi piacerebbe anche raccogliere i miei racconti in un’antologia e scrivere ancora sul tema femminile, che è sempre stato al centro delle mie riflessioni.
Grazie di aver condiviso le tue riflessioni!
Grazie a te per avermi dato la possibilità di raccontarmi
La scrittrice Nadia Mari
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