Il Timone editore, 2024, pagg. 188. Incipit "Se l'era cercata. Diana correva al buio pensando ai commenti sul suo necrologio. Non staccava gli occhi dall'unica luce davanti a sé. Aperti h24, un'insegna così anonima di giorno. Arrivarci, presto. Sentiva ancora addosso il fiato di alcol e sudore. Una voce roca era rigurgitata fuori da un angolo della strada. Un'ombra viva, arrabbiata o isterica si era sollevata da terra spalancando le braccia verso di lei. Un forte colpo a terra e una risata cavernosa. La stava rincorrendo? O era rimasto in quel cantuccio nero di marciapiede?". Pensieri luminosi Nel vocabolario la parola "troppo" è sia un avverbio che un aggettivo e in entrambi i casi la definiscono come una quantità eccessiva, qualcosa più del dovuto, più del giusto. In definitiva sia che lo si qualifichi come avverbio o aggettivo, "troppo" ha un connotazione negativa e lo si può affiancare allo spreco come quello alimentare; o...
Einaudi, 2024, pagg. 436.
Incipit
"Era molto meglio prima, quando io non c'ero e non c'era nessuno dei miei fratelli, né vivi né morti. C'era solo mia madre che si rivoltava sul materasso del camerino e urlava: - Ammazzatemi, osta dla Madona, - e la Fafina rispondeva: - Sta' zèta, ché chiami il diavolo, - e andò avanti così per tre giorni e tre notti, finché mia madre lanciò un grido feroce e venne fuori Goffredo, il primo dei miei fratelli morti. Quando gli diedero lo schiaffo per farlo piangere lui non pianse, allora la Fafina scossò la testa e disse: - É segno che a Dio Cristo lassù gli bisognava un angiolino".
Pensieri luminosi
Qualche anno fa sono stata in visita ad una fornace di Murano, dove un maestro vetraio realizzava stupende opere di vetro. Ma il mio stupore si era in particolar modo fissato su una cosa, cioè di come il vetro, posto ad alte temperature, fosse così malleabile, morbido, duttile. Una plasticità davvero sorprendente che non la possiede più nel momento in cui si raffredda e allora appare in tutta la sua durezza, trasparenza od opacità.
Ma il vetro può anche essere fragile, soggetto alla rottura e i pezzi che rimangono possono essere taglienti, pericolosi.
È in una doppia caratteristica di questo materiale, di trasparenza e resistenza, di durezza, fragilità e opacità che ho riflettuto su questo romanzo.
Una narrazione che inizia con la morte di Matteotti e la contemporanea nascita di Redenta in terra di Romagna, precisamente a Castrocaro. Un tempo difficile, crudele in cui il fascismo sprigionava, come un duro vetro cupo, tutta la sua dannata violenza. Redenta è figlia di un "sortilegio" ed è destinata ad essere una "scarogna", destinata a morire presto.
Ma lei non muore, vive nel tempo, nonostante un grave deficit la colpisca qualche anno dopo.
È presente già in lei una sorta di ostinato orgoglio risoluto, desiderio, una sorta di istinto di sopravvivenza che l'accompagnerà per il resto dei suoi giorni.
Giorni amari quelli che vive, insieme alla sua umile famiglia, fatta di sacrifici, povertà, indigenza, come molti del paese e che la ritengono una ritardata mentale.
Nel paese vive anche Bruno, che la prende subito sotto la sua ala protettrice, che la difende dai gradassi e prova per lei un tenero affetto, ma che per motivi inspiegabili farà successivamente perdere le proprie tracce.
Nel frattempo Redenta, viene data in sposa ad un gerarca fascista, Vetro, dall'aspetto gentile ma che si farà presto riconoscere da lei in tutta la sua agghiacciante cattiveria, un vetro opaco, torbido, che incrocerà anche la vita di Iris, altra protagonista del romanzo.
La vicenda narrata da Nicoletta Verna, attraverso il racconto di storie intime, racconta la Storia del nostro paese, di alcuni eventi tragici della seconda guerra mondiale di quei luoghi, di ciò che ha preceduto il conflitto, le basi sulle quali il ventennio fascista ha preso piede e dall'altra parte, il desiderio impellente di ribellarsi, resistere e combattere soprusi e malvagità.
Con tono rigoroso, dolente ma al contempo confidenziale, l'autrice attraverso anche l'uso del linguaggio vernacolare romagnolo, mi ha donato un racconto intimo, commovente. Una storia corale, dalla quale però emerge in tutta la sua forza e fragilità la figura di Redenta, mite, con un viso angelico, debole come un vetro che sta per spezzarsi, ma una fragilità che resiste nel tempo.
Un tempo che lei e un'altra protagonista, Iris, dedicano al bene dell'altro che diventa bene nei confronti dell'umanità vessata.
L'autrice alterna due piani narrativi delle due figure feminili; due voci, l'una umile, l'altra acculturata che ad un certo punto si incontrano, ruotano attorno alla figura di Vetro, essere che dire inumano è poco e rappresenta il cuore di tenebra del fascismo, nelle sue più abbiette azioni, ma che vive di una fascinazione perversa, grazie anche ad una sua menomazione.
Questi tempi e quei luoghi, non così troppo lontano da noi, li ho vissuti nello sguardo apparentemente sfuggente di Redenta, una figura che non dimenticherò facilmente e farà ancora rumore dentro di me. Lei, posta ai margini di una società essa stessa emarginata, ma che possiede un mondo emotivo immenso, e salvaguardia chi ama nei modi più impensabili, si sacrifica con le sue esili energie. E al contrario di ciò che pensa la gente del borgo non è "purina", ma vede, osserva come con la coda degli occhi ciò che gli altri non vedono e il suo sguardo resiste, è coraggioso davanti le brutture del suo tempo. Vetro fragile all'apparenza che non si rompe, ma si fa luce e si sprigiona in infinite direzioni, illuminando al contempo la vita e la morte, il dolore e la speranza, quella che dopo la guerra era un piccolo bagliore, un futuro migliore.
Durante la lettura ho pensato all'esperimento di Newton, in cui un raggio di luce bianca attraversa un prisma scomponendosi in sette colori. Colori come alcuni personaggi del romanzo che, pur in modi diversi, hanno dato colore alle loro esistenze.
La mia lampada ha illuminato questa frase:
"Avevamo gusti diversi, idee a rovescio, eppure mi sembrava l'unico che sapeva capirmi. Perché avevamo una cosa uguale: ci sentivamo estranei al mondo, sebbene per motivi contrari. Io perché avevo paura di tutto, lui invece perché aveva troppo coraggio, e questo lo allontanava dalla gente. Vedeva solo quello che era giusto e quello che era sbagliato, e invece gli altri vedevano prima quello che gli conveniva, e dopo, forse, parlavano di giustizia".
Gli oli essenziali da utilizzare durante la lettura:
tre gocce di pompelmo e tre gocce di rosa, da sciogliere nel bruciatore di essenze con candela bianca neutra, per avere la capacità di far fluire la forza necessaria al corpo e alla mente e riscoprire un coraggio tutto al femminile.
Un po' di luce sull'autrice
Nicoletta Verna (Forlì, 1976) è una scrittrice italiana, laureata in Scienze della Comunicazione. Vive a Firenze dove si occupa di web marketing nel settore editoriale. Ha tenuto corsi su teorie e tecniche della comunicazione ed è autrice di saggi sui media, collaborando inoltre all'Enciclopedia Garzanti della radio.
Bibliografia essenziale:
- "Il valore affettivo", 2021.
La scrittrice Nicoletta Verna
Commenti
Posta un commento