Edizioni Voland, traduzione di Giulia Di Filippo, 2023, pagg. 161.
Incipit
"Mi guardano e mi sorridono. Mi parlano a voce alta e molto lenta, come se fossi lo scemo del villaggio. Mi guardano e mi sorridono, lei mi ha salutato con la mano, da lontano, lui non lo fa mai. Io ho alzato una stampella come se fosse la mia mano e mi sono avvicinato, a piccoli passi, verso di loro. Quando sono arrivati in paese erano loro ad avvicinarsi a me, ma adesso sono rimasti lì, muovono i piedi impazienti, anche se sorridono. Mi sa che che non li vedevo da un po'. I giorni passano e a volte non mi rendo conto di quanti ne sono passati. Torno non so da dove, se da un pensiero o da un sogno, e ho l'impressione di aver trascorso molto tempo con gli occhi chiusi, come se per un po' fossi morto, perché no so dove sono stato né con chi, se ho pensato o mi sono mosso, se ho mangiato o cacato".
Pensieri luminosi
Spesso si dice che per "poter vedere", cioè poter comprendere, si devono chiudere gli occhi e darli al nostro cuore. Solo così ciascuno riesce a percepire ciò che è necessario, vitale, significavo, ciò che necessita della nostra attenzione.
Con gli occhi chiusi si può vedere l'essenza, conoscere in profondità e quella stessa profondità può far male, ma forse è proprio in quel momento, mentre osserviamo il nostro buio interiore e lo guardiamo con coraggio e forza che da quella landa desolata è possibile riemergere con una nuova lente di comprensione. Ma gli occhi possono rimanere chiusi anche quando non si desidera vedere, perché è talmente orrendo ciò che si vede, angosciante, insopportabile che si desidera solo dimenticare perché fa paura, scuote dentro, fa vergognare.
Atteggiamenti diversi, per una storia che ha al suo interno diversi occhi che scrutano, si chiudono, si spalancano, sono dolenti, arrabbiati, annichiliti, insonni.
Occhi di una comunità spagnola che vive a Pueblo Chico in Spagna, per lo più formata da anziani che ricordano un passato duro, difficile, misterioso ed enigmatico.
Ma un giorno lì arrivano Ariadna ed Eloy, che hanno nei loro occhi la speranza di riallacciare il legame della loro storia d'amore.
Una relazione che inizia a scricchiolare, così lei ha pensato di allontanarsi insieme dai ritmi frenetici della città per ritrovarsi in un luogo tranquillo per ri-mettere occhi negli occhi.
Ma c'è un laccio invisibile che inizia a stringersi attorno ad Ariadna e ad un anziano del posto, un certo Pedro e per Eloy in questo laccio non sembra esserci posto.
Pedro un tempo lontano, durante la dittatura di Francisco Franco, portava al pascolo gli animali e, orfano dei genitori, era stato accolto da Teresa e dai suoi figli.
In questo legame tra il passato e il presente si snoda una vicenda fosca, torbida, in qualche momento persino gotica in cui nebbie fitte e vento forte persistente sembrano portare alla luce i sussurri, le grida, le immagini di un trascorso che si ripercuote fatalmente nel presente.
In questo mondo contadino arcaico Ariadna procederà con passo incerto e pieno di paure, ma lo affronterà comunque e conoscerà una verità ruvida, agghiacciante.
La scrittrice basca mi ha rivelato una vicenda che ha tanti occhi, mille sguardi, infinite sfumature e più piani di verità.
L'ho letto tutto d'un fiato con i miei occhi desiderosi di leggere l'ultima parola dell'ultima pagina.
Un romanzo che svela paure individuali che determinano però le inquietudini di qualcosa di più grande e che purtroppo ha avuto il suo carico di vittime mentre i carnefici si nascondevano fra i cespugli della Sierra.
Ma allora non si devono chiudere gli occhi davanti alle ingiustizie della dittatura franchista, non si deve dimenticare e lì a Pueblo Chico non si dimentica perché lì ogni pietra, ogni albero, ogni gola, ogni zolla di terra ha occhi che ricordano.
Passato e presente si incontrano in questo crocevia di mondo; una Sierra malinconica dove Ariadna prova a raccogliene l'eredità.
Una scrittura delicata e forte, sentita e ipnotizzante quella dell'autrice che delinea uno spazio-tempo che come una fisarmonica si allunga e si accorcia e a suonarla è l'anziano Pedro che racconta una storia in equilibrio fra sogno e realtà e in cui anche gli oggetti hanno un che di stregato, dannato.
Una riflessione sulla memoria da tramandare e non dimenticare e su un silenzio per troppo tempo taciuto, colpevolmente.
Durante la lettura ho immaginato un cespuglio rotolante
mosso dal vento. Staccato dalle radici della sua pianta rotola e
disperde nell'aria i propri semi, come piccoli pezzi di verità.
La mia lampada ha illuminato questa frase:
"Nel paese dai confini invisibili che segnavano la linea di separazione tra essere e non essere ci sono luoghi che ancora ricordano, luoghi dove, se ti fermi ad ascoltare con attenzione, puoi sentire voci che raccontano cose del passato. Ma devi volerle ascoltare. Purtroppo, riescono a sentirle solo coloro che già conoscono le storie di questi luoghi. Gli altri, chi è stato causa delle vicende o chi le conosce ma non ne parla per paura o per vergogna, negano l'esistenza di queste voci. Ma sono lì, negli spazi più reconditi, oscuri, più..."
Gli oli essenziali da utilizzare durante la lettura:
tre gocce di cannella e tre gocce di rosmarino, da sciogliere nel bruciatore di essenze con candela bianca neutra, per ritrovare il calore dei sentimenti e riformulare pensieri chiari.
Un po' di luce sull'autrice
Edurne Portela (1974, Santurzi, Spagna) è una scrittrice spagnola. Ha vissuto a lungo negli Stati Uniti, dove ha conseguito un dottorato in Letterature Ispaniche presso la University of North Caroline e ha insegnato Letteratura latinoamericana e spagnola in Pennsylvania. Dal 2016 risiede a Madrid, dove si dedica alla scrittura, collaborando con quotidiani e periodici.
Bibliografia essenziale
- "Meglio l'assenza", Lindau Edizioni, 2019;
- "Forme di lontananza", Lindau Edizioni, 2020.
La scrittrice Edurne Portela
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