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"Lisa Cannella. Diario di un burnout" di Elisabetta Ferone

  Bookabook editore, 2024, pagg. 151.   Incipit "Ma voi la conoscete la leggenda delle cappuzzelle del Palazzo Donna Elena? Mo ve la racconto un'altra volta, la dottoressa forse non la conosce. La signora Maria ha questo forte legame con il Donna Elena, come lo chiamano da queste parti, ed è impossibile evitare di fermarsi con lei almeno una volta passando di qui. Tutti devono essere informati della leggenda che interessa il palazzo. Ogni faccia nuova deve necessariamente sapere. Una tappa obbligata, un dazio".   Pensieri  luminosi  Il burnout è quell'insieme di sintomi che provengono da una situazione stressante continuativa legata ad un contesto lavorativo. In un quadro così logorante a livello psico-fisico la persona non riesce più a disporre delle sue risorse per fronteggiare un tale logoramento. Ecco che allora si arriva ad un punto tale che non si è più capaci di rispondere, fronteggiare una situazione complessa e si va incontro a sintomi molto spiacevoli,...

"Lisa Cannella. Diario di un burnout" di Elisabetta Ferone


 

Bookabook editore, 2024, pagg. 151.

 

Incipit

"Ma voi la conoscete la leggenda delle cappuzzelle del Palazzo Donna Elena? Mo ve la racconto un'altra volta, la dottoressa forse non la conosce.
La signora Maria ha questo forte legame con il Donna Elena, come lo chiamano da queste parti, ed è impossibile evitare di fermarsi con lei almeno una volta passando di qui. Tutti devono essere informati della leggenda che interessa il palazzo. Ogni faccia nuova deve necessariamente sapere. Una tappa obbligata, un dazio".
 
Pensieri  luminosi 
Il burnout è quell'insieme di sintomi che provengono da una situazione stressante continuativa legata ad un contesto lavorativo. In un quadro così logorante a livello psico-fisico la persona non riesce più a disporre delle sue risorse per fronteggiare un tale logoramento.
Ecco che allora si arriva ad un punto tale che non si è più capaci di rispondere, fronteggiare una situazione complessa e si va incontro a sintomi molto spiacevoli, fino ad disturbi d'ansia e demotivazione.
Le professioni più colpite sono le cosiddette "helping professions", cioè tutte quelle professioni sanitarie ed assistenziali che prevedono una interrelazione con le persone oggetto di cura come infermieri, medici, insegnanti, psicologi, assistenti sociali.
E proprio la figura di un'assistente sociale, Lisa Cannella, e del suo stress lavorativo è narrato in questo romanzo, ma non solo.
La vicenda si svolge a Napoli, che assurge a personaggio importantissimo e misterioso ed è proprio a partire da questa città che desidero riflettere su questo libro. Il capoluogo partenopeo viene descritto dall'autrice già nelle prime pagine come un luogo di tradizioni, misteri e leggende che si snodano tra  i vicoli e le stradine.
La narrazione ci conduce nel ventre della città buio e misterioso in cui la stessa protagonista, suo malgrado, sarà costretta ad immergersi.
Questo attraversamento nei meandri più scuri e profondi è funzionale e in un certo senso simbolico del percorso di Lisa, nel suo ristabilire una connessione con sé stessa, non prima di aver attraversato la parte del suo io più profondo per poi, coraggiosamente, risalire e chissà anche rifiorire.
Il percorso di Lisa è raccontato dall'autrice sotto forma di diario, una scelta che rafforza l'empatia per la protagonista. Il diario, infatti, è uno stile narrativo che pone la "nudità" dell'essere, del sentire, del percepire e l'intensità di questi verbi sono come l'eco che si riverbera in ogni cellula del suo corpo e fa capolino sino alla mente.
Sì, perché in questa vicenda di  sofferenza c'è la complessità del disagio di un lavoro che un po' alla volta si fa cronico, maledettamente straniante con conseguenze che si faranno sentire anche nella sfera privata. Lisa lavora con amore, con passione e cerca, dove possibile, di fronteggiare situazioni gravi e complesse. Mi ha colpito molto lo scavo psicologico della protagonista da parte dell'autrice, anch'essa assistente sociale, il suo essere per gli altri, il suo desiderio profondamente umano di affrontare l'esistenza e quindi con tutte le fragilità del caso. Lisa sente il suo lavoro come una missione, cerca sempre di fare del suo meglio, ma questo a volte non basta perché ci sono situazioni che sono complesse da indagare e rimangono in un cono d'ombra a volte molto difficile da comprendere.
Si sente investita di una grande responsabilità, cerca di essere sempre presente, motivata ma a volte di risposte non ce ne sono da dare. Ecco che allora nasce in lei quel senso di malessere, di angosciosa impotenza davanti a realtà degradate, frantumate. Un degrado che si irradia anche nel posto di lavoro, un luogo grigio, poco stimolante, asfissiante come è la sua interiorità nel consumarsi di un giorno dopo l'altro. Nel diario Lisa racconta anche della sua vita privata, il suo focolare domestico. Un casa, il nido nel quale rifugiarsi davanti a quel malessere, dove sveste i panni della professionista e indossa quelli di madre e moglie. Questo è un nodo centrale della vicenda e per certi versi salvifico, perché la famiglia diventa un luogo di tenerezza, di rallentamento della tensione. Ma il pericolo che il burnout invada anche quegli spazi è dietro l'angolo e ad un certo punto del racconto questo pericolo diventa tangibile, reale.
Ma, nonostante tutto, come un filo sottile c'è nella storia un pensiero felice ogni giorno, cioè in quel desiderio da parte di Lisa di ritrovarsi con qualcosa di "bello " tra le mani, nell'amore per il marito Gianni e l'affetto profondo per i suoi figli. Da qui, dai legami intimi dovrà ripartire per trasformare il dolore in linfa nuova.
In questo romanzo c'è tutta l'intensità emotiva di chi opera per gli altri e ne desidera solo il meglio, in quella nobiltà d'animo in cui tutti ci possiamo riconoscere nella quotidianità della nostra esistenza. 
L'autrice ci offre con sincerità e onestà una vicenda che, come un percorso ad ostacoli, raggiunge la consapevolezza dell'esistenza di un problema e come tale va affrontato con coraggio per ritrovare quell'amore per sé stessi, in una sorta di cura interiore necessaria per andare avanti.
  

La mia lampada ha illuminato questa frase:
"Tepore. A dire il vero, non ricordo bene l'attimo preciso in cui ne ho scoperto l'esistenza. Ma una cosa è certa: da che l'ho incontrata, ispirata, annusata, abbracciata, non l'ho più lasciata. É una parola luogo buono, luogo sicuro. Mi suggerisce un'idea di protezione e di calore allo stesso tempo".
 

Gli oli essenziali da utilizzare durante la lettura: tre gocce di arancio e tre gocce di cannella da sciogliere nel bruciatore di essenze con candela neutra per regalarci un pensiero felice, un sorriso quando tutto sembra buio e riattivare le nostre forze.
 

 

Un po' di luce sull'autrice
Elisabetta Ferone (Napoli, 1986) da anni svolge il ruolo di assistente sociale a Napoli, una città che ama tantissimo e nella quale si sente quotidianamente immersa nella sua cultura, tradizioni e colori. Questo suo primo romanzo nasce dall'incontro tra il suo intenso vissuto professionale e la sua profonda passione per la scrittura.

 

INTERVISTA ALL'AUTRICE  

Ciao Elisabetta e benvenuta nel mio spazio letterario. Vuoi parlarci un po’ di te?
Ciao Elisabetta e grazie per l’opportunità di conoscerti e di incontrarti, questa mi pare sempre una bella cosa. Cosa dire di me. Sono nata a Napoli, dove vivo e lavoro da sempre.  Adoro la mia città. Mi fa sentire sempre turista, anche se in terra madre. Sono mamma di due bambini. La famiglia, questo dono gioioso che vivo e coinvolgo nelle mie esperienze e nella creatività che mi contraddistingue. Adoro viaggiare, adoro camminare, osservare, stare con le persone. Mi sento grata alla vita per farmi vivere, questo mi aiuta ad affrontare le circostanze tutte che la vita propone ad ognuno di noi. Vorrei fare sempre tante cose, dal cucito, al disegno alla manualità, al volontariato al lavoro. Questo comporta che devo necessariamente bilanciare la mia voglia di fare, inventare, creare, con la necessità di dedicarmi alle faccende di vita ordinaria.

 

Come è stata la genesi del tuo romanzo?
Ho iniziato a scrivere questo romanzo perché per me per scrivere è concretizzare pensieri. Il livello embrionale non era un romanzo, era una raccolta personale di pensieri che solo successivamente ho provato a raccogliere e condividere. Un modo terapeutico per venire fuori da un momento critico, pericoloso e faticoso che si era delineato a lavoro. Poi ho iniziato a contestualizzare, creare un personaggio, un’ambientazione. Un po’ come quando fai uno schizzetto a matita e poi lo ampli, lo colori, lo collochi in un luogo, in un tempo. Come per ogni libro, ho fatto ricerche, ho approfondito aspetti narrativi. Perché la creatività deve inevitabilmente essere integrata da un’architettura. Poi, ho compreso che doveva avere una struttura ben precisa. Doveva avere passaggi brevi, definiti. Dei flash che colpiscono, che affondano. Anche però dei passaggi soffici per ammortizzare colpi duri. 
 
Per la scelta della copertina, invece, da cosa ti sei lasciata ispirare? 
Adoro la copertina! Volevo proprio esprimere l’idea della protagonista che passeggia tra i vicoli di Napoli mentre riflette, ragiona, pensa. Anche la scelta cromatica mi è piaciuta. La casa editrice ha accolto il mio pensiero, realizzando con i grafici quello che avevo in mente. 
 
La dedica del tuo libro è per tuo marito. Quanto è importante nella tua vita? 
Mio marito è il mio amico di sempre, il mio fidanzato, il padre dei miei figli. Soprattutto è la persona che mi lascia libera di sognare, sperimentare, sbagliare e ricominciare. È colui che si è accorto del mio malessere per primo. Ed è sempre colui che mi ha sostenuto, credendo in me, restituendomi il punto di vista positivo delle cose. Un Natale di qualche anno fa, mi ha lasciato un pacchettino sotto l’albero. Dentro c’era un biglietto: non smettere di sognare.  Sotto questo biglietto c’era una iscrizione alla scuola di scrittura creativa Holden. Mio marito è la persona che stimo prima ancora di amare perché senza la sua visione di me a trecentosessanta gradi, non sarei riuscita a fare tutte le tante cose che faccio. È la mia squadra. È la nostra squadra.
 
La città di Napoli, dove è ambientato il tuo romanzo, assume grande valore, quasi da essere un altro personaggio della storia. Mi è piaciuto molto lo scavo psicologico dei personaggi che scorre parallelo alla descrizione dei vicoli sotterranei e più nascosti della città. Quanto una città può essere di ispirazione nella costruzione di una storia? 
Napoli è protagonista indiscussa. La madre di Lisa rappresenta Napoli. Proprio per simboleggiare la saggezza, il senso educativo di supporto e accompagnamento. Un paio di anni fa ero in viaggio in Provenza con mio marito e i miei figli e pensavo: è ovvio che qui siano nati gli impressionisti. Una risposta a quelle zone della Francia molto naturale. Napoli fa lo stesso effetto. È impossibile viverci e non sentirsi ispirati. È una città veramente particolare. Sembra di essere continuamente parte di un romanzo noir, giallo, rosa, che vivi partecipandola. È curiosa. Ha muri che parlano e terra che respira. Ed ha una cultura popolare antica che, se recuperata, è veramente profonda.  
 
Lisa Cannella lavora con le persone e i loro drammi interiori. Come assistente sociale ad un certo punto va incontro al cosiddetto “burnout”, uno stress cronico associato al lavoro che svolge. Anche tu come Lisa svolgi la professione di assistente sociale. Ti è mai accaduta la stessa cosa nella tua esperienza lavorativa? Come ne sei uscita? 
Come dicevo è successo anche a me. Ed è successo con mia grande sorpresa perché non pensavo potesse accadere a me, proprio a me. Mi sono fermata, ho recuperato le energie, poi sono ripartita. Con il supporto della famiglia e degli amici di sempre. I personaggi del mio romanzo, infatti, hanno i nomi dei miei amici di sempre. Ce l’ho fatta a ripartire perché ho trovato accoglienza, assenza di giudizio. Il mio auspicio è che possiamo avere tutti questo atteggiamento nei confronti di tutti. Per poter essere gli uni supporto per gli altri. 
 
Il romanzo è raccontato in prima persona in forma diaristica. Perché hai scelto questa modalità piuttosto che un’altra? 
Questa per me è stata una priorità fin dall’inizio. Il romanzo doveva risultare intimo, passionale, coinvolgente e soprattutto, doveva trasmettere vicinanza. Avevo necessità di parlare e arrivare alle persone. Questo è forse un aspetto che mi caratterizza personalmente. La condivisione delle esperienze ci avvicina, accorcia le distanze. Ci fa sentire meno soli. Ci fa sentire compresi. Il diario apparentemente è una zona individuale dell’animo, quasi segreta. Credo invece che, se condivisa, è quanto di più comune ci possa essere. Perché a carte scoperte, il mio diario è il diario di tutti. Il lettore si riconosce. Vive con te e rivive ciò che ha vissuto. È una forma potente di comunicazione. 

Il tuo lavoro, come ho già osservato prima, è molto stressante, ma se provassi a pensare invece a cosa ti ha donato in tutti questi anni di lavoro con che parola lo definiresti? 
In questa circostanza ho volutamente mettere in luce un aspetto critico e potenzialmente pericoloso del mio lavoro. Ho captato questo fenomeno di sofferenza osservando i colleghi più navigati, da quando ho iniziato a svolgere la professione. Ho osservato il fenomeno, poi l’ho vissuto e l’ho sperimentato vivendolo. Ovviamente non è solo questo. In una parola lo definirei arricchente. Credo che noi tutti assistenti sociali abbiamo uno sguardo diverso, vediamo l’altra verità. Quella che in genere sfugge, quella che non è romanzata come spesso i media vorrebbero proporci. Ho incontrato essere umani, ho visto il baratro delle loro fragilità e, anche se non accade sempre, quando riesco a vedere di essere concretamente riuscita ad intervenire nelle loro vite, è veramente gratificante.
 
Cosa vorresti che il lettore ricordasse del tuo romanzo? 
Al lettore spero resti, la sicurezza del Pensiero felice. Questa idea semplice e forte. Questo pensiero leggero e potente. Questo esercizio mentale che ci salva. Qualcosa che non va può sempre accadere, è la vita. Come dice la mamma della protagonista però, in Mamma e Freud: la mente la dobbiamo governare noi!   
Pensiero felice del giorno: Coraggio!
 
Hai altri progetti in cantiere? 
Beh, a dire il vero sì. Un Lisa Cannella due? Un altro paio di idee ce l’ho. Vediamo se riesco a concretizzarle, tanto sognare è gratis. Un lusso che possiamo permetterci tutti! Non pensavo sarei mai riuscita a pubblicare un romanzo. Non conoscevo nessuno nel campo dell’editoria e invece… Speriamo capiti ancora altrimenti, sarà stata comunque una meravigliosa esperienza.
 
Grazie per aver condiviso le tue riflessioni.
Grazie a te per avermi permesso di esprimerle.
 

 
La scrittrice Elisabetta Ferone
 
 
 

 

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