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"Prima che sia troppo amarti" di Annalisa Teggi

    Il Timone editore, 2024, pagg. 188.   Incipit "Se l'era cercata. Diana correva al buio pensando ai commenti sul suo necrologio. Non staccava gli occhi dall'unica luce davanti a sé. Aperti h24, un'insegna così anonima di giorno. Arrivarci, presto. Sentiva ancora addosso il fiato di alcol e sudore. Una voce roca era rigurgitata fuori da un angolo della strada. Un'ombra viva, arrabbiata o isterica si era sollevata da terra spalancando le braccia verso di lei. Un forte colpo a terra e una risata cavernosa. La stava rincorrendo?  O era rimasto in quel cantuccio nero di marciapiede?".   Pensieri luminosi Nel vocabolario   la parola "troppo" è sia un avverbio che un aggettivo e in entrambi i casi la definiscono come una quantità eccessiva, qualcosa più  del dovuto, più del giusto.  In definitiva sia che lo si qualifichi come avverbio o aggettivo, "troppo" ha un connotazione negativa e lo si può affiancare allo spreco come quello alimentare; o...

"Case rosse" di Alberto Coco


 

LuoghInteriori editore, 2023, pagg. 216.


Incipit

"Sono inginocchiato nel sedile posteriore della Fiat 1100 color verde oliva di papà. Mia sorella Olga si è sistemata al mio fianco nella stessa posizione. Attraverso il finestrino guardiamo l'ingresso del civico 9 di viale Monza. Mamma si è fermata a parlare con le cornacchie allineate davanti al portone d'ingresso. Stringe mani, abbraccia, si asciuga le lacrime. É un addio, il mio primo addio. Non so bene cosa sia. 
Papà mi ha spiegato che è un saluto che fai quando poi non ti ti vedi più per tanto tempo. Mi farà male, ne sono sicuro. A me fa già male il ciao che dico a Dante la sera. Sembra far male anche a mia sorella: ha il labbro inferiore che tremola come un budino alla fragola. Se piange lei - lei che non piange mai - io piangerò almeno il doppio. L'addio mi riempie di vuoto, mi strige la gola con un nodo".

Pensieri luminosi
Vi è mai capitato di ascoltare una canzone e fra un ritmo e l'altro la mente apre i suoi cassetti della memoria? Una canzone come uno sblocco per ripensare ad un momento preciso in cui magari eravamo in compagnia di qualcuno, oppure stavamo per prendere una decisione importante, o era imminente un evento che avrebbe modificato per sempre la nostra esistenza. 
Ci ricordiamo l'essenziale di quel momento e magari anche qualche dettaglio importante come un'emozione o un sentimento, un colore o un profumo. 
A me è capitato che dopo aver ascoltato un brano musicale sono andata a prendere dal baule in camera mia un album di fotografie e ho sfogliato il tempo della mia adolescenza a cui quella canzone faceva riferimento. Foto che rimangono lì, silenti, finché non si riprendono in mano e allora il pensiero si mette in moto, si vivacizza, si concretizza, rivive in quello scatto prezioso che è simbolo dell'essenziale e rende completo la memoria di ieri.
Il desiderio di fermare un attimo nell'attimo nel guardare un vecchio album di foto, sfogliarlo lentamente e osservare ogni immagine mi ha catapultato nel mio passato. É stato piacevole stare seduta sul divano e ricordarmi com'ero, cosa indossavo, com'ero pettinata, chi c'era con me nello scatto; fermi immagini al mare, in montagna, con i miei genitori, davanti alla casa nuova, sorridente mentre cadeva la neve in quella famosa nevicata del 1985 in pianura padana.
Frammenti preziosi che ho avuto il piacere di vedere leggendo Case Rosse di Aberto Coco, alla sua seconda opera letteraria. 
Sì, perché la storia che ha scritto, che racchiude al suo interno altre micro - storie è stato davvero come aprire un album prezioso di fotografie (le sue fotografie) di un mondo lontano nel tempo ma vivo nella sua memoria.
Con una scrittura fluida, sentita e ricca di suggestioni l'autore mi ha aperto le porte alla sua vita di un tempo, al suo mondo bambino e successivamente di adolescente. Ha raccontato dei suoi attimi, istanti felici, altri meno, comunque indelebili. 
Raccontandomi poeticamente come un fotografo professionista ha individuato i chiaroscuri, la particolare luce radente che dà valore, enfatizza luoghi o in senso ampio persone, sfiora le cose, gli oggetti e rischiara l'animo. Una messa a fuoco che ha riportato a galla colori, sapori, profumi. Ricordare per lui sembra essere stato catartico, una speciale osservazione comprensiva di emozioni vissute un tempo, che però hanno sempre risuonato dentro di lui e con questo libro si sono palesate.
E la prima emozione forte che apre la sua narrazione è stata quella di cambiare casa. Berto, e la sua famiglia spostano fisicamente i proprio corpi da una parte all'altra della città di Milano, un microcosmo sconosciuto e nuovo, tutto da scoprire.
Le foto - parole mi hanno fatto percepire la bellezza della vita, che man mano è cresciuta di significato col trascorrere del tempo. Il giovane protagonista giorno dopo giorno, attraverso le esperienze che ha vissuto, le persone che ha incontrato, le vicissitudini in cui è stato convolto hanno portato in lui cambiamenti interiori notevoli.
Ed è il cambiamento inevitabile della vita che rende vivido il raccontare, il raccontarsi. Ho sentito nelle sue parole in bocca a Berto che quel tempo, trascorso in uno strano equilibrio di cui forse non aveva piena consapevolezza nel momento stesso in cui lo  viveva, col passare degli anni proprio quel tempo e quella spensieratezza diventa per l'autore essenziale e degne di essere raccontata, perché si sente che in realtà l'hanno plasmato,  influenzato il suo essere adulto di oggi.
Lo scrittore ha regalato al lettore il suo mondo e l'ha trasmesso con tutto l'amore e la tenerezza possibile. Ha raccontato in fotogrammi il suo percorso sociale, culturale con gli occhi "piccoli" desiderosi di vita e osservarli poi con gli occhi di adulto, più riflessivi e un po' malinconici.
Nella nuova casa vicino a Vimodrone Berto trascorre le sue giornate tra il finire degli anni sessanta e settanta del Novecento con i suoi tumulti sociali, culturali, economici, i legami familiari, le amicizie a scuola, i primi innamoramenti. Case rosse come una dimora che cresce in altezza come lui crescerà, un po' alla volta, in un misto di ingenuità ed elucubrazioni tra il sogno e la realtà. Un essere bambino nel quale tutti un po' ci possiamo riconoscere e verso il quale proviamo una sorta di tenerezza e indulgenza. 
Case rosse come struttura fisica ma al contempo anima in cui esistenze, le più svariate raccontano del nostro Paese. Piccole storie che diventano storie di una nazione in fermento, in subbuglio.
Leggete questo romanzo, perché così potrete diventare anche voi fotografi della vita, del vostro ieri che è il ricordo dell'oggi. 
Andate a vedere le polaroid del vostro mondo di un tempo che necessita, a volte, di rivivere tra un sorriso buffo e un pensiero profondo, fra le discese e le risalite come è d'altronde la vita stessa. 
Piccola curiosità: se qualcuno di voi ha letto il romanzo precedente di Alberto Coco "Maria che danza sulle ali di un calabrone" potrà ritrovare qualcosa di quella storia.
Buona lettura!


La mia lampada ha illuminato questa frase:
"Siamo quasi arrivati, ma non arriviamo mai. Il paesaggio dietro il finestrino è cambiato: campi gialli che si muovono come il mare hanno preso il posto delle case con i muri grigi, e la mia vista può arrivare fino all'orizzonte. Il passato attorno al pozzo s'allontana, il futuro ha solo punti interrogativi e il presente è l'addio, è un lungo e interminabile ponte sospeso nel vuoto che mi fa sentire le vertigini.
Sì, addio è una piccola parola e una grande  fregatura".


Gli oli essenziali da utilizzare durante la lettura:
tre gocce di limone e tre gocce di cannella da sciogliere nel bruciatore di essenze con candela bianca neutra, per essere propositivi e riscaldarci interiormente quando si avverte il freddo dei sentimenti.



Un po' di luce sull'autore
Alberto Coco (1964) vive a Cusago, Milano. Ha lavorato in tutto il mondo occupandosi di marketing e di comunicazione di licensing e publishing. Per conto della sua società, Ubisoft, racconta ai ragazzi italiani i brand che hanno fatto la storia dell'industria dei videogiochi.


Bibliografia essenziale
- "Maria che danza sulle antenne di un calabrone", Porto Seguro editore, 2021.


INTERVISTA ALL'AUTORE

Ciao Alberto e bentornato nel mio spazio letterario. Cosa ti ha spinto a scrivere un secondo romanzo?
L’idea di Case rosse nasce da una lettura: La vita agra di Luciano Bianciardi pubblicato nel 1962. Bianciardi fu il primo a dire che il boom economico era una grande fregatura e il suo romanzo divenne il best seller degli anni Sessanta. La sua lettura fu una rivelazione per me. Quello che raccontava l’autore io l’avevo visto con gli occhi di un bambino e mi venne voglia di scriverlo da questa prospettiva.
In estrema sintesi, Case rosse è la vita agra degli anni del boom economico (e dello sboom dei primi anni Settanta) raccontata dal punto di vista di un bambino.

Il libro getta uno sguardo ampio su un periodo importante della nostra storia italiana. Se dovessi ripensare ad un particolare momento che tu hai vissuto in quegli anni tra il miracolo economico, gli stravolgimenti sociali e politici, la lotta operaia su quali metteresti un asterisco?L’emancipazione femminile. In quegli anni gli uomini erano figure poco presenti nelle famiglie a causa del lavoro. Crescevamo con le donne, le mamme, le nonne, le zie e le sorelle maggiori. Io le ho viste cambiare sotto i miei occhi, le ho viste diventare soggetti attivi e protagonisti della loro vita e della vita familiare. È stata una vera rivoluzione, la più evidente agli occhi di un bambino.


Il piccolo Berto osserva con meraviglia e curiosità, a volte trasognata, ciò che scorre davanti a lui giorno dopo giorno e l’affronta con un certo coraggio, seppur bambino. Una parola che affiora spesso tra le pagine, come una specie di anticamera che precede un nuovo modo di percepire l’esistenza. Tu con che parole lo definiresti il coraggio? 
A un certo punto della narrazione, Berto dice: “Io non capisco il coraggio, forse un giorno lo capirò, per ora ho capito che fa male”. In realtà Berto l’aveva capito bene, perché il coraggio è dolore, è l’accettazione del dolore.

 

Secondo te quale legame ci può essere, se esiste, tra il Berto degli anni Settanta e i tanti altri Berto del giorno d’oggi? 
I bambini di oggi sono figli del loro tempo come noi lo siamo stati del nostro. Penso tuttavia che ci siano sempre dei tratti in comune tra i bambini di ogni generazione e luogo: un modo di sentire e di vedere il mondo che è universale. Penso che l’infanzia sia la fase della nostra vita in cui vediamo e ascoltiamo con più attenzione il mondo, gli altri, la vita, senza idee e preconcetti, senza occhiali deformanti. 

I legami familiari che vengono descritti raccontano di affetti cercati ma anche complessi. Secondo te cosa significa “essere famiglia”? 
È così come hai detto, la famiglia è la realtà più complessa che viviamo nella nostra esistenza. Non serve spiegare molto perché ognuno di noi porta con sé per tutta la vita le conseguenze positive e negative dei rapporti familiari.
È una cosa banale, ma penso che essere famiglia significa capire l’altro in modo profondo, con empatia. Che è propedeutico al capire gli altri nella società.
È facile dirlo ma è molto difficile farlo. Come dicono i neuroscienziati, l’elemento della realtà che facciamo più fatica a capire e interpretare è proprio l’essere umano.

Nelle tante microstorie che ho letto e che fanno parte di uno scenario più ampio, nel romanzo c’è anche il desiderio di Berto di conoscenza, di sapere nei più svariati ambiti: l’amore, la sessualità, la cultura, la religione. Il detto dice: “Non si finisce mai di imparare”. Quanto c’è di vero in questo e anche in te c’è il continuo, impellente desiderio di sapere come in Berto? 
Nel romanzo la scoperta delle “differenze” rappresenta un punto di svolta nella vita del piccolo protagonista come nella narrazione. È un momento doloroso che orienta la curiosità del bambino verso la realtà, che lo porta a sviluppare l’ossessione per le parole, perché le parole gli consentono di spiegare la realtà che gli fa paura. Questa ossessione di Berto, del me stesso bambino, mi è rimasta appiccicata addosso come una seconda pelle. Penso che sia anche la ragione profonda per cui scrivo.

Cosa vorresti che il lettore, dopo aver letto il tuo libro, portasse con sé?Come scrivo alla fine del romanzo: Case rosse è la fine del mio viaggio e l’inizio del vostro. L’obiettivo ambizioso che mi sono posto (che è anche la ragione della prosa che ho scelto) è di riportare i lettori indietro nel tempo, di farli riconnettere con il proprio io bambino e con l’emotività di quegli anni per vedere la realtà in modo diverso.

Hai altri progetti in cantiere? 

Sto costruendo una storia per parlare di alcuni temi su cui sto riflettendo da un po’ di tempo: la percezione e la realtà, che viaggiano su due binari paralleli, la malattia come risorsa, che ci consente di vedere la realtà in modo diverso, e il rapporto tra genitori e figli. 
In case rosse il punto di vista è quello dell’io bambino, nel nuovo romanzo è quello dell’io anziano e malato. 

 

Grazie di aver condiviso le tue riflessioni.
Grazie a te.



 Lo scrittore Alberto Coco

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