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"Prima che sia troppo amarti" di Annalisa Teggi

    Il Timone editore, 2024, pagg. 188.   Incipit "Se l'era cercata. Diana correva al buio pensando ai commenti sul suo necrologio. Non staccava gli occhi dall'unica luce davanti a sé. Aperti h24, un'insegna così anonima di giorno. Arrivarci, presto. Sentiva ancora addosso il fiato di alcol e sudore. Una voce roca era rigurgitata fuori da un angolo della strada. Un'ombra viva, arrabbiata o isterica si era sollevata da terra spalancando le braccia verso di lei. Un forte colpo a terra e una risata cavernosa. La stava rincorrendo?  O era rimasto in quel cantuccio nero di marciapiede?".   Pensieri luminosi Nel vocabolario   la parola "troppo" è sia un avverbio che un aggettivo e in entrambi i casi la definiscono come una quantità eccessiva, qualcosa più  del dovuto, più del giusto.  In definitiva sia che lo si qualifichi come avverbio o aggettivo, "troppo" ha un connotazione negativa e lo si può affiancare allo spreco come quello alimentare; o...

"I violini di Saint-Jacques. Un racconto delle Antille" di Patrick Leigh Fermor.




Casa editrice Adelphi, 2023, pagg. 129.
 
Titolo originale "The Violins of Saint-Jacques. A tale of the Antilles".
 
Traduzione di Daniele V. Filippi.
 
Incipit
 
"La storia di questa piccola isola non è molto diversa da quelle delle altre isole Sopravento e Sottovento francesi, se non per il fatto che se ne sa di meno. Originariamente Saint-Jacques era abitata dagli indiani Aruachi, poi i feroci Caribi risalirono l'arcipelago sulle loro piroghe, sconfissero gli Aruachi, li divorarono e, con i modi spicci a loro consueti, ne sposarono le vedove. Colombo la scoprì durante il suo secondo viaggio e la annettè alla Corona Spagnola. Il nome caraibico di Twahleiba (il Serpente) - dovuto ai terribili rettili "ferro di lancia" che la infestavano - fu cambiato e l'isola fu battezzata in onore del grande santo spagnolo di Compostela, alla vigilia della cui festa era stata conquistata. Sulle prime carte nautiche fu segnata come Santiago de los Vientos Alicios, San Giacomo degli Alisei (in inglese Saint James of the Trade Winds: più tardi, nel gergo dei filibustieri inglesi che insidiavano le cale della costa settentrionale, veniva chiamata scherzosamente Jack of All Trades, e anche, in canti marinareschi che oggigiorno è raro ascoltare, Tradey Jack).
 
Pensieri luminosi 
 
Avete mai pensato di trasferirvi, nel vostro immaginario se nella vita reale non è possibile, su di un'isola tropicale? 
A me capita di frequente nei momenti di stress. Mi immagino su di un'amaca appesa a due palme mentre sorseggio un fresco cocktail. Ma soprattutto mi faccio cullare dal tempo lento, dilatato, senza la frenesia del fare, a contatto con la natura. La immagino piccola la mia isola, lontana dai continenti, con un mare cristallino a lambirla e nel suo interno un'altura ricca di vegetazione per fare escursioni, oppure caratterizzata da un vulcano dormiente sul quale inerpicarmi fino al cratere.
La mia immaginazione ha trovato terreno fertile per ampliarsi grazie a Patrick Fermor e al suo racconto delle Antille, uscito nel 1953.
In realtà non si narra di un'sola soltanto ma di due, molto lontane nello spazio, una vera e l'altra frutto della fervida immaginazione dello scrittore.
Dapprincipio ci troviamo a Mitilene, un'isola della Grecia. Qui il narratore incontra una donna di mezza età, affascinante, dedita alla pittura all'aria aperta, a picco su un magnifico promontorio da cui si vede, al di là del mare, l'Asia Minore. Un molto pittoresco (come direbbero gli inglesi) luogo, attorniato da ulivi e da altra vegetazione mediterranea, in cui ogni sera sembra di toccare la luna. Questa donna, dal fare misterioso, si chiama Berthe de Rennes e da più di vent'anni è isolana e insegna canto, pianoforte e francese alle ragazze del luogo, fumando, tra una lezione e l'altra, innumerevoli sigarette.
Il narratore ne rimane affascinato, soprattutto da una storia che, dopo qualche giorno di conoscenza, la donna inizia a raccontargli.
Siamo sul finire dell'Ottocento a Saint-Jaques, nelle Antille francesi.
Madame Berthe, giovane istitutrice sbarca sull'isola, per seguire  i giovani rampolli di un suo lontano cugino conte, appartenente al casato dei Serindan che vive lì da diversi anni con la sua famiglia.
Nel racconto della donna è racchiusa tutta l'essenza folkloristica e rituale del luogo, che raggiunge il suo apice in una particolare ricorrenza, ossia quella del carnevale del Martedì Grasso.
Berthe, per mezzo dello stesso scrittore, che è stato un viaggiatore e ha raccontato in altri libri delle sue avventure  nei mari del sud e non solo, descrive con enfasi nostalgica di un mondo lontano ma vivido nei ricordi. Ricordi malinconici e avvolti da una vena di tristezza per ciò che non è più.
L'isola ha qualcosa di conturbate, sensuale, da togliere il fiato. Ci sono descrizioni di paesaggi lussureggianti, in cui la natura conserva qualcosa di ancestrale, primitivo, prosperosa e vigorosa come le donne del luogo, carnosa come i suoi frutti, succosi e dissetanti.
E ci sono le persone che la vivono, una commistione di aristocratici, indigeni, commercianti, schiavi, governatori.
E c'è la maestosa villa dei Serindan, pronta ad accogliere una vasta schiera di invitati per il mitico ballo carnevalesco, fastoso, elettrizzante, inebriante, in cui i violini suonano leggiadri valzer europei perdendosi tra le note di danze tribali che con irruenza scivolano fra i saloni e le scalinate, suscitando suoni mai uditi prima; un insieme eterogeneo di culture che si mescolano, fra i creoli e gli indigeni, fra gli scenografici tendaggi, avvolti da fiori colorati e maschere caraibiche paurose e fantasiose, fra  i tomtom e i tamburi di pelle tesa a far rimbombare ritmi che ipnotizzano, che suscitano un progressivo pathos fra gli astanti, in un turbinio di voci, parole, sudore, svenimenti, ripicche e incomprensioni.
Il conte vede scorrere la più sfrenata allegria in quella sera memorabile, compiaciuto che tutto stia andando come previsto dopo aver curato, nei giorni precedenti, ogni minimo dettaglio con l'aiuto della cugina Berthe.
Ma c'è un ma... qualcosa che nemmeno lui potrà prevedere, perchè la natura non si può comandare, non la si può inscatolare come un dono, non si lascia annicchilire da una coppa di champagne o da una botticella di rum.
Oltre a tutto quello di cui Berhe racconta, sull'sola abita silenzioso anche il vulcano della Salpetrière che fa sempre apparire quotidianamente il piccolo rivolo di fumo dalla sua bocca.
Lo scrittore ha una penna portentosa e dal grandissimo potere immaginifico.
Descrive la natura, il pesaggio caraibico  con una straordinaria ricchezza narrativa, così densa di particolari da toccare quasi con mano un vastità immensa di colori e annusare profumi inebrianti. Sono stata catapultata con febbricitante irruenza in danze tropicali avvolgenti, conturbanti, paurose e primitive.
Maschere dalle più originali forme e caratteristiche del luogo come alati  pipistrelli, draghi maestosi, zombi scuri.
Ho ballato fino a tarda notte danze che mi hanno stordito mentre trangugiavo, accaldata, un bicchierino di rum.
Ho ascoltato nenie come formule magiche, ripetute all'infinito mentre la frenesia si inseriva in ogni angolo di villa Serindan.
In quell'enigmatica danza di gruppo occidentale e antilliana qualcuno cerca di fuggire per amore, allontanandosi di soppiatto, fra le ombre della notte. Ma Berthe, nonostante il frastuono e la confusione, se ne accorge e parte all'nseguimento della sua giovane pupilla.
I violini suonano ancora, mentre la notte si distende fra il  mare e il promontorio.
Ma improvvisamente un suono mai udito prima irrompe nella festa, come fosse uno dei tanti artifici progettati dal conte.
Tutto cambia e la forza della natura si fa sentire in tutta la sua dramnatica potenza. E in questo momento più di tutto il resto raccontato, irrompe anche la scrittura dell'autore che presenta come un quadro impressionista l'impellenza di un evento che a sua volta, come un domino, ne produce tanti altri di proporzioni catastrofiche, in cui l'esotico esplode in un susseguirsi febbrile, come un incubo perpetuo.
Un racconto che racchiude in sè il gusto della leggenda, e che in un certo senso verso la fine si fa in qualche modo gioioso e riappacifica un'anima che per molto tempo aveva perduto la felicità.

 
La mia lampada ha illuminato questa frase:
"La luce delle lampade svelò anche un intero esercito di piccoli animali che fuggivano verso valle - rane e lucertole, un paio di aguti e un serpente  qua e là, un lento paca che si muoveva con fracasso nel bel mezzo di un branco turbinante di gatti selvatici. Al di sopra delle nostre teste, fitti stormi di piccioni e pappagalli blu, e anche siffleurs montagnes, fuggivano volando dal calore crescente delle chaudières che si trovavano più in alto sul fianco della montagna".
 
 
Gli oli essenziali da utilizzare durante la lettura:
tre gocce di cannella e tre gocce di patchouli da sciogliere nel bruciatore di essenze con candela bianca neutra, per riassaporare le atmosfere esotiche e risvegliare i sentimenti.
 
 
Un po' di luce sull'autore
Sir Patrick Leigh Fermor (Londra, 11 febbraio 1915 - Worcestershire, 10 giugno 2011) è stato uno scrittore e viaggiatore britannico, autore di racconti di viaggio. Fu anche uno studioso di classici latini e greci. 
Durante la sua vita si distinse come soldato; ebbe un ruolo importante durante la seconda guerra mondiale che portò alla cattura di un generale tedesco. 
 
 
Bibliografia essenziale
- "L'albero del viaggiatore. Viaggio alle isole dei Caraibi", (1950);
- "Mani. Viaggi nel Peloponneso", (1958);
- "Rumelia. Viaggi nella Grecia del Nord", (1966);
- "Tempo di regali. A piedi fino a Costantinopoli da Hoek Van Holland al medio Danubio", (1977);
- "Fra i boschi e l'acqua. A piedi fino a Costantinopoli dal medio Danubio alla Porte di Ferro", (1986).
 
 

 Lo scrittore Patrick Leigh Fermor

 

 

 

 

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