Guanda editore, 2024, pagg. 213. Incipit "Due anni fa, raggiungendo in auto la costiera amalfitana, in un giorno tiepido e limpido di fine aprile, e passando nei pressi del paese d'origine del mio nonno materno, un piccolo paese della Ciociaria arroccato su un'altura alle pendici di una rupe che sfilava arida e ripida sulla mia sinistra, ho sentitito il desiderio di rivedere i luoghi in cui mia madre - ancora viva in quella primavera di cambiamenti - aveva trascorso parte della sua infanzia e di cui aveva conservato memoria mitica". Pensieri luminosi Quando, qualche anno fa, lessi "L'insostenibile leggerezza dell'essere" di Milan Kundera, rimasi colpita da due parole che lo scrittore utilizzò in un passaggio del romanzo, ricordando il passato di un personaggio, ossia "la memoria poetica", cioè "quella memoria che registra tutto ciò che ci affascina o ci commuove, tutto ciò che rende intensa la nostra vita". È a partire
Hacca edizioni, 2022, pagg. 128.
Incipit
Runa
"Le porte d'ingresso sono di vetro pesante, opaco di salsedine. Fatico ad aprirle e fatica persino mio figlio.
- Saranno anche quelle originali, ma sono scomode. Che idiozia non averle sostituite. Mamma, tu spostati che altrimenti rischi di farti male, ci manca solo questo. -
Intanto mia figlia estrae dalla borsa i fogli con la prenotazione".
Pensieri luminosi
La settimana scorsa sono stata a visitare una mostra d'arte sugli impressionisti. La giornata era luminosa, il vento spazzava via tutte le nuvole e il cielo era terso, di un azzurro abbagliante, il sole era di una brillantezza estrema. Dopo quasi un'ora di macchina a velocità sostenuta, per il timore di non trovare parcheggio in città, sono arrivata tutta trafelata all'ingresso del palazzo dove era allestita la mostra. Dovevo raggiungere per tempo l'entrata perchè altrimenti avrei trovato file già di prima mattina. Ho salito tre piani di scale (e relativo fiatone). Era una mostra che attendevo da tanto e non avevo tempo da perdere.
Ho pagato il biglietto ed emozionata e ho attraversato la porta che immetteva nelle sale.
Improvvisamente sono entrata in un'altra dimensione. Mi ha accolto la penombra, un silenzio riflessivo. Si sentiva soltanto un leggero accompagnamento musicale soffuso che si spandeva in tutte le sale. C'erano dei piccoli punti luce ad illuminare i quadri, come un occhio di bue a focalizzare un dettaglio che racchiudeva tutta la sua interezza.
In quel momento, per me, il tempo si è fermato. Sono rimasta rapita da un'infinita bellezza; una profonda felicità si è impossessata di me. Sentivo che di quelle visioni avevo una necessità quasi vitale, che mi proiettavano in quel tempo e in quei luoghi dipinti, in particolare dall'autore più rappresentativo: Pierre-Auguste Renoir.
In quelle stanze sentivo il battere del cuore ritornare al suo ritmo normale, mi sentivo avvolta non più dalla frenesia che mi aveva coinvolta prima ma, stranamente, da una "rallentamento emotivo". Sentivo che mi dovevo in qualche modo fermare; sì, avevo bisogno di un tempo prezioso che mi permettesse di gustare al meglio quelle opere d'arte, anche se poco prima mi figuravo tanti altri impegni che dovevo assolvere nel pomeriggio. Ma man mano tutto il resto sfumava e venivo coinvolta da pennellate decise dai colori accesi, dal rosso vivo delle labbra delle sue modelle, dal paesaggio esotico in cui erano raffgurate, dall'eleganza di un portamento, di occhi azzurri come il mare, di fisicità morbide. Ogni quadro aveva bisogno di una osservazione lenta, ogni piccolo dettaglio raccontava una storia, un momento rubato. Introiettavo come cibo quelle tele che svelavano non tutto subito, e occorreva prendere del tempo, un tempo dedicato, un tempo necessario, un tempo denso, ricco di valore. Mi sentivo di essere come in una grotta, avvolta da un senso di sicurezza; un nido che mi regalava calore. Le ore sono trascorse senza che io me ne accorgessi. Mi sono abituata a quella tenera penombra che svelava piano piano, suggeriva suggestioni, metteva in moto la mente, che si lasciava trasportare lieta da quell'attimo, da quel tempo che era diventato un luogo interiore.
Ho sentito la necessità di raccontarvi di una visita ad una mostra perchè leggere il libro di Francesca Scotti è stato come entrare in una mostra d'arte. Nel suo lavoro di scrittura sono narrate quindici storie, che ho immaginato come altrettanti quadri, ma piccoli, quasi delle miniature e per osservarli si deve necessariamente prendere del tempo ed ammirarli con attenzione, perchè a prima vista non tutto è visibile. Li ho visualizzati come degli acquerelli, in cui il colore è sciolto con abbondante acqua. Storie appunto ricche d'acqua, vitali che si dilatano e assumono sfumature diverse e sembrano quasi trascinare i loro lembi di colore, le loro infinite sfumature fino a toccarsi, a sfiorasi con i loro destini incrociati.
L'autrice con la sua penna-pennello delicato ha tratteggiato visi di donne, uomini, bambini, paesaggi marini, città popolose, strade di metropoli, case abbandonate, treni che sfrecciano veloci, una tartaruga in difficoltà, un violoncello suonato da mani principianti, il mare d'estate, paesaggi italiani e giapponesi. Molte sono le sale in cui ho potuto scorgere queste piccole tele e anche qui c'era un occhio di bue ad illuminarli. Ma stranamente questa luce non bastava ancora. Gli acquarelli, così delicati e sfumati avevano bisogno di essere compresi con una profondità tale da risultare al momento impossibile. Quei dipinti erano riflessivi, cioè avevano valore solo se ripensati a distanza; era necessario visualizzarli solo con il tempo, un tempo rallentato come l'incedere lento delle tartarughe. Non hanno fretta loro, ma comuque seguono il proprio percorso con costanza; seppur con lentezza arriveranno al traguardo. E il traguardo, di lettura in questo caso, l'ho raggiunto dopo qualche giorno, quando la lettura ha sedimentato dentro di me e allora ho capito che c'era qualcosa al di là di uno sguardo, che un'auto che viaggia di notte non era solo un mezzo di trasporto, che la tartaruga in difficoltà diventava necessaria per dare forma ad un dis-equilibrio amoroso, che la casa disabitata era il segno di una presenza leggera, incorporea, che un gioco bambino teneva il tempo dei passi del dolore.
La pittrice Francesca è riuscita a creare un incantesimo, una magia che però ha anche la forza di raccontare la realtà, complessa, che si offre in divenire. Ho riscoperto quell'attimo del ricordo, una fugace immagine sedimentata che, come in alcuni protagonisti affiora improvvisa; una memoria certamente personale ma che ha qualcosa in comune con la ricerca di una piccola insenatura che ci permetta di trovare un nostro piccolo, intimo tempo come luogo interiore, sospeso, tra la freneticità del nostro esistere. Sta a noi però percepire, in quegli acquarelli esposti nella penombra, il nostro particolare, dargli una forma, un significato e che risponda alle nostre domande, ai nostri perchè. Certamente non sarà così facile perchè da ogni prospettiva da cui si guarderà ogni quadro saremo come confusi, disabituati a cogliere l'essenziale. Ma l'essenziale lo si percepisce solo se diamo del tempo al nostro tempo, se cerchiamo di togliere quel velo opaco dai nostri occhi. Non è facile sentire con tutti i sensi; vedere certo ma anche udire, e toccare. Sicuramente, in un mostra di quadri non è la cosa migliore da fare, ma nelle sale espositive dei racconti-quadri della scrittrice lo si può fare, perchè la nostra essenzialità vive di tutto questo insieme di sensi e allora è piacevole, concreto accarezzare quegli acquarelli che improvvisamente diventano le nostre tele, schegge della nostra vita, magari dimenticate, forse insignificanti, ma che inconsapevolmente hanno lasciato una traccia dentro di noi in un periodo particolare del nostro cammino terreno. E allora mi viene in mente quando raccoglievo conchiglie sul bagnasciuga, da piccolina, sciacquavo via la sabbia e sperimentavo, portandole all'orecchio se era vero che si sentiva il rumore del mare. Oppure nel mio primo saggio di danza quando il sipario si stava per aprire, ecco sganciarci il laccetto di raso rosa attorno al collo e la mia amichetta di ballo vicina a me pronta a riagganciarmelo subito.
Sono solo minimi dettagli quasi di scarso significato, ma paradossalmente li ricordo con chiarezza, perchè hanno aperto una fessura.
C'è però anche qualcosa d'altro nella raccolta di racconti dell'autrice. La concretezza ha, nell'evolversi delle vicende, o almeno per alcune di esse, un qualcosa di inspiegabile e l'irreale si sovrappone al reale. Sembra quasi che le corporeità di alcuni personaggi, ad un certo punto si dissolvano e possano diventare qualcosa d'altro: un luogo, un pensiero, un fiore, un suono. Mi è piaciuto il suo modo di intrecciare la narrazione lasciandosi influenzare dalla magia di visioni nipponiche, poetiche, come l'acqua che scorre tra canneti di bambù. Una scrittura cadenzata come una sinfonia pacata, gentile, composta di frasi brevi ma molto efficaci, una scrittura che si è trasformata anche in gestualità sensibile ma fortemente simbolica, che diventa improvvisamente come una scossa tellurica, un sommovimento che scompiglia e niente sarà più come prima.
Lascio a voi scoprire le quindici opere d'arte racchiuse in questo libro, ma fate attenzione perchè sarete sollecitati a cercare dentro il particolare delle vostre vite.
Buona lettura!
"Devo concentrarmi ma credo di riuscire a vederla: i suoi capelli sono del colore delle ortensie e il suo viso della carta, il busto si è fatto di legno, le gambe paglia intrecciata. Il colore della pelle si è adattato al contesto, e così la forma del corpo".
Gli oli essenziali da utilizzare durante la lettura:
tre gocce di mandarino e tre gocce di ylang ylang da sciogliere nel bruciatore di essenze con candela bianca neutra, per cercare di trovare il modo migliore per affrontare situazioni delicate e favorire il fluire delle emozioni positive in un contesto orientale.
Francesca Scotti (Milano, 1981) è una scrittrice italiana. É diplomata al Conservatorio e laureata in Giurisprudenza.
Bibliografia essenziale
- "Qualcosa di simile", raccolta di racconti (2011);
- "L'origine della distanza", (2013);
- "Il cuore inesperto", (2015);
- "The sushi game. Guida banzai alla cucina giapponese", (2016) con Alessandro Mininno;
- "Ellissi", (2017)
- "Capacità vitale" (2019);
- "L'incanto del buio", (2022) libro illustrato con immagini di Claudia Palmarucci.
INTERVISTA ALL'AUTRICE
Ciao Francesca e benvenuta nel mio spazio letterario. Vuoi parlarci un po' di te?
Ciao Elisabetta, grazie
per l’ospitalità.
Per non rischiare di
essere prolissa condividerò giusto qualche coordinata da nota biografica: sono
nata a Milano dove mi sono laureata in Giurisprudenza e diplomata in
Conservatorio. Ho iniziato a scrivere nel 2011, con una raccolta di racconti, Qualcosa
di simile (Italic), selezione Scritture Giovani al Festivaletteratura,
vincitrice del premio Fucini e finalista al premio Joyce Lussu. Da allora
ho scritto romanzi, racconti e un albo illustrato da Claudia Palmarucci, L’incanto
del buio (Orecchio Acerbo 2022) che mi ha resa particolarmente felice:
è stata un’esperienza davvero intensa, che mi ha arricchito molto. Dal 2011
divido il mio tempo fra l’Italia e il Giappone.
Come è stata la genesi
del tuo libro?
Si tratta di quindici
racconti che ho scritto – tutti tranne uno – negli ultimi due o tre anni. Sono uniti da fili tematici e sono ambientati in
Italia e in Giappone, ma in queste storie la geografia non ha mai confini così
netti. Insieme a Francesca di Hacca li abbiamo organizzati seguendo le
risonanze interne, cercando di creare un’alternanza di emozioni.
Quali suggestioni ti
hanno spinto a dare un titolo così originale alla tua raccolta di racconti?
Il
titolo è arrivato alla fine della lavorazione insieme ad Hacca ed è una
riflessione sul tempo, troppo veloce e non abbastanza. Un tempo che spesso non
asseconda i desideri dei protagonisti, pone questioni, costringe a cambi di
rotta. Un tempo capace anche di svelare qualcosa che c’è sempre stato e non si
è mai notato. Un tempo interiore che differisce da quello esteriore, un tempo stratificato.
Un tempo tutt’altro che cronologico.
Il disegno di copertina
è molto particolare. Cosa rappresenta?
La copertina è frutto
del lavoro del bravissimo Maurizio Ceccato. L’illustrazione è di Ernst Haeckel, biologo, zoologo, filosofo e artista
tedesco. A me fa pensare a un fiore o uno strano fungo o alla misteriosa
creatura di un altro pianeta: si tratta di una medusa. Ho subito trovato questa
scelta una perfetta chiave d’accesso al mondo racchiuso nel libro.
Alcuni racconti sono
ambientati in Giappone. Hai un particolare interesse per questa nazione?
Vivo in Giappone da dodici anni e il legame con questo paese è molto forte. Inizialmente, con la sua barriera linguistica, mi ha costretta a immaginare risposte, a intuire. Anche ora la sua ricchezza culturale continua a sorprendermi ed è un bene perchè la curiosità, la necessità di studiare e la creatività sono costantemente sollecitati.
In un racconto in
particolare la casa diventa luogo dell’essenzialità, della presenza oltre la
vita e rappresentativo della persona stessa. Quando ti capita di pronunciare la
famosa frase “Qui mi sento a casa”, nel senso più poetico del termine?
La casa nelle sue
molteplici declinazioni – penso al guscio, ad esempio – è uno dei fili rossi di
questa raccolta. La tua è una domanda interessante perché vivendo tra due paesi
spesso mi chiedo quando provo davvero quella sensazione pacificante e di
protezione. Penso che più che essere legata a elementi geografici o a uno
spazio fisico sia connessa ad altri fattori, ai legami, alla presenza degli
affetti e a uno stato interiore di allineamento con il luogo in cui mi trovo.
Sono diversi gli
animali che compaiono nel tuo scritto e già nel titolo fanno la loro comparsa.
Come mai hai optato per questa scelta?
Il
segreto che custodiscono gli animali è qualcosa che mi affascina molto. Fin da
bambina mi piaceva osservarli, osservare le loro soluzioni, la loro
intelligenza, ascoltare la loro voce. Mi sorprendono ogni volta. In questa
raccolta ci sono animali in ogni racconto e sono più o meno protagonisti:
fatico a immaginare una storia senza la loro presenza potente, il loro incontro
cambia l’atmosfera.
Cosa significa per te
scrivere?
È la possibilità
sperimentare più di un futuro, di provare a rimarginare qualche ferita,
riparare una frattura con qualcosa di prezioso e anche di divertirmi a creare
personaggi, vite e strade. È anche una buona occasione per imparare, studiare,
mantenere viva la curiosità e l’interesse per tutto ciò che mi circonda.
Hai altri progetti in
cantiere?
Scrivere è qualcosa che
continua ad accompagnarmi, così come una sorta di pensiero magico che rende
complicato anticipare ciò che è ancora in divenire. Non ho libri in uscita in
questi mesi, ma sono al lavoro e spero di avere presto qualche novità da
condividere!
Grazie di aver
condiviso le tue riflessioni.
Grazie a te.
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