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"Prima che sia troppo amarti" di Annalisa Teggi

    Il Timone editore, 2024, pagg. 188.   Incipit "Se l'era cercata. Diana correva al buio pensando ai commenti sul suo necrologio. Non staccava gli occhi dall'unica luce davanti a sé. Aperti h24, un'insegna così anonima di giorno. Arrivarci, presto. Sentiva ancora addosso il fiato di alcol e sudore. Una voce roca era rigurgitata fuori da un angolo della strada. Un'ombra viva, arrabbiata o isterica si era sollevata da terra spalancando le braccia verso di lei. Un forte colpo a terra e una risata cavernosa. La stava rincorrendo?  O era rimasto in quel cantuccio nero di marciapiede?".   Pensieri luminosi Nel vocabolario   la parola "troppo" è sia un avverbio che un aggettivo e in entrambi i casi la definiscono come una quantità eccessiva, qualcosa più  del dovuto, più del giusto.  In definitiva sia che lo si qualifichi come avverbio o aggettivo, "troppo" ha un connotazione negativa e lo si può affiancare allo spreco come quello alimentare; o...

"Abbiamo sempre vissuto nel castello" di Shirley Jackson

Titolo originale "We have always lived in the castle".

Traduzione dall'inglese di Monica Pareschi.

Casa editrice Adelphi, 2020, pagg. 189. 


Incipit

"Mi chiamo Mary Katherine Blackwood. Ho diciott'anni e abito con mia sorella Constance. Ho sempre pensato che con un pizzico di fortuna potevo nascere lupo mannaro, perchè ho il medio e l'anulare della stessa lunghezza, ma mi sono dovuta accontentare. Detesto lavarmi, e i cani, e il rumore. Le mie passioni sono mia sorella Constance, Riccardo Cuor di Leone e l'Amanita phalloides, il fungo mortale. Gli altri membri della famiglia sono tutti morti".

 

 

Pensieri luminosi 

In un tempo e in un luogo non ben identificato, una giovane ragazza, Mary Katherine Blackwood, sta tornando a casa dalla città, dopo aver fatto la spesa. Durante quella commissione si è sentita perennemente a disagio dai cittadini che la osservavano, la scrutavano, la dileggiavano. Avrebbe preferito che nessuno la vedesse; le sarebbe piaciuto nascondersi nell'ombra dei palazzi, attraversare la strada volando, per arrivare quanto prima alla sua abitazione.
Chi ci fa conoscere queste prime impressioni è Mary Katherine stessa, dal suo punto di vista (quanto mai discutibile) che descrive in modo spregevole e odioso alcuni abitanti della città.
Appena tornata a casa però la tensione si allenta; lì si sente protetta e amorevolmente seguita da sua sorella Constance, dolce e paziente. Insieme a loro vive lo zio Julian, in carrozzina, e il gatto Jonas.
In quel luogo tutto sembra proseguire in una sorta di idilliaca felicità domestica e quindi appare che la banalità del racconto sia noiosa ai massimi livelli. In realtà in maniera quasi impercettibile, una parola alla volta, un gesto alla volta, una rivelazione alla volta la trama acquista i contorni dell'inenarrabile e proprio per questo degno di essere raccontato, sezionato, compreso.
In questa dimora immersa in una natura dall'aspetto bucolico, si nascondono invece l'assurdità di esistenze al limite, nei suoi rituali magici (la preparazione maniacale dei pasti, l'orto così curato da essere di un altro mondo, forse proveniente dalla luna, i gesti di cura assillanti, le pulizie di casa profonde, come per cancellare simbolicamente qualcosa di doloroso) e trasformano i toni da romanzo sarcastico in qualcosa di profondamente turbante, in cui il Male si dilata in maniera esponenziale, perchè si cala in una apparente normalità quotidiana.
La scrittrice mi ha trasmesso uno strisciante sentimento di malessere crescente, in un continuo vortice di suspanse, con i nervi tesi nell'attesa che accada qualcosa, in realtà poi non così dirompente. Ma proprio qui sta il genio di Shirley Jackson: scrivere di una verità agghiacciante raffreddandola, perchè la pazzia si annida nella più banale esistenza.
Si mettono così in atto certi ingranaggi drammatici come qualcosa che doveva purtroppo accadere, perchè era giusto così.
I personaggi che popolano la dimora sembrano fossilizzati nel ripetere perennemente gli stessi gesti e comportamenti, forse per non sentire troppo il peso del dolore, come dei dischi rotti che trasmettono suoni che rimbombano fra quelle stanze in cui l'aria si fa densa, ma che trattiene qualcosa accaduto sei anni prima.
Questo romanzo ha reso incredibilmente importante il fattore tempo che, come una fisarmonica, dilata o velocizza la vicenda torbida e che va di pari passo con le elucubrazioni che mette in atto il lettore (io) di fronte a certe rivelazioni; come dei puzzle che devono essere ricomposti.
Molto ad effetto anche la musicalità di certe parole, alcune frasi che come una nenia, un carillon antico, si ripetono con frequenza cadenzata, così che il ricordo del dramma non venga mai dimenticato; un'ossessione senza fine.
Ciò che però turba di più in assoluto è che il bianco e il nero qui non esiste; viene preferita invece la sfumatura, la penombra; il conoscere, la verità è nascosta nell'indefinito, in cui tutto appare distorto.
Il mondo esterno in qualche occasione, anche colpevole, ha cercato di relazionarsi con loro, ma il muro che hanno innalzato è invalicabile. Solo il cibo, strumento e mezzo per sopravvivere, diventerà un ponte di collegamento fra questi due mondi e il filo sottile delle relazioni forse sopravviverà.
Lascio a voi scoprire cosa è mai accaduto in quella grande casa, nel silenzio della campagna, in quell'amore fraterno, in una sorellanza che nessuno mai, forse, potrà scalfire. 


La mia lampada ha illuminato questa frase:
"Tutta la nostra terra, arricchita dai tesori che vi avevo sepolto, era abitata, appena sotto la superficie, dalle mie biglie e dai miei denti e dalle mie pietre colorate, che forse adesso si erano trasformate in gioielli; e tutto era tenuto insieme come una potente rete sotterranea che non si allentava mai, ma era sempre lì, pronta a proteggerci".
 
 
Un po' di luce sull'autrice
Shirley Jackson (San Francisco, 14 dicembre 1916 - North Bennington, 8 agosto 1965) è stata una scrittrice e giornalista americana. A dodici anni vinse il suo primo premio letterario con una poesia. Nel 1930 la famiglia si trasferì a New York e lei si iscrisse alla facoltà di Arti Liberali dell'Università di Rochester, anche se successivamente si ritirò dagli studi a causa della depressione. Qualche anno dopo si iscrisse all'Università di Syracuse per dedicarsi al giornalismo, pubblicando diversi articoli giornalistici su una rivista letteraria studentesca in cui difendeva anche i diritti civili degli studenti, denunciando anche la scarsa presenza di studenti di colore nella sua università. Per tutta la vita soffrì per le continue critiche denigratorie da parte della madre e l'unica medicina per lei fu la scrittura, anche dopo il fallimentare matrimonio. 
 
 
Bibliografia essenziale 
- "La lotteria" (1949);
- "Lizzie" (1954);
- "L'incubo di Hill House" (1959);
 




La scrittrice Shirley Jackson

 
Per l'acquisto del libro 
 



 

 

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