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"Case rosse" di Alberto Coco

  LuoghInteriori editore, 2023, pagg. 216. Incipit "Sono inginocchiato nel sedile posteriore della Fiat 1100 color verde oliva di papà. Mia sorella Olga si è sistemata al mio fianco nella stessa posizione. Attraverso il finestrino guardiamo l'ingresso del civico 9 di viale Monza. Mamma si è fermata a parlare con le cornacchie allineate davanti al portone d'ingresso. Stringe mani, abbraccia, si asciuga le lacrime. É un addio, il mio primo addio. Non so bene cosa sia.  Papà mi ha spiegato che è un saluto che fai quando poi non ti ti vedi più per tanto tempo. Mi farà male, ne sono sicuro. A me fa già male il ciao che dico a Dante la sera. Sembra far male anche a mia sorella: ha il labbro inferiore che tremola come un budino alla fragola. Se piange lei - lei che non piange mai - io piangerò almeno il doppio. L'addio mi riempie di vuoto, mi strige la gola con un nodo". Pensieri luminosi Vi è mai capitato di ascoltare una canzone e fra un ritmo e l'altro la mente ap

"Silenzio imperfetto" di Riccardo Tontaro.



Funambolo edizioni, 2023, pagg. 128.

 

Incipit

"Mai una parola, con nessuno. Ha un sorriso per tutti, ma mai una parola. É il silenzio vivente, dove la metti sta, zitta, come una pietra ben levigata, sommersa dall'acqua di un torrente. Legge sempre, ogni tanto scappa con un paio di libri in borsa, ma o torna subito o la ritroviamo qui vicino. A parte questo, non combina più fesserie, non fa mai danni. Queste alcune delle parole che ascolto ma non sento. Sono quelle che gli infermieri dicono al  mio nuovo dottore, arrivato qui da poco".

 

Pensieri luminosi 

Anni fa ebbi una bellissima esperienza come insegnante di sostegno in una scuola dell'infanzia. Incontrai un bambino che non parlava, chiuso in sè, spesso a braccia conserte ma insolitamente curioso di osservare il paesaggio di là dal vetro. Quando entravo in aula il suo viso era sempre rivolto alla finestra da dove si poteva osservare un bellissimo paesaggio collinare: alcuni alberi in lontanza a formare un piccolo boschetto, prati a perdita d'occhio e stradicciole che si allungavano serpeggiando verso la pianura.
L'interesse alle attività era pari a zero; non desiderava nè disegnare, nè tantomeno partecipare alle altre proposte educative.
Persisteva nel guardare dalla finestra, con uno sguardo curioso, quasi sognante. Partendo dal presupposto che gli piacessero i panorami,  mi venne in mente di cercare  tra le millemila idee e oggetti che avevo stipate in mansarda, e che racchiudevano tanti anni di lavoro, delle cartoline che acquistavo spesso nei luoghi di villegguatura o che mi spedivano amici e conoscenti dalle loro vacanze. Le trovai un po' ingiallite dal tempo, ma ancora adatte al mio scopo. Volevo attirare l'attenzione del mio piccolo amico straniero alla visione di immagini diverse: città d'arte, luoghi di mare, di montagna, lagunari, prati fioriti, ma anche luoghi lontani come il deserto, i pinguini e tanto altro ancora.
Il giorno dopo portai il mio pacchetto di cartoline a scuola e mi misi con lui in un posto tranquillo della stanza. Gli mostrai subito le immagini.
All'inizio non sembrava minimamente interessato a qualla visione, ma mentre le osservava, toccandole con le piccole manine, improvvisamente ebbe un fremito di curiosità totale. Osservava in particolare una cartolina del Marocco in cui si poteva scorgere un paese e in lontananza il deserto al tramonto e il profilo di un cammello vicino ad un'oasi. Prese la cartolina, la poggiò sul banchetto e prese con veemenza pennelli e matite colorate. Si mise a disegnare con impeto. Le mani si muovevano svelte e precise sul foglio che, da bianco, si trasformava in una tavolozza di colori. La sua insicurezza lasciava spazio alla fantasia e alla creatività. Sembrava che il suo mondo grigio trovasse nel disegno un modo tutto suo di comunicare, allegro e vivace. Da quel giorno iniziò a realizzare tantissimi altri disegni, dimostrando forte personalità, precisione e fantasia. In quei momenti stava lasciando una traccia di sè, stava comunicando la sua interiorità. Al termine dell'anno educativo aveva realizzato una quantità cosiderevole di disegni che ho raccolto a mo' di album restituendogli ciò che era una parte importante di  lui, del suo mondo e della sua capacità immaginativa che aveva un potere durevole nel tempo. 
Con quei disegni aveva realizzato un capolavoro di pensiero e l'aveva espresso non con la voce ma con la scelta dei colori, del tratto, dei pastelli piuttosto che dei pennarelli. Si era espresso con parole altre.
Questa  modalità mi ha permesso di entrare nel suo mondo in punta di piedi e stabilire con lui una prima modalità relazionale in un percorso che ricordo che è stato lungo, delicato ma pieno di soddisfazioni.
La mia mente è volata a un ricordo, come mi capita a volte quando leggo un libro. Mi è accaduto anche questa volta con il romanzo di Riccardo Tontaro "Silenzio imperfetto".
Un libro che ha in sè una delicatezza unica nel trattare la fragilità della mente, una penna d'autore unica nel raccontare del dolore, dell'incomprensione, della solitudine, del silenzio di una giovane donna, Nina, che da tanto tempo trascorre le sue giornate in manicomio negli anni settanta del Novecento, poco prima della legge Basaglia. Chiusa fra quelle quattro mura ha innalzato un'ulteriore cinta muraria come i manieri, che per difendersi si trinceravano dentro tanti giri di difesa per proteggere l'interno, la parte più fragile. Nina è così, si è barricata dentro il suo silenzio assordante, un silenzio che a ben ascoltare è un silenzio che dice, racconta solo a chi sa tendere l'orecchio, si mette in ascolto costruttivo. E come una breccia che si incunea fra i sassi, le difese di Nina un po' alla volta si allentano, perchè nella struttura è arrivato un nuovo dottore. Egli cercherà di vedere oltre la malattia, il disagio, non la osserverà come un numero di cui raccontare nella cartella clinica ma la guarderà come una persona e allora in Nina cambierà qualcosa.
Inizierà a parlare una lingua ritrovata, che ha le sue radici nella storia della sua famiglia. Nina inizia a raccontarsi-ci attraverso la scrittura.
L'inchiostro lascia traccia sul foglio bianco, così lei si disvela a noi lettori, con un misto di tenerezza e fragilità, delicatezza e una miriade di altre sensazioni, infinite sfumature dell'anima che l'autore descrive in maniera profonda ed emozionamte.
La scrittura della protagonista si fa memoria e ci racconta del suo passato, del suo presente e di come vuole vivere il suo futuro, la sua infanzia, le sue paure, i desideri, l'amore.
La scrittura si fa in lei mezzo di comunicazione, desiderio di felicità interiore che si esteriorizza in modo altro ma estremamente efficace, diventa dono, momento sacro da incorniciare e il dottore se ne rende conto. Diventa un omaggio al suo lavoro e Nina si fa meno coriacea e si racconta, quasi come una spinta che le viene dall'eternità per scrollarsi di dosso giorni bianchi tutti uguali dal sapore acre delle medicine, all'asettico odore di igienizzante delle stanze. Si fida del suo dottore, si confida attraverso parole, i pensieri, un dialogo a tu per tu, un disvelarsi, un denudarsi per narrare l'essenziale, i sentimenti puri, ciò che veramente prova in un atto concretamente generoso, altruisitico, eroico perchè ci vuole coraggio a mostrarsi dal di dentro. Lo scrittore ha colto un momento rivoluzionario nella protagonista; una specie di rinascita, dopo un lungo periodo di oblio, anonimo pensare senza traccia. Scrivere per Nina ora diventa esssenziale per risentire il suo essere donna, figlia, nipote.
L'autore con questo scritto ci consegna nelle mani le fragilità, le confidenze e la struggente voglia di esistere che si esprime tolamente in un'altra breccia nel muro che ha il nome di Nino, un bambino che le farà provare una gioia immensa, quella di danzare sotto la pioggia, in una sorta di temporale primaverile che ha la promessa di nuovi profumi e colori.
Grazie ad una scrittura sentita e vibrante mi sono trovata dentro la pelle della protagonista, fra il flusso del suo sangue nelle vene, ho ascoltato il battere frenetico del suo piccolo-grande cuore che suonava di stupore e meraviglia, perchè ha percepito il suo essere nel mondo.
Nina combatte un mostro interiore, un drago dagli occhi infuocati; si è smarrita, in lei c'era uno scollamento tra realtà e immaginazione, ma quando ha lasciato lettaralmente il segno sul foglio è rinata e si è fatta parola con la scrittura.
L'autore mi ha condotto nel labirinto di una mente femminile, ne ha raccontato le sue fragilità con garbo e sensibilità. Ha incollato fogli strappati di piccole felicità nel corpo di Nina, li ha riportati alla sua mente, li ha incanalati in un nuovo modo, forse, di sincronizzarli nel mondo, nel suo mondo e di farli vibrare di un'intensità unica.
Lascio a voi scoprire il cammino delicato e intenso di Nina.

Buona lettura!

 

La mia lampada ha illuminato questa frase:
"Questa polvere la sento, la respiro: esisto, esisto dal giorno in cui queste lettere sono uscite. Ogni volta che escono dal calamo sento che esistono, che non sono una malattia nè delle visioni schizofreniche: sono io stessa".
 
Gli oli essenziali da utilizzare durante la lettura:
tre gocce di lavanda e tre gocce di limone da sciogliere nel bruciatore di essenze con candela bianca neutra, per ritrovare nuovi slanci esistenziali e riassaporare le nostre radici.


Un po' di luce sull'autore
Riccardo Tontaro (Cermes, Bolzano, 21 maggio 1964) è un medico veterinario e da molti anni si occupa di tecnologie produttive nella trasformazione dei prodotti alimentari. Coltiva la passione della scrittura e della pittura.
 

 Bibliografia essenziale

- "Poesiandovai", raccolta di poesie (2013);
- "Il profumo delle stelle spente", raccolta di poesie (2015);
- "Amar'è e cielò", raccolta di poesie (2018);
- "Il mondo di Joya", romanzo (2020).

 

INTERVISTA ALL’AUTORE

Ciao Riccardo e benvenuto nel mio spazio letterario. Vuoi parlarci un po’ di te?
Non ho molto da dire ma, ringraziandoti per la gradita occasione che mi offri all’interno del tuo spazio, ti dico che adoro leggere e - talvolta, se reputo che ciò che ho da dire possa essere apprezzabile - anche scrivere.
 
Come è stata la genesi del tuo romanzo? 
Trovai L'utopia della realtà su una bancarella di libri usati. Forse mi colpì il colore arancione che rimbalzava fuori dal grigio del resto della sua copertina. Chi lo sa. Lo presi pensando che, prima o poi, ci avrei messo il naso dentro, come faccio spesso con i libri, prima di decidere se continuare a leggerli fino in fondo. Di Franco Basaglia, fino ad allora, conoscevo appena il suo nome e poco altro o, forse, null'altro. Quel libro lo lessi tutto, talvolta rileggendone dei passaggi. Ricordo che ci misi un sacco di tempo a finirlo. Quando lo finii, era finita pure la matita con la quale sottolineavo alcune delle sue frasi. E poi ne lessi un altro (dietro suggerimento), e poi un altro ancora: leggere il suo pensiero m'incanta sempre, anche quando ritrovo - in libri diversi - ciò che ho già letto in qualche altro scritto che lo riguarda. Non so da che parte sia arrivato, ma è stato davvero un bel dono quello di averlo conosciuto meglio. Poi mi è venuta la voglia di ricambiargli il regalo. Ho scritto, ho cancellato, ho corretto, ho riscritto una storia su una giovane donna, Nina, emarginata dalla società, abbandonata da coloro i quali si sentivano i sani di mente e, quindi - solo per questo -, anche quelli che avevano ragione. E sul suo "nuovo dottore" al quale, neanche a dirlo, ho dato il suo stesso nome: Franco.
 
Da quali suggestioni sono nate il titolo e l’immagine di copertina? 
Il titolo è nato fin dall’inizio, ho pensato fin da subito - appena terminata la traccia di sviluppo dello scritto - che “Silenzio imperfetto” fosse perfetto. Scusami per il gioco di parole. Quando - in riposta alla seconda parte della tua domanda - ho mandato il manoscritto ad un paio di case editrici e - dopo averne scelta una, d’istinto, tra quelle che avevano mostrato interesse -, ho visto l’immagine e, soprattutto, i colori della copertina, senza aver detto mai nulla a chi s'è occupato della grafica, non ho potuto fare a meno di... è arancione e grigia. Ci deve essere un motivo. Non può essere stato solo l'istinto.
 
La protagonista del tuo libro è Nina, una donna che non parla. Il suo silenzio però è più forte delle parole. Secondo te quanto, a volte, nel nostro quotidiano il silenzio è più importante ed eloquente delle parole? 
Ho cercato di affrontare il tema del disagio psichico con uno schema esistenzialistico (letteralmente esistenzialistico, in senso sartriano) purtroppo oggi sbiadito nella ridda di altri approcci nosografici. Tra le pagine affiora con chiarezza, e viene descritto, lo smarrimento del senso della vita che può capitare a una persona (in questo caso una giovane donna, Nina) sulla quale, come una mannaia, cade il giudizio degli altri, cioè di quelli che Sartre - nella Nausea - chiamava i sordidi, les salauds. Non so darti una risposta, se non risponderti con altre domande. In che modo è possibile, se è possibile, riscattarsi, dopo una caduta di questo tipo? La follia dell'individuo - attraversata da parte a parte - può costituire il progetto di un senso "altro" che disattiva la follia infernale rappresentata dagli "altri"? E il silenzio, l'ammutolimento che ne deriva, diventa - oltre la sua prima apparenza di ineluttabile condanna - una strategia per recuperare lo spazio di un "dire", di un "poter dire" le cose tacendole?

 

Il medico che ha in cura Nina riceve dalle sue mani un taccuino, che diventa dono prezioso che racconta di lei, del suo mondo e dei suoi pensieri. Hai mai ricevuto anche tu dalla mani di qualcuno un dono di questo genere e se no, ti piacerebbe?
No, non è capitato. Capitasse, certo che mi piacerebbe. Significherebbe che qualcuno si fida di me: un bellissimo regalo.
 
Nina ricorda, tra le pagine, la sua infanzia a casa del nonno. Se dovessi ricordare anche tu un episodio significativo della tua infanzia quale sarebbe? 
La grazia dei miei genitori nel cercare di insegnarmi il modo più educato per esprimermi liberamente.
 
Nel libro è citato un canto popolare toscano del XIX secolo di un Anonimo che scrisse: “Innanzi ch’io ti lassi, amor divino, tutte le lingue morte parleranno, e le fontane meneranno vino, e i pesci nell’asciutto nuoteranno. Innanzi ch’io ti lassi e t’abbandoni, anco gli aranci faranno limoni”. C’è stata una ricerca da parte tua in questo senso per trovare questa frase e perché l’hai scelta? 
Ho cercato chi - in campo letterario - avesse scritto qualcosa che rimandasse al limone, tutto qui. Oltre ad aver trovato e richiamato alcuni passi di altri autori (Goethe e Neruda), questa frase l’ho trovata particolarmente significativa e calzante (per questo è stata inserita in quel frangente del racconto).
 
Secondo te cosa ci fa sentire che esistiamo nel mondo?
Gli altri, chiunque s’accorga del nostro corpo, del nostro esserci, della nostra fatica per cercare di fare la nostra scelta.
 
Cosa significa per te scrivere? 
Come già detto: dire qualcosa di apprezzabile per il solo gusto di farlo. Nulla di più.
 
Hai altri progetti in cantiere? 
Certo, “avrei” trovato qualcos’altro da dire...

 
Grazie di aver condiviso le tue riflessioni. 
Grazie a te per avermi dato questa opportunità. Permettimi, infine, di cogliere questa occasione per ringraziare chi mi ha accompagnato nel corso della mia - prima - presentazione del libro: Gabriele Di Luca - il quale ha moderato con abilità sartoriale e dal quale ho letteralmente rubato le parole con le quali ho risposto alla tua quarta domanda -, Patrizio Zindaco - per aver dato una voce stupenda ad alcuni passi di lettura - e Martin Alber - il libraio dell’Alte Mühle di Merano per essere riuscito ad organizzare l’evento, ben partecipato da una platea attentissima, alla perfezione.
 
 

 Lo scrittore Riccardo Tontaro

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