Passa ai contenuti principali

"Prima che sia troppo amarti" di Annalisa Teggi

    Il Timone editore, 2024, pagg. 188.   Incipit "Se l'era cercata. Diana correva al buio pensando ai commenti sul suo necrologio. Non staccava gli occhi dall'unica luce davanti a sé. Aperti h24, un'insegna così anonima di giorno. Arrivarci, presto. Sentiva ancora addosso il fiato di alcol e sudore. Una voce roca era rigurgitata fuori da un angolo della strada. Un'ombra viva, arrabbiata o isterica si era sollevata da terra spalancando le braccia verso di lei. Un forte colpo a terra e una risata cavernosa. La stava rincorrendo?  O era rimasto in quel cantuccio nero di marciapiede?".   Pensieri luminosi Nel vocabolario   la parola "troppo" è sia un avverbio che un aggettivo e in entrambi i casi la definiscono come una quantità eccessiva, qualcosa più  del dovuto, più del giusto.  In definitiva sia che lo si qualifichi come avverbio o aggettivo, "troppo" ha un connotazione negativa e lo si può affiancare allo spreco come quello alimentare; o...

"Le deboli" di Flora Fusarelli.


4Punte edizioni, 2021, pagg. 124.


Incipit

"Annuccia! Annù!"
"Che vuoi, mà!" 
"Sbrigati, muoviti!"
"Mà, ma che succede?"
"Si fina il mondo, Annù. Ecco che succede!"
"Mà, è un poco di pioggia".
"Sbrigati. Rentra i panni!"
"Mà, si dice rientra non rentra".
"Annù, rentra i panni. T' l'so ditt cent vote, i libri a magnà nen t' l' dann!"
Quando pioveva era sempre così.
I panni. Ritirare i panni era quello che si doveva fare.
Solo quello.
 
Pensieri luminosi

Quando ho preso in mano il libro di Flora Fusarelli, ho pensato immediatamente che il titolo in sè racchiudeva qualcosa d'altro, di diametralmente opposto. Già la quarta di copertina mi metteva su una strada che ero curiosa di sapere dove andava a finire, ma ero certa che mi avrebbe portato ad un'ipotesi che si era già fatta strada nella mia mente. Una parola aleggiava già dalla prime pagine e che racchiudeva pienamente il nocciolo; il cuore pulsante delle donne raccontate ed è la fortezza.
Sì, perchè nonostante momenti e situazioni difficili ed estreme che turbano e sconvolgono l'esistenza, la fortezza è uno speciale dono, un piccolo-grande tesoro che permette di avere quella particolare forza di superare prove e dolori e di resistere anche a certe situazioni, anche estreme, assicurandosi così il lume sempre acceso e costante del bene.
La fortezza ammanta, chi la possiede, di un particolare coraggio,  che permette di guardare in faccia la paura, la discriminazione, la violenza e così risalire con spirito forte le cime virtuse dell'esistenza.
La fortezza è una virtù che accomuna alcune donne che la scrittrice abruzzese delinea in modo completo, di quella completezza che si carica di parole semplici, pensieri umili, ma non per questo meno profondi e pregni, soprattutto per il suo linguaggio spogliato del superfluo, perchè  il superfluo a quel tempo era, appunto, inutile. C'era però la sostanza, cioè esistenze significative e per certi versi simboliche.
Le donne che attraversano la storia hanno i nomi di Anna, detta Annuccia, Vincenza e Maria, che ritornano nel romanzo attraverso i capitoli che portano i loro stessi nomi. Un ritmo cadenzato che si ripete nei giorni, nei mesi, a dare significato di uno sguardo femminile che deve superare il tempo delle tempeste, degli ostacoli, delle ferite aperte e mai rimarginate. Anna, Vincenza, Maria, Vincenza, Maria, Anna. Qualche volta troviamo alcuni nomi di uomini, ma sono figure per lo più spente, opache, aggressive, codarde, autoritarie che hanno bisogno di essere raccontate per permettere alle donne della vicenda di acquisire ancor più valore e forza, di farsi, nell'evolversi della situazione grandi, statuarie, mentre al contrario gli uomini diventano sempre più piccoli, nel loro essere ottusi, nel loro restare nudi, deboli, mentre le donne si rivestono pian piano della loro fortezza. 
Ci troviamo nell'entroterra abruzzese negli anni quaranta del Novecento, quando la guerra è impellente e si sentono gli echi di un'ulteriore povertà in arrivo, di un pericolo imminente che serpeggia fra un mucchietto di case di un borgo altrettanto povero e arretrato. 
Le protagoniste si muovono silenziose, quasi in punta di piedi, per non disturbare il sonnolento paese, non destare turbamenti, nè strani pettegolezzi. Devono esistere ma al contempo sparire dietro la loro stessa ombra; essere quasi trasparenti, buone solo per procreare, e poco altro se non quello di vivere all'interno delle loro quattro mura.
Ma quel silenzio è un rumore di fondo che persiste, che crea lentamente un suono che si dimensiona e si fa eco nelle valli, tra le stradine del paese; pietra che lascia la sua impronta e pone le basi alle future generazioni del pensiero femminile. Ma qui non si tratta di femminismo, ma di una sostanziale volontà di non soccombere, avere quella dignità orgogliosa, di silenzi che parlano e di sguardi d'intesa sotto le ciglia, di mani che lavorano e diventano autonome, indipendenti, come nonna Maria che aveva un piccolo panificio e là trovava la sua dimensione umana, femminile  o come Anna che pensava di fare la maestra, di insegnare agli altri la libertà del sapere e della conoscenza. Piccoli semi gettati fra quelle valli arroccate di terra friabile pronta, a breve, ad accogliere acqua pura di sorgente; un cambiamento di pensiero e lo dovrà fare per non perire, per non essere dimenticato. 
Gli uomini che abitano quel luogo dimostrano una forza, una virilità che è fine a stessa, non si fa pensiero altro, è sterile, è pensiero debole, povero di quella povertà culturale e di idee destinato a visioni sterili. Ma, come detto, tutto dovrà cambiare e accadrà come una rivoluzione pacifica, goccia dopo goccia che scava nel profondo e forse cancellerà anni di arretratezza in senso ampio.
La fortezza di queste donne raccontate con sensibilità e profondo acume dall'autrice si trasforma in empatia; una rete di relazioni affettive che tralasciano le smancerie ma vanno al sodo; è un'empatia che salva, che si condensa in una rete di maglie strette, tese a tenere, cogliere, affermare, resistere, fra i discorsi della gente, i pettegolezzi della piazza, il sorriso ironico e sarcastico degli uomini.
Anna è colei che tiene le fila della narrazione, attorno a lei ruota la vicenda che si interseca in altre vite. La sua vita ha il volto del desiderio, quello del sapere, del conoscere attraverso lo studio che non è solo fatto di nozioni ma che si nutre di valori, di virtù da consegnare agli altri.
Si sente interiormente libera, così come era la sua nonna con il forno del pane. Questa sensazione si farà sempre più concreta; diventa pensiero grande in un mondo piccolo, che ignora che la donna possa essere qualcos'altro che solo femmina.
C'è nel romanzo anche il filo sottile delle radici, di un'appartenza linguistica che fa parte dell'autrice con l'uso familiare del dialetto, di alcuni detti popolari che rendono benissimo i luoghi e i tempi raccontati; sanno di antico ma al contempo ricordano che ognuno di noi ha i propri ricordi, caricati di espressioni anche affettuose che sprigionano memoria e appartenenza. 
Quel microcosmo racchiuso fra le valli racconta anche di noi come Paese, nazione che cammina nel qui e ora alla ricerca di un equilibrio fra passato e presente, fra ideali e idee, fra la comprensione e la percezione che il mondo si regge in un pensiero femminile che si fa spazio ogni giorno di più e l'imperfezione perfetta di ieri è composta di traguardi che hanno occhi e volti di donne, voci, esistenze di cui andare fieri.
Lascio a voi scoprire la trama che si dipana nel romanzo che percorre il dolore, la sofferenza ma che vede l'alba di un giorno nuovo proprio in Anna e alla sua idea di un mondo migliore.

Buona lettura!
 

La mia lampada ha illuminato questa frase:
"Vedeva il paese dall'alto con i tetti sgarruppati e i vicoli intrecciati. L'odore dell'erba rugiadosa le entrava nel corpo e lì, poco più in alto, l'aria le pareva più buona. La respirava a fondo per passarla a quella creatura che si portava dentro con tanto amore. Guardava le foglie che luccicavano ancora e vedeva il sole, i cui raggi iniziavano a passare tra le chiome degli alberi".

Gli oli essenziali da utilizzare durante la lettura:
tre gocce di limone e tre gocce di tea tree da sciogliere nel bruciatore di essenze con candela bianca neutra, per favorire l'autostima e purificare la  mente.

 

Un po' di luce sull'autrice
Flora Fusarelli (Avezzano, L'Aquila, 29 maggio 1986) è una scrittrice italiana e vive a Luco dei Marsi (AQ).
Appassionata di letteratura, si occupa di libri da molti anni.

 

Bibliografia essenziale

- "Il sapore del buio", romanzo (2022)

 

INTERVISTA ALL'AUTRICE

Ciao Flora e benvenuta nel mio spazio letterario. Vuoi parlarci un po’ di te?
Ciao cara Elisabetta, grazie per l’accoglienza. Non c’è molto da dire su di me. La mia passione per la scrittura risale all’infanzia, alle scuole elementari o forse ancora prima, e si è sempre mossa di pari passo con l’amore per la lettura. Ho collaborato e collaboro con varie case editrici, scrivo recensioni per vari giornali on-line e la mia vita ruota intorno ai libri. Ho pubblicato Le deboli nel 2021 per 4 Punte Edizioni e Il sapore del buio a fine 2022 per Diadema Edizioni.
 
Come è stata la genesi del tuo romanzo?
Le deboli nasce per caso. Avevo intenzione di scrivere un breve racconto e invece i personaggi mi hanno tirata per la giacca costringendomi a raccontare le loro storie. L’ho fatto con estremo piacere, ma con altrettanto stupore.
 
Da quale suggestione sei partita per scegliere il titolo?
Il titolo è antifrastico per la mia convinzione che il cosiddetto “sesso debole” non sia poi così debole.
 
L’immagine di copertina è di proprietà di Ines Di Donato e restaurata da Valerio Cristini e Angelo Iacobucci. Come mai questa scelta e, in quanto foto restaurata, che valore ha?
Ho trovato quella foto in una pagina Facebook dedicata alle foto ricordo del mio paese (Luco Dei Marsi AQ). Appena l’ho vista ho capito che volevo fosse la mia copertina così ho cercato la proprietaria, una nipote della bambina ritratta, per avere il permesso di pubblicarla. Era in bianco e nero, ma mi piaceva l’idea di farla ricolorare creando un collegamento tra presente e passato.
 
La dedica del tuo scritto è per i tuoi cari, dai nonni ai tuoi genitori e tuo fratello. Sono o sono stati importanti nella tua vita? 
La mia famiglia è tutto. A loro devo tutto. Può sembrare una frase di circostanza, ma non lo è. Se fossi nella vita la metà di quello che sono loro, potrei dire di essere soddisfatta.
 
Davide Angelucci, ha scritto la prefazione al tuo romanzo. Come è nata la vostra collaborazione?
Conosco Davide da quando siamo bambini. Persona di ineccepibile cultura. Mi faceva immenso piacere che il suo nome apparisse sul mio primo lavoro. Una questione affettiva e una dimostrazione di stima immensa che mi pareva doverosa nei suoi confronti proprio per l’amicizia che ci ha sempre legati.
 
Il tuo scritto è un elogio alla forza delle donne, nonostante le difficoltà e il pregiudizio di un tempo passato. C’è ancora nella nostra contemporaneità, secondo te, un pregiudizio nei confronti delle donne in quanto donne?
Pregiudizi ce ne sono tanti. Anche sulle donne. Il patriarcato esiste ancora seppure in forma mutata. Del resto, le credenze e i format centennali sono difficili da sradicare e non ci si riesce mai completamente.
 
Nella narrazione hai scelto di utilizzare alcune espressioni dialettali, perché questa scelta? 
Non avrei mai e poi mai immaginato di essere recensita dal Corriere della sera o da Robinson quindi credevo che il mio libro restasse circoscritto nei miei luoghi dove il dialetto sarebbe stato capito da tutti. Per fortuna non è stato così.
 
Cosa significa per te scrivere?
Scrivere per me è condividere. Niente altro che condividere.
 
Hai altri progetti in cantiere?
Tanti progetti in cantiere che però voglio portare avanti con molta calma. I miei tempi, in questo ambito, vengono dettati dalla scrittura. È la scrittura che decide quando essere scritta. Io sono solo lo strumento affinché ciò accada.
 
Grazie di aver condiviso le tue riflessioni.
Grazie a te.
 
 
 
La scrittrice Flora Fusarelli
 

Commenti

Post popolari in questo blog

"Il giardino dei gelsomini" di Nadia Mari

  IP Independently published, 2024, pagg. 353   Incipit "Nel tranquillo villaggio di Ca' di Verdalba, adagiato su morbide colline, Nadine, una donna non più giovanissima ma con un fascino non ancora sfiorito, si svegliava ogni mattina con un senso di vuoto interiore. Le cicatrici del passato, invisibili agli occhi ma ben radicate nel suo essere, tingevano la sua esistenza di una sottile malinconia. Nonostante vivesse in un ambiente idilliaco, sentiva che la sua vita si stava consumando in una sorta di routine priva di colore e di passione. Le giornate si susseguivano in un perpetuo rincorrersi di gesti, imprigionandola in un mondo grigio e monocromatico, in cui ogni momento sembrava la replica del precedente. Eppure, nel profondo del cuore, avvertiva un richiamo, un'eco lontana che le sussurrava dell'esistenza di qualcosa di più grande, oltre i confini della sua routine quotidiana".   Pensieri luminosi   Avete mai intrapreso un viaggio dentro a voi stessi in alcun...

"Prima che sia troppo amarti" di Annalisa Teggi

    Il Timone editore, 2024, pagg. 188.   Incipit "Se l'era cercata. Diana correva al buio pensando ai commenti sul suo necrologio. Non staccava gli occhi dall'unica luce davanti a sé. Aperti h24, un'insegna così anonima di giorno. Arrivarci, presto. Sentiva ancora addosso il fiato di alcol e sudore. Una voce roca era rigurgitata fuori da un angolo della strada. Un'ombra viva, arrabbiata o isterica si era sollevata da terra spalancando le braccia verso di lei. Un forte colpo a terra e una risata cavernosa. La stava rincorrendo?  O era rimasto in quel cantuccio nero di marciapiede?".   Pensieri luminosi Nel vocabolario   la parola "troppo" è sia un avverbio che un aggettivo e in entrambi i casi la definiscono come una quantità eccessiva, qualcosa più  del dovuto, più del giusto.  In definitiva sia che lo si qualifichi come avverbio o aggettivo, "troppo" ha un connotazione negativa e lo si può affiancare allo spreco come quello alimentare; o...

"Tutto può succedere" di Francesca Ziliotto

  Capponi editore, 2024, pagg. 152.   Incipit "Teresa Cortese era in piedi davanti al tavolino del suo salotto, vestita di tutto punto, come si fosse preparata per uscire da un momento all'altro. Aveva appena preso dalla madia antica, regalo di sua nonna, il vaso di cristallo che teneva sempre a portata di mano, il suo preferito, e lo aveva riempito di acqua fresca. All'interno vi sistemò un mazzo di calle bianche freschissime, ancora con il loro pistillo giallo racchiuso dentro il bocciolo. Quanta eleganza in quel fiore, così come elegante era lei". Pensieri luminosi Ricordate il detto "l'unione fa la forza?" Si dice che i proverbi e i detti popolari siano fonte di saggezza, perché nel tempo hanno trasportato insegnamenti degni di nota. Mi voglio soffermare appunto su sopracitato detto perché mi permette di riflettere sul nuovo libro scritto da Francesca  Ziliotto "Tutto può  succedere".  Sì, perché "l'unione fa la forza" calza p...