"Hypsas", Edizioni Ensemble, 2024, pagg. 55. "Incontro i morti sui margini dentati delle foglie, ospiti e pietrisco più brillanti - centellinando le veglie, perché i nomi vanno incontro a ciò che si ripete; e il sole di Eraclito è nuovo tutti i giorni. Quieta pulsione di ogni luogo, le acque sono tiepide e danno esile diadema, dolce fissità degli occhi ; morbide sculture sul bianco di parete accolgono corpi liberi"... Pensieri luminosi La raccolta di poesie di Valerio Mello è un percorso immersivo nella natura e del suo potere rigenerante, correlato però anche ad una visione particolare e aulica, quella delle antiche divinità che si trasformano esse stesse in poesia. Un percorso di parole e immagini che come quadri astratti e simbolici accompagnano il lettore in una dimensione onirica. Ciò che mi ha maggiormente colpito è stato leggere della terra, di alberi, di erba, di pietre secolari che si intersecano nella millenaria conoscenza, con la civiltà del sapere. Una
HarperCollins, 2023, pagg. 320.
Incipit
"L'episodio risaliva a molti anni prima, quando Stefano era ancora un bambino. Il telefono aveva iniziato a squillare nel cuore della notte e lo aveva svegliato all'improvviso. Ripensare a quel momento gli aveva sempre procurato una sensazione di paura, ma non sapeva dire esattamente il perché - in fondo non ricordava nulla degli istanti successivi, a parte l'immagine di sé stesso che si nascondeva spaventato sotto le coperte, un tramestio di passi lungo il corridoio seguito da un parlottare concitato tra suo padre e sua madre".
Pensieri luminosi
In un giorno d'estate, da bambina, io e mio fratello ci eravamo messi in testa di osservare il sorgere del sole. Così ci siamo alzati presto, verso le 4:30 e, nonostante il sonno ci appesantisse le palpebre, ci siamo seduti sul balcone della camera da letto di mio fratello, pronti ad ammirare qualcosa di bellissimo, ne eravamo certi.
Mi ricordo l'emozione dell'attesa e il pensiero di raccontare "quell'impresa epica" che stavamo per vivere ai nostri amichetti.
Era agosto e il cielo ormai aveva spento tutte le stelle, come una specie di interruttore. In lontananza il cielo iniziava ad illuminarsi di un chiarore timido, biancastro, ma che bastava ad illuminare le cose che erano attorno a noi dal giardino agli alberi del vicino, alla casetta degli attrezzi vicino il garage. Il sole però non lo vedevamo ancora. Poi ricordo che una leggera brezza ci ha avvolto; percepivamo chiaramente nell'aria qualcosa di elettrico. Ecco che il cielo iniziava a colorarsi e il bianco lasciava il posto a sfumature di rosa, violetto, arancione, rosso. Una particolarissima luminosità pastello si allargava sempre di più davanti ai nostri occhi stupiti. Era apparsa una luce più intensa che sui libri di scuola avevamo imparato a chiamare aurora e appariva in tutto il suo fascino dopo l'alba e poco prima del sorgere del sole. Ricordo che è stata proprio l'aurora a regalarmi una bellissima emozione perchè era avvolta da un'attesa fremente, una luce di attesa, un momento che diventava ponte fra la lattiginosa alba e il disco dorato che infatti poco dopo si era stagliato all'orizzonte, grandissimo che pungeva, con i suoi raggi potenti, i nostri occhi.
Il cassetto della memoria ha fatto riaffiorare questo ricordo perchè è proprio a partire da un mio evento personale che vorrei riflettere sul romanzo "Aurora" dello scrittore Giorgio Nisini.
Quella luce che ho visto tanti anni fa ha lasciato in me, oltre allo stupore visivo, un'altra sensazione che percepisco ancora intatta come allora; le sfumature nel cielo hanno portato con sè un cambiamento. Un chiarore che certamente ha illuminato, ha preso il posto delle tenebre, ma nella sua luminosità ha lasciato alcune parti nella semioscurità; e più grande era la parte illuminata tanto lo era quella che rimaneva nella penombra.
Il romanzo di atmosfera che ho letto riflette questa contraddizione e la luce che l'attraversa è aurorale, diventa intermezzo, attesa di un evento, qualcosa che non è ancora o non del tutto, che attende un chiarimento, dopo essere stato per troppo tempo avvolto dal buio. L'aurora del mattino, infatti, è un ponte che collega l'alba al sorgere del sole; non è ancora luce accecante ma non è nemmeno buio.
Simbolo di questo passaggio è la figura di Aurora, adolescente sedicenne, una dei protagonisti della vicenda che dà anche il titolo al libro. Vive con la sua famiglia alto-borghese in provincia di Viterbo in una grande villa a contatto con una natura che sembra sussurrare, vicino ad un bosco fitto.
Aurora, come molti giovani, desidera assaporare la vita in tutte le sue sfumature, come i colori pastello nel cielo mattutino. Attende con trepidazione il momento opportuno per diventare luce abbagliante, sente la necessità di cambiare pelle. Stanca di essere nè carne nè pesce, desidera respirare, nutrirsi, riceve luce nuova, godere veramente dell'esistenza. Rincorre una luce chiamata Armando, un giovane poco più grande di lei che sprigiona fascino ai suoi occhi e con il quale si sente pronta a vivere la sua prima esperienza amorosa e sessuale. Percepisce tutto il tepore luminoso solo a pensarci per uscire dall'oscurità del non sapere, per conoscere così l'amore in modo completo.
Il momento giusto arriva proprio nel giorno del suo sedicesimo compleanno festeggiato tra coetanei. L'emozione è alle stelle e mentre arriva per lei il primo orgasmo, un piacere intenso mai provato prima, all'istante cade in una specie di letargo, un sonno profondo.
La madre Carola e il padre Stefano si precipitano subito in ospedale come faranno anche lo stesso Armando e i compagni di scuola nel lungo periodo di attesa di un suo riveglio, di una sua parola, di un movimento palpebrale, della sua mano che accenna ad un saluto.
Mentre la luce di Aurora attende di risplendere ancora, conosciamo quella della madre; una luce che diventa necessaria, vitale, impellente, religiosa. Dopo il trauma della figlia si aggrappa infatti ad una spritualità estrema, fatta di crocifissi, rosari sgranati spessissimo, fino ad arrivare a far visita ad un santone per sanare il suo dolore e avere risposte del perchè sua figlia è viva ma è come fosse morta.
La luce del padre Stefano, invece, ridesta certi ricordi; illumina, almeno in parte, alcuni momenti della sua antica famiglia Orsini-Gianotti famosi, da decenni, per la fabbrica di lampadine Fulgor. Proprio durante lo shock di una figlia dormiente in lui si sveglia il suo spirito riflessivo. Inizia un cammino a ritroso nell'esistenza e con la sua piccola lanterna in mano tenta di capire il senso di una strana telefonata ricevuta proprio la sera del compleanno della figlia da una donna e su alcune morti di familiari e di un dipendente. Percepisce, con un certo timore, che forse c'è un collegamento tra gli eventi, e riuscirà, nel dipanarsi della vicenda, a capire in profondità gli accadimenti e anche sè stesso.
Aurora era nata dopo molti tentativi di concepirla, poi era avvenuto un miracolo e la vita era sbocciata per rallegrare la famiglia.
Carola e Stefano erano dei genitori felici ed attenti ad ogni bisogno della piccola, ma ciò che è molto interessante in questo romanzo sono le dinamiche relazionali dei coniugi su cui proietta la luce lo scrittore. La loro "fiaba d'amore" raggiunge nel drammatico episodio della figlia un rallentamento, un rimescolamento relazionale. Li vediamo fragili l'uno con l'altro, l'uno per l'altro, mentre si scende nell'oscurità della loro interiorità. L'autore ci fa luce nei loro cuori, nei loro pensieri, nel loro sentire incerto, claudicante, sospettoso, rabbioso e lo rende vivo attraverso un linguaggio raffinato ed elegante che al contempo guarda alla sostanza, a quei caleidoscopici sentimenti. C'è un certo fascino nelle parole, nei pensieri dei protagonisti che si appiccicano nella mente dell'io lettore e nutrono le suggestioni che durante la lettura si traformano in visioni, piccoli quadri notturni, squarciati da lame di luce, come le fiamme che un giorno minacciano il bosco e lambiscono le mura della fabbrica Fulgor. Stefano è lì, come se dovesse affrontare un rituale antico e sconfiggere le sue paure. Osserva il fuoco e le fiamme ancora lontane ma minacciose e ascolta il passo svelto di un animale vicino a lui che lo insegue, nascosto nella boscaglia. Un bosco che cela segreti, che potrebbe custodire una Bella addormentata, come Aurora che dorme in un letto di ospedale.
Il tempo trascorre e nessun cambiamento sembra possibile; nemmeno i medici riescono a darsi una risposta a questo caso particolare; non rescono a far luce sull'accaduto.
Carola e Stefano sono sempre vicini alla figlia, in attesa di un suo risveglio.
Quello stato letargico in cui è caduta, come fosse un incantesimo la rende, agli occhi dell'infermiere Filippo, bellissima. Il torpore che l'avvolge le dona una luce sensuale, profumata e se ne innamora.
Riuscirà Aurora a svegliarsi? Potranno Stefano e Carola sconfiggere i propri fantasmi?
Lascio a voi scoprirlo, non prima di dirvi che "Aurora" è un romanzo perturbante, colto, che attinge alla tradizione della fiaba, in particolare a quella de "La Bella addormentata nel bosco", virando alla tradizione del nord europa, forse meno conosciuta ma che rende perfettamente l'atmosfera in certi momenti gotica del romanzo e nel contempo calato nella contemporaneità.
Un gioco di rimandi sapiente, che porta a galla ciò che in una fiaba spesso risale in superficie: il coraggio di affrontare qualcosa di importante, necessario, vitale; strappare alla morte un destino inesorabile, sconfiggere i demoni, i mostri, le streghe.
Lo scrittore affida a noi lettori il coraggio di tenere in mano un'ultima luce ma non meno importante, che illumina qualcosa che nemmeno i protagonisti della vicenda alla fine riusciranno a vedere e che diventa terreno di comprensione nelle pagine finali del romanzo.
Buona lettura!
La mia lampada ha illuminato questa frase:
"Com'era possibile che qualcosa di così incorporeo, che aveva la stessa consistenza dell'aria e la stessa velocità di espansione del pensiero, potesse essere ricreato artificialmente e addirittura utilizzato per un trucco così fantasmagorico?
Umberto non lo capiva, ma voleva capirlo: sentiva che nella sua non-comprensione si nascondeva un desiderio che lo turbava e lo attraeva in pari misura, come lo sono tutti i desideri che toccano le nostre corde più profonde e segrete - in questo caso il desiderio di potenza e di controllo, il desiderio di immortalità".
tre gocce di pompelmo e tre gocce di pino da sciogliere nel bruciatore di essenze con candela bianca neutra, per ritrovare la spinta caratteriale e sciogliere le tensioni emozionali.
Giorgio Nisini (Viterbo, 1974) è uno scrittore e saggista. Si è laureato in Lettere e ha svolto un dottorato di ricerca sull'opera narrativa di Pier Paolo Pasolini. Ha insegnato per alcuni anni sociologia presso La Sapienza di Roma. Collabora con la galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea di Roma, per la quale cura incontri e interviste con i protagonisti del cinema italiano contemporaneo. Dal 2016 al 2019 è stato docente e ricercatore all'Università di Bari. Attualmente insegna letteratura italiana moderna e contemporanea alla Sapienza di Roma.
Bibliografia essenziale
- "La demolizione del Mammut", romanzo (2008);
- "La città di Adamo", romanzo (2011);
- "La lottatrice di Sumo", romanzo (2015);
- "Il tempo umano", romanzo (2020);
- "Robert De Niro", saggio (2004);
- "L'unità impossibile. Dinamiche testuali nella narrativa di Pier Paolo Pasolini", saggio (2008);
- "Il neorealismo italiano. Scritture, immagini, società", saggio (2012)
INTERVISTA ALL'AUTORE
Ciao
Giorgio e benvenuto nel mio spazio letterario. Vuoi parlarci un po’ di te?
Sono nato negli anni
Settanta, ho trascorso l’adolescenza negli anni Ottanta. Sono uno scrittore, Aurora è il mio quinto romanzo. Il mio
lavoro è dedicato all’universo dei libri a trecentosessanta gradi: sono un
docente di letteratura italiana contemporanea alla Sapienza, sono un organizzatore
culturale, soprattutto nell’ambito dei festival: da diversi anni dirigo l’Emporio
Letterario di Pienza.
Come
è stata la genesi del tuo romanzo?
Per la prima volta,
dopo quattro romanzi in cui la trama era originale, tutta costruita da me, ho
sentito il bisogno di confrontarmi con una storia del passato. Mi interessava
mettere in scena La bella addormentata, ma non sapevo da che parte
iniziare, non volevo scrivere una fiaba, volevo tradire e contaminare la
tradizione passata.
Mi ha aiutato vedere le litografie di Gustave Doré, che nel XIX secolo illustrò
la fiaba con dei giochi di luce e ombre; i suoi disegni mi hanno indicato la
direzione di una storia più nera e cupa. E poi mi è venuto in soccorso il film Il
sacrificio del cervo sacro di Yorgos Lanthimos, che ha riattualizzato,
tradendo l’originale, L’Ifigenia in Aulide di Euripide. Ho capito allora
che dovevo scrivere un romanzo ambientato nella contemporaneità, recuperando le
versioni più oscure della fiaba, le più antiche e meno conosciute, e
riattualizzarle fondendole tra loro in un sottofondo orfico (Stefano e Carola,
i genitori di Aurora, compiono una sorta di discesa agli inferi per riportare
alla vita la loro figlia, come fa Orfeo con Euridice).
Quale
suggestione ti ha portato a scegliere il titolo?
Nella tradizione della Bella
addormentata i nomi della ragazza sono variabili, spaziano da Carola (nella
versione di Italo Calvino) a Zellandine, Talia, Rosaspina fino, appunto, ad
Aurora, che troviamo per esempio nel film della Disney. Ho scelto quest’ultima
opzione perché mi permetteva di richiamare metaforicamente il tema della luce,
oltreché fare un omaggio al film di Murnau.
La
copertina è molto particolare. Ce ne vuoi parlare?
L’editore mi ha
proposto due copertine, entrambe con dei corpi di donna dormienti. Abbiamo
condiviso la scelta di questa cover perché potenziava l’immagine della figura
femminile in due direzioni: quella dei colori e della luce, con un contrasto
tra zona d’ombra e linea illuminata, e quella della narcolessia, nel senso che
il sonno della ragazza ritratta possiede qualcosa d’innaturale e di talmente
potente da far pensare che sia crollata su un pavimento.
La dedica è per Francesco e Matilde.
Sono persone importanti per te?
Le
più importanti in assoluto, i miei figli.
La
citazione al libro recita così: “Era precipitato
in certe caverne orrende, dove la luce non penetrava mai” ed è tratta da “I
racconti delle fate” dello scrittore francese Charles Perrault. Come mai questa
scelta e proprio queste parole?
È ciò che accade al
protagonista, Stefano, il papà di Aurora. La sua vita sostanzialmente felice
subisce un trauma imprevisto, la narcolessia della figlia, che nessun medico
riesce a spiegare. Stefano precipita verticalmente dentro un universo
oscuro e senza luce, proprio come accade al principe Furbo nella fiaba della Principessa
accorta di Perrault.
Nel
tuo romanzo tra le diverse tematiche affrontate c’è anche il delicato e sempre
attuale rapporto genitori-figli, soprattutto nel periodo adolescenziale. Quali
sono, secondo te, le modalità relazionali più efficaci per avvicinare due generazioni
che spesso si trovano in conflitto?
Non so dare una risposta
che non sia personale, non sono uno psicologo né un pedagogista. Posso dire, da
padre di una figlia adolescente, che la cosa migliore è esserci ma restando un passo
indietro, dare regole ma anche spazi crescenti di libertà, far sentire di essere
un punto di riferimento ma allo stesso tempo accettare l'emancipazione dei propri
figli.
La
luce nel libro assume un significato poetico e metaforico. Se dovessi definirla
con un aggettivo quale sceglieresti e perché?
Una luce, appunto,
aurorale. Indica l’inizio di qualcosa di nuovo, la prima manifestazione del
sole, ma prima che il sole sorga. Non è una luce conclusiva ed epigonale come
quella del crepuscolo, ma non è neanche potente come la luce del mezzogiorno.
Cosa
significa per te scrivere?
Difficile riassumere in
poche battute. Posso dire, come ho detto altre volte - un po’ provocatoriamente
- che non amo scrivere, ma sono costretto a farlo per una ragione che viene da
lontano, dal profondo. Una ragione che ha a che fare con la mia vita, ma che
non saprei spiegare. Direi che scrivere, per me, è una condanna.
Hai
altri progetti in cantiere?
Sì, certo, un nuovo
romanzo a cui inizierò a lavorare dopo l’estate.
Grazie
per aver condiviso le tue riflessioni.
Grazie a te.
Lo scrittore Giorgio Nisini
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