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"Prima che sia troppo amarti" di Annalisa Teggi

    Il Timone editore, 2024, pagg. 188.   Incipit "Se l'era cercata. Diana correva al buio pensando ai commenti sul suo necrologio. Non staccava gli occhi dall'unica luce davanti a sé. Aperti h24, un'insegna così anonima di giorno. Arrivarci, presto. Sentiva ancora addosso il fiato di alcol e sudore. Una voce roca era rigurgitata fuori da un angolo della strada. Un'ombra viva, arrabbiata o isterica si era sollevata da terra spalancando le braccia verso di lei. Un forte colpo a terra e una risata cavernosa. La stava rincorrendo?  O era rimasto in quel cantuccio nero di marciapiede?".   Pensieri luminosi Nel vocabolario   la parola "troppo" è sia un avverbio che un aggettivo e in entrambi i casi la definiscono come una quantità eccessiva, qualcosa più  del dovuto, più del giusto.  In definitiva sia che lo si qualifichi come avverbio o aggettivo, "troppo" ha un connotazione negativa e lo si può affiancare allo spreco come quello alimentare; o...

"Avere tutto" di Marco Missiroli.

 

Einaudi editore, 2022, pagg. 159.

 

Incipit

"Mi  telefona mentre sono al supermercato. Lo saluto, lui si raschia la gola ma non parla. So che gira di notte con la Renault 5.
Gli chiedo se sta bene.
- Scusa il disturbo, - dice.
- Smettila.
Tira dalla sigaretta. - Alla fine ti hanno pagato?
 Ancora no.
Stiamo zitti come quando da ragazzino lo guardavo riparare una presa elettrica, la madia del tinello, la grondaia sul retro. Le sue dita leggere.
Poi gli annuncio che vado a trovarlo.
- Davvero vieni?
- É il tuo compleanno.
- E come fai con il lavoro?
- Faccio".
 
Pensieri luminosi
 
Nei primi giorni del marzo scorso il consiglio regionale dell'Emilia-Romagna è tornato a formulare la richiesta che il ballo liscio romagnolo, con il suo sapore folkloristico, possa essere riconosciuto come patrimonio immateriale dell'Unesco.
Dopo aver letto questo romanzo credo che ci siano tutti i presupposti perchè questa richiesta venga soddisfatta.
Sì, perchè è innanzitutto e a tutti gli effetti il simbolo di un luogo, la Romagna in particolare (e dove è ambientata la vicenda), che ha visto sorgere per tanti anni numerose balere dove tantissime persone hanno mosso i primi passi a ritmo di polka, mazurca, valzer accompagnati da orchestre che creavano allegria e convolgente frenesia con violini, sassofoni, fisarmoniche, clarinetti, batteria e anche da cantanti che rendevano gradevole la melodia. La più famosa orchestra rappresentativa di questo genere è stata quella di Raoul Casadei che ha portato al successo "Romagna mia", una vera e propria dichiarazione d'amore per la propria terra. Il liscio è un ballo di coppia, che esprime tutto il suo brio nelle feste e nelle sagre di paese. 
Ed è nelle parole "ballo di coppia" che desidero soffermarmi a riflettere. Il ballo liscio assume, in questa storia, i contorni di una relazione amorosa che attraversa tanti anni e diventa metafora dell'esistenza. Sì, perchè questa danza si esegue in due ed entrambi i ballerini devono possedere una certa indole grintosa e necessaria per entrare in modo bilanciato, delicato ed equilibrato nel concetto di due, nella sua armonicità, creando così un incantesimo, un'alchimia di passi, gesti, sguardi d'intesa in sinergia perfetta.
Ecco allora che, a differenza di quando si balla da soli, in un sorta di egoistico sentire, interessati alla propria corporeità, autoreferenziale, il ballo di coppia necessita di uno sganciarsi dall'io autocentrato per guardare all'altro, sentirlo in senso altruistico sia in termini di corretta distribuzione del peso, sia per il ritmo, ma soprattutto i partners del ballo si accompagnano ad una spiccata sensibilità che è rappresentativa di una profonda conoscenza reciproca. Una correlazione di movimenti e gesti che possono altamente valorizzare una performance colorata di passione e cognizione che viaggiano all'unisono. Uno speciale connubbio di cuore e ragione, emozione e razionalità, capacità fisica e mentale; uno sforzo, insomma, che si trasforma in un equilibrio magico di bellezza.
E di diversi passi a due si parla in questo libro che sono quelli di un padre e di un figlio e di un altrettanto duetto danzante tra un marito e una moglie, ma anche quelli di un figlio con sè stesso, di una città, Rimini, che balla nella sua intimità e nelle famose estati romagnole e dello stesso scrittore che balla su registri in parte biografici e in parte romanzati. 
C'era un tempo in cui gli sposi Nando e Caterina vivevano per il ballo liscio, si impegnavano allo stremo per provare e riprovare i passi a casa,  anche nei ritagli di tempo, per raggiungere la perfetta mossa, il più corretto uso dei piedi. Avevano un estrema fiducia nelle loro capacità, si fidavano l'uno dell'altra, si trovavano a condividere una passione danzante che era anche passione amorosa, nel desiderio di sentirsi vivi, in quello speciale feeling nelle gare a cui partecipavano. Ballo liscio come amore condiviso, nello stringersi per poi allontanarsi, di sfiorarsi le mani, di piroettare e spargere l'amore sulla pista. Ballo come collante del vivere quotidiano, il carburante che dava vigore alla loro armonia, che li faceva sentire necessari, vicini, presenti. Quello stesso ballo poteva far superare anche i piccoli e grandi drammi della vita; ballo come danza dell'esistenza che richiede impegno, fatica, vicinanza, coraggio di rialzarsi dopo una caduta. Ballo come specchio riflesso dell'agire, che fa compiere azioni che comportano delle reazioni. Ballo che si fa incalzante ma assume anche toni più lenti, riflessivi. Ballo che però ad un certo punto si ferma, perchè la coppia si sfalda, il partner scompare in un'altra dimensione, non più terrena e allora tutto sembra crollare.
Ma la magia del racconto è anche saper trasformare un antico ritmo in ritmo di rinascita, di riscoperta.
Ecco allora che si incontra Sandro Pagliarani, copywriter brillante che torna, da Milano, nella sua Rimini (per festeggiare il settantaduesimo compleanno del padre) che ha un profilo sonnacchioso, nascosta tra giardini e orti verdeggianti, come di un dopo vacanze. Una danza di città nostalgica, vuota del suo vigore e che corrisponde, in un certo senso, alle stanze vuote di una casa che attraversa il padre Nando, dolorosamente vedovo da qualche tempo e malato. Egli ha cercato però di dedicarsi ad un'altra danza che è quella scandita dalle stagionalità del suo orto che cura con impegno, così come è danza anche la sua voglia di cucinare, piatti semplici ma che hanno in sè il ritmo della familiarità e quello pigro delle partite viste in tv. Nella sua vita ha ballato anche altri ritmi, quelli frenetici e spossanti del lavoro come quello di autista di bus turistici, di ferroviere, fino a diventare barista del suo bar "America". Ha avuto momenti in cui il fiatone l'ha costretto a rallentare, ma comunque ha sempre cercato di dare sempre un senso a quella danza-destino anche quando Caterina non era al suo fianco. A Rimini Sandro cerca di spingere lontano, in un angolo il suo ballo, quello che detesta, il suo vizio che si chiama ludopatia che lo ha allontanato anche dall'amore. C'è ora il padre a cui pensare, alla sua salute malferma, ma i ricordi affiorano e allora anche la Rimini di un tempo affiora, quella dal ritmo incessante delle notti infinite nelle discoteche, brulicanti di voci e persone, le spiagge dorate, il mare al tramonto, i locali aperti fino a tardi. 
Sandro balla il suo ballo con l'altro sè stesso, quello di un passato prossimo, che vorrebbe prendere il sopravvento in ogni momento, amplificare la sua musica, spaccargli i timpani. É un ritorno sui propri passi per il quarantenne che deve decidere del suo futuro per non cadere nel baratro, nel pozzo nero del gioco. 
Nella casa di famiglia, dove i vuoti riempiono i pieni, Sandro e Nando mettono in scena l'ennesimo ballo, che mette a nudo le loro personalità. Devono imparare a conoscersi o meglio a ri-conoscersi, a dare significato ad un "valzer" che ha bisogno di intenzionalità, una complicità da ri-costruire.
Ma il casquè, seppure appartenente al tango, l'ho preso in prestito perchè il giovane dovrà sostenere il padre anziano, che ha ancora quell'antica voglia di danzare, di vivere ancora di ballo ma è probabile che inciampi tante volte, che cada all'indietro, non intenzionalmente, e allora servono braccia forti per stringerlo, mani sicure per accoglierlo. Un figlio che diventa padre di suo padre, nell'attenzione, nella cura, nell'amore ri-conosciuto.
Un ballo è anche quella dello stesso Marco Missiroli, che è riuscito a creare una danza di frasi scarne, di lunghi spazi bianchi, dialoghi quasi telegrafici, che pur nella sottrazione riescono ad evocare un'armonia poetica, leggera e profonda al contempo.
Ho ritrovato tanto amore e tenerezza, nascosto dalle maglie metalliche del timore, ma ancora una volta prendendo in prestito la metafora del ballo la narrazione si muove dinamicamente, pur nella descrizione di tematiche difficili, gravi, destabilizzanti e possiamo ritrovare la dolcezza struggente di alcuni momenti significativi. Una prosa cristallina, al contempo accuratamente semplice che cesella ogni singolo momento, lo cristallizza nella memoria visiva del lettore.
Avere tutto è possedere nulla, ossia è il non avere nulla di importante da trattenere con le mani; è l'insignificanza del possesso, per avere invece tutto, dare valore ai giorni e affrontarli con cognizione, avere il coraggio di abbracciare il disagio, il vizio, il rimpianto, la malattia, la mancanza.
Avere tutto, possedere la luce e la penombra, il pieno e il vuoto delle stanze della nostra interiorità.
Lascio a voi, per chi lo vorrà, scoprire la scrittura vera di una storia (vera perchè è anche autobiografica) e che a più riprese, come un mantra, ripete una domanda che aspetta da noi una risposta schietta, sincera.
 

La mia lampada ha illuminato questa frase:
"Metto la mano sull'interruttore e schiaccio. La lampadina folgora. Vado in sala da pranzo e metto la mano sull'interruttore, schiaccio. Vado in bagno, schiaccio. E le scale, e il tinello, la mia camera, do luce all'altro bagno, allo studio, allo sgabuzzino, agli abat-jour, al televisore, alla lampada sul tavolo e sul trumeau, alla piantana della sala, do luce al lavello, al forno, alla cappa dei fuochi, accendo le due luci di emergenza nel disimpegno. La casa, via Magellano, Rimini, e quest'unico bagliore.
Sono libero: orfano. Sono orfano: libero. Mi avvicino alla sua camera e rivedo la gamba a penzoloni che batte le notti". 
 
 
Gli oli essenziali da utilizzare durante la lettura:
tre gocce di limone e tre gocce di menta da sciogliere nel bruciatore di essenze con candela bianca neutra, per riuscire ad entrare in una comunicazione propositiva con gli altri e schiarire la  mente. 

 

Un po' di luce sull'autore:
Marco Missiroli (Rimini, 2 febbraio 1981) è uno scrittore italiano. Ha vissuto a Rimini fino alla maturità, poi si è trasferito a Bologna per proseguire gli studi universitari. Nel 2022 ha seguito i corsi della Scuola Holden a Cesena. Si è laureato nel 2005. Il 21 dicembre 2019 ha ricevuto dal Comune di Rimini il Sigismondo d'Oro. Vive a Milano. Scrive per la cultura del Corriere della Sera e insegna alla Scuola Holden.

Bibliografia essenziale
- "Senza coda" (2005), Premio Campiello Opera prima;
- "Il buio addosso" (2007), Premio Insula romana;
- "Bianco" (2009), vincitore della XXVIII edizione Premio Comisso;
- "Il senso dell'elefante" (2012), Premio Selezione Campiello, Premio Vigevano, Lucio Mastronardi, Premio Bergamo;
- "Atti osceni in luogo privato" (2015), vincitore del Premio SuperMondello, Premio letterario Elba;
- "Fedeltà" (2019), premio Strega Giovani 2019 e finalista del Premio Strega.



Lo scrittore Marco Missiroli

 


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