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"Hypsas" di Valerio Mello.

 "Hypsas", Edizioni Ensemble, 2024, pagg. 55. "Incontro i morti sui margini dentati delle foglie, ospiti e pietrisco più brillanti - centellinando le veglie, perché i nomi vanno incontro a ciò che si ripete; e il sole di Eraclito è nuovo tutti i giorni. Quieta pulsione di ogni luogo, le acque sono tiepide e danno esile diadema, dolce fissità degli occhi ; morbide sculture sul bianco di parete accolgono corpi liberi"... Pensieri luminosi La raccolta di poesie di Valerio Mello è un percorso immersivo nella natura e del suo potere rigenerante, correlato però anche ad una visione particolare e aulica, quella delle antiche divinità che si trasformano  esse stesse in poesia. Un percorso di parole e immagini che come quadri astratti e simbolici accompagnano il lettore in una dimensione onirica. Ciò che mi ha maggiormente colpito è stato leggere della terra, di alberi, di erba, di pietre secolari che si intersecano nella millenaria conoscenza, con la civiltà del sapere. Una

"L'Agnese va a morire" di Renata Viganò.

 

 


Einaudi editore, 1978, pagg. 239.

 

Incipit

"Una sera di settembre l'Agnese tornando a casa dal lavatoio col mucchio di panni bagnati sulla carriola, incontrò un soldato nella cavedagna. Era un soldato giovane, piccolo e stracciato. Aveva le scarpe rotte, e si vedevano le dita dei piedi, sporche, color di fango. Guardandolo, l'Agnese si sentì stanca. Si fermò, abbassò le stanghe. La carriola era pesante".

 

Pensieri luminosi 

Provate ad immaginare una barca all'orizzonte, lontana e in quanto lontana quasi un puntino. Poggia la sua base su acque salmastre e immobili, stretta in un argine fra le valli romagnole di Comacchio.
Anche voi avete una piccola imbarcazione e ora, con coraggio, avvicinatevi. Un po' alla volta quella barca acquisterà contorni meglio definiti e diventerà sempre più voluminosa. Ora che la osservate vicinissimi potrete scorgere che si tratta di un grande barcone, malandato, vecchio, il cui legno è quasi tutto marcio a causa delle infiltrazioni d'acqua che ne ha rovinato i finimenti.
Guardateci dentro: lì ci troverete il coraggio, la forza, il sacrificio, l'ubbidienza, l'umiltà, l'altruismo, la lungimiranza, la bontà, il rancore, l'orgoglio, e anche tante rughe, un sorriso sommesso, la mezza età. Quella barca malconcia che evoca tante primavere vissute è l'Agnese, la sua corporeità e l'interno è la sua personalità. Ma non è un'Agnese qualunque, ma L'Agnese con l'articolo determinativo, quella sposata con Palita, quella che possiede un gattone nero affettuoso, quella che fa la lavandaia, che cura la sua casa, che si fa gli affari suoi, che non chiede nulla a suo marito delle riunioni a casa loro, che ha uno sguardo severo, che trattiene le emozioni, come una corazza a celare un grande sentimento, puro, che si scoprirà eroina a sua insaputa. Ma esiste una eroina grassoccia, di mezza età, apparentemente indolente?
Certo che esiste, l'ho conosciuta tra le pagine di questo romanzo indimenticabile. 
Agnese è una donna matura, che sembra non avere un passato prima di essere nominata un giorno di settembre, dopo l'armistizio del 1943. Perchè è da quel giorno che prende consapevolezza di qualcosa che prima non conosceva, che non la toccava. Accoglie un soldato disertore in quei giorni confusi e difficili per il  nostro Paese, ma proprio per quell'azione sarà punita amaramente. Successivamente a causa di alcune soffiate, il marito verrà deportato lontano per la sua lotta da teorico socialista, che gestiva piani d'attacco contro il nemico nazista e fascista, e lei aspetterà il suo ritorno con il forte sensore però, di non  rivederlo più.
Ma ha il loro gattone a farle compagnia che lo stesso Palita le ha raccomandato di prendersi cura. Quella promessa però sarà infranta. La palla di pelo nero, accoccolata sempre dalla parte del letto del marito assente verrà, per dispetto, trivellata di colpi da un nazista. L'Agnese allora sentirà nascere dentro di sè quel qualcosa che non sa bene cosa e agirà con fredda lucidità, quasi a riscattare il suo dolore e quello del marito. É da quel momento che questa donna, che si sentiva come in ombra da un uomo che agiva intellettualmente, acquista, come quella barca che man mano diventa grande all'orizzonte, valore e si fa maestosa, diventa consapevole a sè stessa, vive con significato la sua esistenza, il suo tempo, che sarà storia per sempre. Lei così semplice, che si accompagna a pensieri semplici, comprende di far parte di qualcosa di importante, acquisisce un viscerale, istintivo senso patriottico. Diventa una staffetta partigiana e la sua figura si fa grande roccia, protettiva. Aderisce ad un ideale di libertà e salta a piè pari tutti i discorsi dal gusto idealistico, di forma per dare significato alla sostanza. Lei è lì, fra i partigiani, perchè li percepisce vicini al suo modo concreto di fare, di osservare la realtà. Una realtà che ha bisogno anche di lei, che spesso si schernisce con la frase "Se sono buona" davanti ad un ordine del Comandante partigiano. L'unica maniera per combattere il nemico, il nazi-fascismo è farlo da questa parte della barricata, da quest'argine piuttosto che da quell'altro.  Segna con la sua massiccia presenza il solco solo tratteggiato dal suo Palita che, nella seconda parte della storia, diventerà una "presenza spirituale"  e nel sogno la guiderà, le darà fiducia, la incoraggerà nel suo fare bene che si dimostrerà maturo giorno dopo giorno. Si sentirà vibrare e con quel corpo  che all'inizio era adatto solo per fare la lavandaia o rassettare casa, lo diventa ancora più di spessore ora; si fa coriaceo per caricare cose, sporte, biciclette, il destino degli altri, la grande paura di sbagliare, la speranza di riuscire e più ha timore più la sua fisicità si irrobustisce, nonostante l'età e gli acciacchi. Ma lei sembra non sentirli, o forse  non li vuole sentire; si dona totalmente agli altri, ad un valore, ad un ideale. In un certo senso ci sono anch'io sopra quelle spalle, sopra quel corpo robusto, perchè lei ha combattuto anche per me, per gioire della mia libertà. Ho sentito le sue mani ruvide, callose, il sudore del suo corpo che incespica tra gli argini e i fossati e ho incrociato il suo sguardo un po' severo e un po' malinconico ma attraversato da un luccichio vitale.
L'Agnese ha le ciabatte rotte, i piedi gonfi e il modo in cui si lega il fazzoletto sotto il mento rende l'idea di un coraggio mai ostentato, umile; è l'eroina sui generis di quel tempo ed è virtuosa senza saperlo. Ascolta gli ordini del Comandante della sua brigata partigiana perchè è giusto farlo, perchè è l'unico modo di donarsi totalmente ad un pensiero che nasceva un po' alla volta nella sua mente.
"Mamma Agnese" come la chiamavano i partigiani è stata una figura che, seppur andando a morire, come afferma già il titolo, in realtà è andata a vivere. Sì, perchè ha preparato pranzi e cene per i giovani combattenti, ha dormito seduta su una sedia per lasciare la sua parte di materasso libera per chi tornava stanco e infreddolito da una battaglia, ha intrapreso viaggi di chilometri in bicicletta per portare messaggi importanti, ha cercato di rincuorare con le sue poche parole ma sentite chi si scoraggiava, ha versato lacrime di nascosto per chi moriva.
Un altro protagonista importante in questo romanzo è la natura, il paesaggio che plasma identità, descrive pezzi di vita in una continua e snervante immobilità, come sono spesso le acque aquitrinose delle valli di Comacchio, con gli argini avvolti nella nebbia che si taglia col coltello, che nasconde colpevolmente il nemico, che cela il pericolo, che avvolge nel gelo, che percuote il viso e le mani di un vento gelido o di una asfissiante afa, in quelle giornate infinite di agosto in cui le zanzare mordono le gambe e non basta un ramoscello a scacciarle. Hanno fame di sangue come gli altri, quelli dall'altra parte, l'esercito nazista che emerge come una vera e propria macchina da guerra;  uomini che battono le gambe sulla terra dura a ritmo di una marcia funebre, non sembrano neanche essere degli umani, ma dei robot comandati e senza sentimento pronti ad uccidere, squarciare, sventrare, dilaniare senza pietà alcuna con quelle voci stridule, un grido di odio. 
Nazisti che vengono controllati da occhi nascosti dietro un canneto, dentro una casetta che serve da avvistamento. Ecco allora che il romanzo si ferma anche su di loro, i partigiani, sui loro pensieri, sugli stracci che indossano, sulle armi trafugate che imbracciano. Ma non parlano molto, il silenzio deve accompagnarli nei loro spostamenti, perchè il nemico è ovunque si celi l'ombra. Parlano per loro le azioni, le gesta, che ancora una volta non hanno l'enfasi eroica ma la struggente potenza, il desiderio di ritornare a come erano prima, di poter pensare ad un futuro senza paura, di osare immaginare di sposarsi, di lavorare e guadagnare, semplicemente di vivere e non sopravvivere sopraffatti.
Emblematica di un situazione così estrema è la bellissima immagine che descrive l'autrice, in cui nonostante una fitta pioggia e temporale che imperversano sulle loro teste e sui loro corpi stanchi, i partigiani cantano a squarciagola una melodia patriottica perchè proprio in quel preciso momento lo possono fare; i lampi e le gocce scroscianti coprono le loro voci e così si lasciano andare con tutta la forza che hanno nei polmoni ad un canto che li fa sentire ancora più uniti e quindi più forti.
Renata Viganò (che con questo romanzo vinse il secondo premio al Premio Viareggio nel 1949, tradotto in quattordici lingue) ci regala il ritratto di una Italia ferita, tradita in quel settembre del 1943, ma che ha trovato in tanti uomini e in tante donne come L'Agnese il riscatto di un intero popolo che sente la libertà vicina, percepisce gli alleati ad un passo da loro e allora si fa ancora più impavido e combatte fino all'ultimo colpo in canna e L'Agnese è lì che con i suoi silenzi parla, con i suoi occhi ascolta e con le sue mani sfiora le mie.

 

La mia lampada ha illuminato questa frase:
"La forza della resistenza era questa: essere dappertutto, camminare in mezzo ai nemici, nascondersi nelle figure più scialbe e pacifiche. Un fuoco senza fiamma nè fumo: un fuoco senza segno. I tedeschi e i fascisti ci mettevano i piedi sopra, se ne accorgevano quando si bruciavano".

 

Gli oli essenziali da utilizzare durante la lettura:
tre gocce di limone e tre gocce di rosa da sciogliere nel bruciatore di essenze con candela bianca neutra, per essere efficaci nelle comunicazione, nell'interazione con gli altri e dare valore ad un sentire femminile.

 

Un po' di luce sull'autrice 
Renata Viganò (Bologna, 17 giugno 1900 - Bologna, 23 aprile 1976) è stata una scrittrice, poetessa e partigiana italiana. 
Si appassionò sin da piccola alla letteratura e coltivava il sogno di diventare medico, ma le difficoltà economiche la indussero ad interrompere gli studi ed entrare nel mondo del lavoro come inserviente e infermiera negli ospedali bolognesi. Entrando nel mondo politico, non soltanto incontrò il suo futuro marito, Antonio Meluschi, ma ne influenzò anche il suo modo di vedere le cose da un punto di vista socialista. Dopo l'armistizio assieme al marito e al figlio Agostino, partecipò alla lotta partigiana come staffetta, infermiera e collaborando alla stampa clandestina.
Due mesi prima della morte le fu assegnato il premio giornalistico Bolognese del mese, per il suo stretto rapporto con la realtà popolare della città. 

 
Bibliografia essenziale 
- "Ginestra in fiore", liriche (1913);
- "Mondine", (1952);
- "Donne della Resistenza", (1955);
- " La bambola brutta. Storia di Eloisa partigiana", nuova edizione del racconto pubblicato nel 1960, (2017). 
 
 
 La scrittrice Renata Viganò

 
 


 



 

 


 

 

 

 

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