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"Hypsas" di Valerio Mello.

 "Hypsas", Edizioni Ensemble, 2024, pagg. 55. "Incontro i morti sui margini dentati delle foglie, ospiti e pietrisco più brillanti - centellinando le veglie, perché i nomi vanno incontro a ciò che si ripete; e il sole di Eraclito è nuovo tutti i giorni. Quieta pulsione di ogni luogo, le acque sono tiepide e danno esile diadema, dolce fissità degli occhi ; morbide sculture sul bianco di parete accolgono corpi liberi"... Pensieri luminosi La raccolta di poesie di Valerio Mello è un percorso immersivo nella natura e del suo potere rigenerante, correlato però anche ad una visione particolare e aulica, quella delle antiche divinità che si trasformano  esse stesse in poesia. Un percorso di parole e immagini che come quadri astratti e simbolici accompagnano il lettore in una dimensione onirica. Ciò che mi ha maggiormente colpito è stato leggere della terra, di alberi, di erba, di pietre secolari che si intersecano nella millenaria conoscenza, con la civiltà del sapere. Una

"Maria Branwell. La madre delle sorelle Brontë" di Maddalena De Leo


 Vintage editore, 2021, pagg. 224.

 

Incipit

"Febbraio 1850

 Era perplessa e piacevolmente sorpresa. Per la prima volta nella sua vita stava per leggere quelle lettere riappropriandosi di qualcosa che le apparteneva e che, anche se giunta ormai alla soglia dei trentaquattro anni, ancora non conosceva. In esse avrebbe intravisto finalmente il modo di pensare che era stato di sua madre, indirettamente la radice del suo, e in un certo senso avrebbe potuto conoscerne il carattere. Solo ora il vecchio padre, fidandosi di lei forse perchè divenuta un'autrice famosa o perchè la vedeva troppo sola nella fredda canonica, le aveva consegnato quel pacchetto di lettere ingiallite dal tempo".

 

Pensieri luminosi 

Da diversi anni nei mesi invernali osservo l'alba dalla mia finestra in quelle mattine fredde, quando il cielo è ancora buio ma già limpido e le poche stelle stanno per diventare meno luccicose, lasciando il passo pian piano al sole. Mi piace vedere il raggio ancora rosa che si fa strada ed arriva ad illuminare il mio appartamento, in particolare il mio balcone di erica fiorita. Se lo guardo attentamente proprio in quell'attimo, forse suggestionata o forse no, mi sembra quasi di osservare in quei fiorelli colorati una leggera oscillazione, come fossero in qualche modo felici di assaporare di nuovo il tepore del mattino.
Perchè ho proprio delle piantine di erica sul balcone? Bene... come molti lettori appassionati delle sorelle Brontë ricorderanno, sono vissute in Inghilterra, nello Yorkshire in cui il paesaggio della brughiera costellata da erica selvatica ha fatto da sfondo alla loro vita e ai loro romanzi. Quella brughiera sferzata dal vento in cui la voce di Catherine si perdeva in mille suoni, mentre urlava disperatamente il nome del suo Heathcliff in "Cime tempestose" di Emily; la stessa brughiera in cui la giovane Jane Eyre ha dovuto perdersi per ritrovare sè stessa nel romanzo di Charlotte; e ancora la brughiera che nascondeva il segreto di Helen in "Wildfell Hall"di Anne.
Da adolescente ho letto questi romanzi e ne sono rimasta affascinata per la potenza descrittiva, per quella capacità di far diventare il paesaggio protagonista di un tormento, di un malessere, di una trasformazione interiore.
Nel mio piccolo desiderio di percepire almeno in millesima parte quel  luogo così magnetico, osservo quotidiamente con emozione le mie piantine, con la speranza che un giorno anch'io mi inoltrerò in quelle vallate brulle, punteggiate di fiorellini azzurri, violetta, rosa, bianchi mentre il vento sferzerà le colline e ne sentirò il fruscio nel viso.
L'erica è un arbusto resistente al freddo, che ama la penombra. É vigoroso, si piega alle bufere ma non si spezza e non lasciamoci troppo incantare dai suoi colori tenui. Se non si sta attenti qualche volta si rischia anche di pungerci con qualche rovo tra i piccoli boccioli. Una decrizione che calza a pennello con le personalità delle mitiche scrittrici prima citate e delle loro eroine apparentemente fragili, ma in reltà con una personalità forte.
Ho potuto fare tutte queste considerazioni e anche altre leggendo il romanzo di Maddalena De Leo che vi propongo in queste riflessioni. 
Questo scritto però non vuole far luce sulla sorellanza, ma  accompagnarci alle origini della loro nascita. Sì, perchè la penna della scrittrice si è soffermata su una figura che nessuno mai prima ha avuto il coraggio o la curiosità di portare alla luce: Maria, la madre di queste particolari e indimenticabili narratrici inglesi. In un certo senso senso si riesce così a far quadrare il cerchio, si comprende infatti in maniera più completa perchè avevano certamente un carattere risoluto come il padre Patrick, ma al contempo se la genetica ci insegna che il nostro patrimonio genetico è fatto dal 50% dal corredo del padre, l'altro 50% proviene dalla propria madre. Una madre descritta in un modo vibrante ed emozionante dall'autrice che ci porta a conoscere dapprima una ragazza spensierata e poi una donna matura, una moglie innamorata e una madre affettuosa.
Le pagine di questo libro così originale sono suddivise in due parti che diventano la geografia non solo territoriale ma anche una mappa dell'anima che fa di Maria Branwell al contempo una figura solare, di buon umore, piena di dolci aspettative racchiuse in un primo tempo in Cornovaglia, suo luogo natio. Un luogo descritto nel suo diario come un posto di ampio respiro, con le sue scogliere in cui si infrangono le onde dell'oceano Atlantico, i promontori rocciosi da cui spiccano castelli turriti, piccole spiagge dalla sabbia bianca e il mare azzurro.
Nelle prime pagine scritte dalla  protagonista troviamo i colori vivaci della sua giovinezza, la vita brulicante delle piccole cittadine, il commercio marittimo, le visite alle care amiche, il calore familiare di Penzance.
Qui la prima parte della sua vita trascorre lieta e conosce la felicità semplice e la libertà di decidere  della sua esistenza.
Maria, così lontana da noi nel tempo e nelle spazio, in realtà è altrettanto vicina per la sua frizzante voglia di vivere fra balli, nuove conoscenze e passeggiate all'aria aperta.
Ad un certo punto però la sua vita si trasforma, entra in campo il periodo della maturità e delle scelte importanti che pongono le basi per il futuro. A ventiquattro anni la Cornovaglia non le basta più o forse sente la necessità di qualcos'altro, ma sarà qualcun'altro che la completerà rendendola più matura e concreta.
Il paesaggio allora cambia e la luminosa Cornovaglia lascia spazio al più cupo Yorkshire. Abbandona quei riti, quelle superstizioni del posto e abbraccia le nebbie, le piogge e anche l'amore, il suo reverendo Patrick Brontë.
Ma, la sorpesa nella sorpresa è che questo è un romanzo nel romanzo. Infatti le pagine diaristiche di Maria, sono in realtà frutto della fantasia della figlia Charlotte, che nella sua arte creatrice ha inventato tenere, difficili, contrastanti vicissitudini della propria madre; momenti, attimi rubati all'oblio che verosimilmente possono essere accaduti. 
I momenti descritti hanno avuto forma e sostanza da un tesoro inestimabile: nove lettere realmente esistite che lo stesso padre di Charlotte le dona; mezzo e strumento per conoscere una madre purtroppo morta giovane e di cui lei non ha nemmeno un vago ricordo. Mi immagino Charlotte emozionatissima mentre commossa accarezzava quei fogli, quelle nove corrispondenze epistolari che Maria aveva indirizzato al suo futuro marito. Ecco che allora da quel resoconto emotivo sgorga una storia che la stessa figlia crea per sè stessa, per noi, attraverso la portentosa penna di Maddalena De Leo. Una scrittura, la sua, che si sovrappone a quella di Charlotte che a sua volta rivive nelle parole di sua madre. Un legame tutto al femminile, in un'unica scrittura che diventa un unico sentire. Una narrazione cristallina, densa di significato che ci regala uno spaccato di una donna che è vissuta tra fine Settecento e inizi Ottocento.
Un insieme armonico che viaggia tra fantasia e studio approfondito delle fonti. Nel 1850 Charlotte prende in mano il destino di sua madre e si nutre come ad una sorgente fresca e dissetante e ne raccoglie a piene mani il bene, la visione del mondo benigna, il carattere forte, la dolcezza ma al contempo la personalità passionale.
Come ho scritto prima una originale storia nella storia, caratterizzata da luoghi che plasmano, che determinano tante sfumature di una personalità che con coraggio e fede non si è mai abbandonata allo scoraggiamento, non si è mai abbattuta davanti alle avversità.
Vi lascio alla lettura, alla scoperta di pensieri, stati d'animo di una donna che ha fatto della sua seppur breve esistenza, un'opera di virtù e grazie a Maddalena di avercela fatta conoscere.

 

La mia lampada ha illuminato questa frase: 
"Ricordo appena che lì in piedi nel salotto della zia ci scambiammo qualche gentile frase di cortesia, come si fa di solito in questi casi, ma ancora mi rimprovero la mancanza di una vera conversazione nei primi minuti di quel primo nostro incontro".


 
Gli oli essenziali da utilizzare durante la lettura:
tre gocce di tea tree e tre gocce di rosa da sciogliere nel bruciatore di essenze con candela bianca neutra, per entrare in contatto con l'acume intellettivo e femminile della storia.

 

 

Un po' di luce sull'autrice
Maddalena De Leo è una docente di lingua inglese e una scrittrice. É una delle maggiori studiose italiane delle sorelle Brontë. Svolge consulenze per la rivista letteraria Brontë Studies; sulla stessa rivista ha pubblicato vari articoli in lingua inglese e ha curato e tradotto inediti di Emily e Charlotte Brontë.

 

 
Bibliografia essenziale
- "All'Hotel Stancliffe e altri racconti giovanili di Charlotte Brontë" (2004), cura e traduzione;
- "La risposta di Afsin" (2005), romanzo per ragazzi;
- "Un'@mica dal passato" (2006), romanzo per ragazzi;
- "Storie di geni e di fate" contenente storie brevi e giovanili inedite di Charlotte Brontë (2016), cura e traduzione;
- "Componimenti di Bruxelles di Charlotte Brontë e di Emily Brontë" (2017), cura e traduzione;
- " Juvenilia" di Charlotte Brontë (2017), cura e traduzione;
- "Emily Brontë" di Agnes Mary Robinson (2018), cura e traduzione;
- "Anne Brontë" di Will T. Tale (2020), prima biografia mai scritta su Anne Brontë, cura e traduzione;
 
 
INTERVISTA ALL'AUTRICE
 
Ciao Maddalena e benvenuta nel mio spazio letterario. Vuoi parlarci un po' di te?
Volentieri. Nasco come docente di lingua inglese, da sempre appassionata delle sorelle Brontë che per me hanno costituito un campo di azione culturale sin da giovinetta. Fui la prima socia  italiana della Brontë Society nel lontano 1975 laureandomi dopo pochi anni con una tesi sperimentale riguardante gli influssi shakesperiani sull'immortale romanzo di Emily. A partire dalla fine del ventesimo secolo iniziai quella che per me è poi divenuta quasi una missione di vita, la diffusione della conoscenza in Italia delle autrici Brontë attraverso conferenze e convegni in varie città, articoli, lavori e testi scolastici su di loro ma soprattutto attraverso la traduzione e la pubblicazione dei loro inediti nella nostra lingua. A tutt'oggi, a livello internazionale rivesto due importanti ruoli in ambito brontëano: sono consulente editoriale per il periodico Brontë Studies, l'unico al mondo completamente dedicato alle mie autrici e contemporaneamente referente BS per l'Italia.
Vivo in una piccola cittadina sul mare dell'Italia meridionale e la mia "Brontë Room", la biblioteca monotematica Brontë più fornita d'Italia, attira e viene spesso visitata da chiunque voglia conoscere o vedere qualcosa in più sulla famiglia delle autrici in questione.

Le prime pagine sono dedicate: "Alla terra incantata di Cornovaglia, epifania joyciana di questo romanzo". Che significato hanno queste tue parole che ricordano il grande scrittore irlandese James Joyce?
L'epifania per Joyce è notoriamente qualcosa di inaspettato che improvvisamente balza agli occhi pur essendo quasi scontata. Durante la gestazione del romanzo su Maria e di ritorno dal mio viaggio in Cornovaglia cercavo mentalmente un modo per connettere tutti i fatti appresi sul posto, le leggende e le vicende di vita che avevano portato quella giovane donna a trasferirsi lontano dalla sua terra ma senza esito. Avevo cioè bisogno di trovare un espediente letterario che rendesse la narrazione plausibile e credibile, sempre rimanendo nel genere del romanzo. Dopo lunghi giorni di ricerca mentale e pensieri senza esito, essendo estate decisi una mattina di andare a fare un bagno al mare, quasi per rinfrescare anche la mente da quel fuoco che mi tormentava da giorni. Ed ecco che, proprio in acqua, ebbi la fulminea ispirazione, proprio una vera epifania: nella mia narrazione sarebbe stata Charlotte, l'unica figlia sopravvissuta di Maria, a raccontare ai posteri sotto forma di un diario da lei ipoteticamente scritto, la vita avventurosa della propria madre. Ho poi ricostruito la storia intorno a questo asse di riferimento. 

La prima parte del romanzo ambientata in Cornovaglia è attraversata da racconti leggendari, pensieri superstiziosi, miti che si perdono nella notte dei tempi e che affondano le radici nell'antica storia anglosassone. Quanto studio e ricerca ci sono stati, da parte tua, per riportarli alla luce?
Quando mi recai in Cornovaglia per la prima volta nel 2010 già prevedevo che quel viaggio mi avrebbe sorpreso e regalato grandi emozioni riportandomi alle radici celtiche dell'amata terra britannica. Dopo aver ascoltato le persone del posto che mi parlavano del loro passato, mi documentai ampiamente per alcuni mesi acquistando a Penzance dei libri specifici sull'argomento e scoprii ben presto che in Cornovaglia si dà ancora oggi molto credito all'esistenza di giganti, di fate, di fantasmi e di streghe. Fu come una "full immersion" in un mondo magico e sconosciuto tutto da scoprire. Delineando la figura di Maria ritenni quindi utile e importante sfaccettare la personalità del mio personaggio con quelle superstizioni e quelle credenze tipiche delle giovani donne di allora, poco valorizzate dalla piatta routine quotidiana loro riservata. Impiegai quattro mesi di studio per calarmi in quella realtà iniziando solo dopo a scrivere.

Tu sei una delle maggiori studiose italiane delle sorelle Brontë. Cosa ti ha spinta tuttavia a realizzare un'opera che tratta invece della loro madre?
Da sempre sono stata attratta da questa figura nascosta e relegata nel dimenticatoio solo perchè morta quando ancora le figlie erano piccolissime, e chiaramente il fatto di crescere senza madre ha influito moltissimo su di loro e sul figlio Branwell. Sono certa che in casa, anche grazie alla presenza della zia che, provenendo dalla Cornovaglia, si prese cura di tutti e sei i nipoti, la figura della madre fosse spesso evocata, creando in loro quel senso di vuoto che tutti e quattro i figli superstiti portarono nei loro scritti. Stranamente però nessun critico o studioso delle Brontë  si era soffermato, nemmeno in Gran Bretagna, a delineare o ad approfondire la figura della loro madre prima di me. 
A tutt'oggi la mia "idea" è stata sviluppata da Sharon Wright, una giornalista inglese che nel 2018 ha pubblicato una biografia di Maria Branwell, chiaramente nota solo al mondo anglosassone. Ho avuto modo di scriverle, rivendicando la paternità dell'idea, per quanto la mia sia una versione romanzata, scoprendo con sopresa che la signora in questione non era nemmeno al corrente della mia opera (opportunamente da me depositata già da alcuni anni in lingua inglese presso la Biblioteca del Brontë Personage Museum e la British Library di Londra).

Nel tuo romanzo la figura femminile di Maria ha al contempo la dolcezza di accudire il focolare domestico ma anche la forza di seguire l'amore e le scelte che comporta. Quanto avrebbe da dire, secondo te, Maria Branwell alle donne di oggi?
Maria Branwell, anche se vissuta a cavallo tra il Settecento e l'Ottocento è una donna pronta ad accogliere nuove esperienze e a optare senza esitazione per le scelte azzardate a cui la vita la sottopone pur rimanendo una "figlia di famiglia" e in seguito una moglie devota e una madre dedita ai figli. É quanto apprendiamo dai pur brevi tratti biografici che la riguardano. Ma in quel suo spirito di iniziativa e nell'intraprendenza che dimostra andando via da sola dalla Cornovaglia verso l'ignoto dimostra di essere una donna moderna e coraggiosa, incurante dei rischi impliciti in quel suo atto di sfida alla società del tempo. Ed è facile riconoscere in questo suo spirito ribelle quello che caratterizzò in modo diverso l'opera di tutte e tre le sue famose figlie, considerata negli ultimi decenni "femminista". Per le donne di oggi Maria Branwell rappresenta un solido esempio e un monito da tenere in considerazione, perchè con il suo modo di essere così femminile e allo stesso temo con la tempra d'acciaio che la caratterizza riesce a imporre soprattutto oggi un modello di donna in grado di mediare con successo il preteso predominio sull'uomo.

Ho trovato molto interessante lo stile diaristico della protagonista che, raccontando a sè stessa le sue vicissitudini emotive, le rimanda a noi lettori. Perchè hai optato per questa scelta narrativa?
La scrittura sotto forma di diario era in passato un "must" per chiunque, non solo per le ragazze o donne anche maritate che scrivevano tutto ciò che loro accadeva giornalmente, ma anche per gli uomini che redigevano anch'essi quasi sempre un diario, come ci viene riportato dalla storia e anche in letteratura. Negli scritti giovanili di Charlotte troviamo alcuni suoi personaggi maschili alle prese con la redazione di un diario, come ad esempio in "Henry Hastings". La regina Vittoria scrisse per decenni diari ancora oggi tenuti segreti dalla casa reale britannica. Sicuramente una giovane di fine settecento quale fu Maria, impegnata a prender parte attiva nella vita sociale della propria città, doveva redigere un diario che registrasse le sue emozioni e i sentimenti più intimi perchè quella era praticamente la moda del tempo, e di sicuro lo fece, alla luce di quel poco che sappiamo della sua versatilità nella stesura delle lettere a Patrick e di un libello all'epoca mai pubblicato. Ecco perchè ho scelto di restituire ai lettori la sua immagine in questo modo diretto e soprattutto immediato ed efficace. Lo stile diaristico inoltre ha come punto forte la scrittura in prima persona, più sentita e personale, e rimanda al modo di scrivere di Charlotte in "Jane Eyre" o di Anne in "Agnes Grey", romanzi pseudo-autobiografici concepiti anch'essi quasi in forma di diario. In particolare ho pensato che far scrivere a Charlotte il diario degli avvenimenti di vita della propria madre avrebbe dato alla narrazione un aspetto ancor più verosimile.

Da grande appassionata brontiana quale sei, qual è stata la tua prima opera che hai letto delle mitiche sorelle e cosa ti ha colpito maggiormente di quella lettura?
Ben cinquant'anni fa nell'estate della mia seconda media, frugando nella biblioteca paterna, mi capitò fra le mani la versione tascabile di "Cime tempestose", ben conosciuto romanzo di Emily Brontë. Per me, giovane fanciulla già tendenzialmente romantica, leggere il libro fu un fatto immediato. Quella lettura così intensa, intrisa di figurazioni e creazioni dell'immaginazione mi esaltò. Il romanzo in breve per me non fu solo un fatto esterno ma diventò, e ciò attraverso il tempo, qualcosa di interiore. L'idea Brontë instillata in me dal libro letto in quell'estate non mi abbandonò più. Il mio sogno più grande negli anni seguenti fu di riuscire ad andare ad Haworth per vedere tutto ciò che la mente immaginava ma soprattutto per passeggiare nella brughiera, illudendomi di essere come Emily, eterea e immortale, o di trovare in quelle lande solitarie il mio immaginario Heathcliff, forte e tenebroso, oscuro eroe anche byroniano. E accadde veramente così una decina d'anni dopo, anche se Heathcliff non si materializzò.

Visitando i luoghi natii delle sorelle Brontë e della loro madre quali sensazioni hai provato a contatto con quei paesaggi, che hanno plasmato in maniera profonda le loro vite e le loro personalità?
Sinora sono stata otto volte nello Yorkshire e due volte in Cornovaglia.
Personalmente considero Haworth, il villaggio in cui le Brontë vissero per tutta la loro breve vita, come il mio "paese d'elezione" e sono pronta a tornarvi ogni volta che ne ho la possibilità perchè le sensazioni che quella zona mi offre con le sue brughiere ancora così intrise dello spirito brontëano sono ineguagliabili. Ho conosciuto durante i miei vari soggiorni tante persone del posto, ho imparato nel tempi i loro modi di fare e di pensare tanto diversi dai nostri, ho visto cambiare nell'arco di quarant'anni luoghi e persone. La presenza delle autrici sorelle si avverte però ancora in maniera  prepotente di sera quando nei dintorni della loro canonica e nei pressi della chiesa con l'annesso spettrale cimitero, volendo avventurarsi nella retrostante brughiera, ci si ritrova nel buio più completo con la sensazione di essere immersi in pieno Ottocento. Il freddo intenso, anche nel periodo estivo, contribuisce poi non poco a rendere l'ambiente spettrale. Sembra di essere proprio i personaggi dei loro romanzi!
La Cornovaglia si presenta invece con tutt'altro aspetto. É una terra ridente, con un clima gradevole anche se spesso ventoso, popolata da gente ospitale. Ambedue i soggiorni mi hanno vista a Penzance, da dove poi ho visitato i caratteristici dintorni: St Michael's Mount (che ho poi descritto nel mio romanzo con l'incredibile alternarsi della marea), Land's end, la punta estrema dell'Inghilterra da cui si osserva l'Oceano Atlantico. Parte del paesaggio, spesso brullo, sono le ciminiere solitarie delle antiche miniere di alluminio, oggi celebrate nella serie televisiva Poldark ma assolutamente sconosciute a noi italiani all'epoca del mio primo soggiorno in Cornovaglia nel 2010. Tutto ciò contribuisce non poco a dare l'impressione di vivere un sogno!

Molto interessanti ed emozionanti sono le nove lettere scritte dalla protagonista al futuro marito Patrick Brontë. Ho ritrovato in quelle missive un carico affettivo denso di speranze che solo la corrispondenza di penna può donare e che nel nostro tempo si è purtroppo perso. Cosa ne pensi?
Le lettere di Maria sono l'unica testimonianza scritta di suo pugno che ci rimane, oltre ad un breve libello sui vantaggi della povertà ecclesiastica e anche solo per questo sono importantissime. Il vedovo Patrick le custodì gelosamente per anni mostrandole a Charlotte quando lei si ritrovò sola dopo la morte degli altri suoi figli pensando di poter lenire in qualche modo in lei il senso di vuoto. 
Attraverso le nove lettere Charlotte ebbe così modo di conoscere la mente ed il carattere di quella donna sconosciuta che le aveva dato la vita e anche noi lettori leggendole, a distanza di due secoli, abbiamo l'opportunità di intravedere la ragazza intrepida, speranzosa e soprattutto innamorata dell'uomo che sta per sposare. É bellissimo poter condividere le sue speranze per il futuro e le intenzioni con cui si prepara ad una vita matrimoniale che già si profila non facile, grazie all'aggettivo "saucy" attribuito all'irrequieto fidanzato. Trapela dalle lettere non solo il suo carattere deciso ma anche quella profonda fede in Dio che l'avrebbe sostenuta in seguito nei momenti più bui della malattia. 
In un'epoca come la nostra in cui i sentimenti non vengono più espressi su carta, in cui la comunicazione anche amorosa spesso si limita a laconici messaggi telefonici o a farsi spezzate e inconcludenti, è quasi incredibile riscoprire questo aspetto del corteggiamento dei secoli passati, cioè la missiva con la relativa attesa di una risposta che è espediente gradevole di cui abbondano anche i romanzi del XIX secolo. Le nove lettere di Maria sono però veri frammenti del suo mondo e rimangono al di là del tempo una testimonianza di grande valore e il modo migliore per veicolare  il suo mesaggio d'amore e di ringraziamento verso la vita.
 
Hai altri progetti in cantiere?
Ho sempre nuovi progetti da proporre riguardanti le mie Brontë. Al momento ho quasi pronto un nuovo testo in traduzione da me curato e realizzato durante la pandemia e da alcuni anni un romanzo, ancora nella mia traduzione in lingua italiana, di una autrice belga alla quale però bisognerebbe pagare i diritti internazionali. La vera difficoltà sta nel trovare l'editore giusto che possa dar valore a quanto propongo. Anche se ormai le Brontë in Italia sono da lungo conosciute, non sempre si è disposti ad investire su di loro come si farebbe per un autore nostrano. Io però non demordo, vuol dire che attenderò l'occasione giusta.

Grazie per aver condiviso le tue riflessioni.
Grazie a te.
 

La scrittrice Maddalena De Leo


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