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"Hypsas" di Valerio Mello.

 "Hypsas", Edizioni Ensemble, 2024, pagg. 55. "Incontro i morti sui margini dentati delle foglie, ospiti e pietrisco più brillanti - centellinando le veglie, perché i nomi vanno incontro a ciò che si ripete; e il sole di Eraclito è nuovo tutti i giorni. Quieta pulsione di ogni luogo, le acque sono tiepide e danno esile diadema, dolce fissità degli occhi ; morbide sculture sul bianco di parete accolgono corpi liberi"... Pensieri luminosi La raccolta di poesie di Valerio Mello è un percorso immersivo nella natura e del suo potere rigenerante, correlato però anche ad una visione particolare e aulica, quella delle antiche divinità che si trasformano  esse stesse in poesia. Un percorso di parole e immagini che come quadri astratti e simbolici accompagnano il lettore in una dimensione onirica. Ciò che mi ha maggiormente colpito è stato leggere della terra, di alberi, di erba, di pietre secolari che si intersecano nella millenaria conoscenza, con la civiltà del sapere. Una

"Magnificat" di Sonia Aggio

 


Fazi editore, 2022, pagg. 202.


Incipit

29 giugno 1958

"Il vento comincia a soffiare dal mare, scuote la capannina, nient'altro che un telo teso su quattro rami; il sole filtra attraverso il tessuto sgualcito e le piove sulla faccia. Nilde alza la mano, ma la luce continua a passarle tra le dita e la infastidisce.
Si mette a sedere.
Intorno a lei, i teli colorati sbattono al vento, i bagnanti abbronzati e gocciolanti vanno avanti e indietro dal mare del pomeriggio, di un blu vertiginoso".
 
Pensieri luminosi
 
Mentre leggevo questo romanzo la mia mente ha fatto memoria, in maniera del tutto spontanea, di una poesia breve ma intensa di Giovanni Pascoli che recita così:
 
"Temporale"
Un bubbolìo lontano...
Rosseggia l'orizzonte,
come affocato, a mare:
nero di pece, a monte,
stracci di nubi chiare:
tra il nero un casolare:
un'ala di gabbiano.
 
In questa poesia il tema principale è, come riporta il titolo, l'arrivo di un temporale. Poche parole ma efficacemente evocative che descrivono un fenomeno naturale a livello sensoriale.
Suoni che si espandono nello spazio che riempiono l'aria, danno colore alla scena in un rosseggiante orizzonte che si preparara ad accogliere saette e a far udire tuoni. Un'atmosfera d'attesa, elettrica. La natura sa cosa accadrà ed è in trepidante attesa. I fiori dilatano le loro corolle per bere la pioggia ristoratrice, nei prati i fili d'erba ondeggiano  e lasciano andare nel vento il profumo della terra in cui sono piantati. Il nero di nuvole che si rincorrono coprono porzioni ancora azzurre di cielo. In mezzo a quell'imminente tempesta appare anche un casolare; un rifugio, una protezione non solo fisica ma che rincuora l'animo agitato e impaurito.
Immagini e sensazioni che ho ritrovato in maniera totale nel romanzo di Sonia Aggio "Magnificat". Uno scritto che ha una grande potenza descrittiva, soprattutto nel tratteggiare un luogo così particolare come il Polesine e le vicende drammatiche del novembre 1951, l'anno dell'esondazione del Po, il grande fiume.
Come nella poesia del Pascoli la scrittrice con la sua prosa ci restituisce una visione ampia di un paesaggio contadino, racchiuso nella sua purezza, incontaminato. Natura che si racconta nella sua natura inquieta, in un susseguirsi di sussurri e grida del vento tra i tipici pioppeti del rodigino e dei gemiti dei canneti che dondolano come impazziti a causa di raffiche tempestose sempre più forti, ma anche descritta nelle sue assolate giornate estive, dove anche le ombre sembrano  nascondersi.
C'è però come ho scritto poco fa un casolare, una piccola abitazione in cui vivono, come due sorelle unite dalla sorte (i genitori sono periti durante un bombardamento della seconda guerra mondiale) e dalla parentela (sono cugine) Nilde e Norma, due ragazze del luogo.
Proprio in questa piccola e modesta abitazione le due giovani trascorrono la loro esistenza, svolgendo le loro incombenze familiari con grande affinità; una particolare sorellanza in cui l'una è sostegno dell'altra. Ogni loro gesto, ogni sguardo, ogni parola racconta di  un legame solido che niente e nessuno potrà scalfire. Esistenze che sembrano scorrere placide come le acque del Po che lambiscono gli argini del territorio in cui vivono.
Ma un giorno, un pomeriggio di giugno assolato Norma torna a casa ferita, gli occhi rabbiosi, il viso allucinato. É caduta dalla bicicletta mentre percorreva sentieri conosciuti, ma la natura a volte inganna, gioca brutti scherzi. Questo apparente banale incidente l'ha fatta cadere rovinosamente a terra. Aveva nelle tasche una manciata di ciliegie mature, dolci e di un rosso cupo che nell'impatto si sono schiacciate, macchiando il vestito immacolato, come sangue vivo.
Da quel momento in poi il rapporto fra le due cugine non sarà più lo stesso. La complicità, l'altruismo, la generosità scompariranno del tutto perchè Norma non sarà più la stessa. Accecata da una strana luce interiore che la terrorizza e la dilania inizia ad allontanare da sè la cugina in malo modo, con parole crudeli e atteggiamenti duri, sferzanti, arrivando addirittura quasi a torcerle il braccio. Inoltre, ogni qualvolta che il cielo si rabbuia, per un imminente temporale estivo, fugge via, veloce, a perdifiato, lontano da Nilde che ne rimane sconvolta. Si intrufola in canneti, scompare dietro ai pioppeti, quasi a diventare tutt'uno con la terra, la natura, il  paesaggio. Quando torna è sempre disordinata, con i capelli arruffati, i vestiti strappati, come ubriaca di pioggia e di vento.
La scrittrice Sonia Aggio fonde, con una scrittura suggestiva e simbolica, colorata il paesaggio placido del Polesine nello sguardo e negli atteggiamenti di Nilde, pacata, tranquilla che lavora il ricamo quasi a costruire strade note, sicure, senza scossoni per la sua esistenza con quello più violento, impetuoso, instabile del viso di Norma; un Polesine aggressivo e pauroso. Uno sguardo scuro, come le acque nere di pece che passano e travolgono in maniera incontrollata. Un fiume che rompe impetuosamente gli argini e distrugge tutto ciò che trova nel suo cammino.
E come il grande fiume irrompe, spezza, anche la stessa narrazione risulta spezzata, sospesa come se le stesse acque fangose si fossero inserite tra le parole a rendere l'atmosfera particolare che mi ha sopraffatto, lasciandomi spesso come in apnea, in una febbricitante tensione emotiva del non detto e ardentemente curiosa di leggere una pagina dietro l'altra.
A metà circa del romanzo però, il punto di vista cambia e la narrazione prima di Nilde viene portata avanti da Norma che  racconta qualcosa di ancor più tremendo e pauroso.
Nel frattempo il grande fiume si sta ingrossando; la grande alluvione si sta facendo strada strisciando fra una parola e l'altra; le acque hanno acquisito forza e, provenienti dal mantovano, si sono fatte irruenti. La popolazione ode sibili sinistri, e ora il fiume è come un mostro liquido che avanza e travolge tutto ciò che trova. Invade campi, allaga le case, porta via l'ossigeno agli animali, inghiotte avidamente vite. Pioggia fitta, torrenziale cade dal cielo nero della notte fino a soffocare strade, ponti e argini e la campagna soccombe alla sua veemenza. Pioggia, pantano, fango, vento, grida, nebbia si mescolano a miti e leggende a cui quella terra è legata. Zolle marroni, radici di alberi che cercano di resistere come i quotidiani sacrifici di chi quella terra l'ha vissuta e coltivata per anni. Gente del Polesine e la "Signora del fiume" che può essere portatrice di abbondanza e fertilità e al contempo portare via con sè in maniera tanto aggressiva ciò che un tempo aveva reso vitale.
Una narrazione che semina elementi realistici, storici a quelli della credenza popolare che Norma rivela dopo averli visti come in uno scrigno segreto. Lei riesce a sentire, al di là del fruscio delle fronde degli alberi, una voce di tenebra, una eco ancestrale. Ha compreso una verità agghiacciante, in bilico tra sogno e realtà, tra desiderio e timore ed è andata oltre il limite feroce e ingombrante della superstizione.
Ho lottato anch'io come Nilde per capire, per decifrare lampi di sogni; ho cercato di prendere per mano Norma, ma lei mi ha respinto; quella storia secolare non doveva essere interrotta perchè ne valeva la vita della stessa Nilde e allora Norma si è lasciata andare al suo destino.
Una visione gotica da parte dell'autrice, a tratti illuminata da lampi di luce, come una lanterna che porta luce nelle profondità dell'animo umano, nelle sue paure più recondite nei confronti di una natura che si rivela a tratti benigna e a tratti dimostra il suo profilo pauroso se maltrattata dall'uomo.
C'è però nella scrittura di Sonia Aggio (nel suo esplosivo esordio narrativo) anche un qualcosa che dona speranza, nonostante tutto ed è proprio nel titolo stesso del suo romanzo del quale lascio a voi scoprire il suo significato conturbante.
 

 
La mia lampada ha illuminato questa frase: 
"All'improvviso sente un risucchio. Il fulmine è una linea storta, una luce azzurra, accecante. Lei cade in ginocchio, si preme le mani sulle orecchie, ma lo schianto le passa attraverso la carne e le fa tremare il petto.
Quando riapre gli occhi, è seduta nel fango e ansima, le orecchie che fischiano.
Il terzo pioppo da sinistra è spezzato, la cima è a terra, il ceppo è di un arancione incandescente". 
 
 
 
Gli oli essenziali da utilizzare durante la lettura:
tre gocce di timo e tre gocce di cannella da sciogliere nel bruciatore di essenze con candela bianca neutra, per fare memoria delle terre del basso veneto e riscaldare il cuore dal freddo dei sentimenti.
 

 
 
Un po' di luce sull'autrice
Sonia Aggio (Rovigo, 12 novembre 1995) è una scrittrice italiana. Laureata in Storia, lavora come bibliotecaria. I suoi scritti sono stati segnalati più volte dalle giurie di premi importanti come il Premio Campiello e il Premio campiello Giovani. Tra il 2018 e il 2020  ha collaborato con il lit-blog Il Rifugio dell'Ircocervo e, nel tempo, ha pubblicato diversi racconti con Lahar Magazine, L'Irrequieto, Narrandom e Altri Animali.
 

 

INTERVISTA ALL'AUTRICE

Ciao Sonia e benvenuta nel mio spazio letterario. Vuoi parlarci un po' di te?
Ciao e grazie per l'invito. Su di me non c'è molto da dire: sono una ragazza di ventisette anni, laureata in Storia, e lavoro come bibliotecaria. Mi considero una lettrice forte, e "Magnificat" è il mio primo romanzo.

Come è stata la genesi del tuo romanzo?
Ho cominciato a scrivere il romanzo nell'estate del 2018, anche se in precedenza avevo già scritto dei racconti che rappresentavano il nucleo della storia e dei personaggi. Ci sono state poi altre cinque riscritture, prima che il romanzo approdasse in Fazi.

La tua dedica è: "Ai maestri che mi hanno spronato a credere in me. Avrei voluto mostrarvi questo libro". Chi sono stati i tuoi maestri per i quali hai un debito di riconoscenza così grande?
Si tratta di due insegnanti (storia e letteratura il primo, inglese il secondo) che ho conosciuto durante le scuole superiori e che hanno avuto una forte influenza su di me. Purtroppo sono entrambi mancati prematuramente, prima che "Magnificat" venisse pubblicato.

Interessanti sono le citazioni che hai scelto per introdurre il romanzo, non solo perchè sono calzanti alla tematica narrata, ma anche perchè l'una ha una derivazione biblica (Genesi) e l'altra (Don Camillo, G. Guareschi) diciamo più laica. Perchè hai scelto proprio queste due citazioni?
La citazione della "Genesi" riguarda il Diluvio Universale: un evento catastrofico ma che porta alla nascita di un mondo nuovo, com'è accaduto con l'alluvione che fa da sfondo al libro. La frase di Guareschi era perfetta perchè coniugava l'acqua e il femminile, due elementi cardine del romanzo.

Il tuo scritto è una narrazione che si nutre di superstizioni, credo religiosi, riti ma è anche un appuntamento con la storia tragica dell'alluvione del Polesine del 1951. Quanto studio c'è stato in questo tuo doppio lavoro di ricerca?
Tanto, poco? Non saprei dire. Ho fatto del mio meglio, leggendo e studiando molto, e devo dire che sono soddisfatta del risultato finale. Tutto ciò che riguarda le scene dell'alluvione è tratto da una testimonianza o da uno studio sul tema; per quanto riguarda i riti/miti, sono stata forse meno legata alle fonti, ma la storia ne ha guadagnato in autenticità.

Dalle tue pagine la natura esce con un profilo placido e benevolo, ma al contempo buio, tragico. Un argomento di forte attualità, che vede l'umanità in relazione alla natura che fa sentire tutta la sua drammatica forza se non tutelata. Cosa ne pensi al riguardo?
Ho cominciato a scrivere "Magnificat" nel momento in cui si cominciava a parlare più diffusamente di cambiamento climatico. Anche se il romanzo non ha l'obbiettivo di sensibilizzare sul tema, gli eventi catastrofici degli ultimi anni hanno influito sull'atmosfera generale.

Nilde e Norma, le protagoniste della storia che hai scritto sono legate da un legame davvero forte e, seppur essendo cugine, il loro sembra davvero essere una relazione potente quasi come quello tra sorelle. Se dovessi definire il loro legame con una parola quale utilizzeresti e perchè? 
Sceglierei: costante. Nilde e Norma hanno la possibiltà di separarsi o di perdersi, ma scelgono di rimanere insieme e di amarsi a dispetto di tutto.

Nel romanzo è presente un richiamo molto significativo alla storia dell'arte che si può rintracciare già nel titolo che si riferisce a "La Madonna del Magnificat" di Sandro Botticelli. Oltre la scrittura questa tematica ti appassiona in particolare?
Non sono particolarmente appassionata di arte, anche se la trovo confortevole, in un certo senso. Forse per averla studiata in maniera approfondita a scuola e all'università.

Cosa significa per te scrivere?
Scrivere è meraviglia, esplorazione, gioia. É un'attività che mi fa stare bene, che faccio con piacere e con la consapevolezza di cavarmela abbastanza bene.

Hai altri progetti in cantiere?
Al momento sto lavorando a un romanzo storico più classico, ambientato nel Medioevo, ma ci sono molti spunti e molte idee che vorrei approfondire nei prossimi romanzi!

Grazie di aver condiviso le tue riflessioni.
Grazie a te.


 
La scrittrice Sonia Aggio
 
 
 

 

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