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"Hypsas" di Valerio Mello.

 "Hypsas", Edizioni Ensemble, 2024, pagg. 55. "Incontro i morti sui margini dentati delle foglie, ospiti e pietrisco più brillanti - centellinando le veglie, perché i nomi vanno incontro a ciò che si ripete; e il sole di Eraclito è nuovo tutti i giorni. Quieta pulsione di ogni luogo, le acque sono tiepide e danno esile diadema, dolce fissità degli occhi ; morbide sculture sul bianco di parete accolgono corpi liberi"... Pensieri luminosi La raccolta di poesie di Valerio Mello è un percorso immersivo nella natura e del suo potere rigenerante, correlato però anche ad una visione particolare e aulica, quella delle antiche divinità che si trasformano  esse stesse in poesia. Un percorso di parole e immagini che come quadri astratti e simbolici accompagnano il lettore in una dimensione onirica. Ciò che mi ha maggiormente colpito è stato leggere della terra, di alberi, di erba, di pietre secolari che si intersecano nella millenaria conoscenza, con la civiltà del sapere. Una

"Ius sanguinis" di Maria Laura Antonini

 


Diadema Edizioni, 2022, pagg. 198.


Incipit

"Stinco era magro, molto magro, non a caso lo chiamavano così.
Correva come un pazzo tutto il giorno, in sella al suo motorino truccato, cavalcando forsennato le sponde dei due torrenti che incidevano la valle come ferite, essiccate dal sole d'estate, grondanti di sangue d'inverno. A casa non tornava mai, e perchè avrebbe dovuto tornarci? Per sentire i lamenti di sua madre? Una nenia senza fine. Tanto poi ad ascoltarli, i lamenti intendo, restava sua sorella, più piccola di sette anni e capace di sopportarli meglio di lui".

Pensieri luminosi
 
L'espressione ius sanguinis deriva dal latino giuridico che significa il diritto (basato sui legami di sangue) secondo cui un figlio nato da padre o madre italiana è di fatto italiano.
Vorrei soffermarmi alle parole "legami di sangue", al di là del significato giuridico, di cui questa storia è intrisa. Sono infatti legami sanguigni quelli che esistono nella famiglia Morini: padre, madre, figlio maschio e figlia femmina.
La scrittrice Maria Laura Antonini ci accompagna negli intricati, complessi e particolari legami familiari in cui la famiglia stessa diventa palcoscenico, rappresentazione dei più svariati sentimenti: dal coraggio all'impegno, dal sacrificio alla riconoscenza, dall'affetto alla gratitudine, ma anche il desiderio viscerale di allontanamento, l'odio, il rancore, la sofferenza. Lo spartiacque dei sentimenti all'interno di questo nucleo familiare è il padre Francesco che, con totale menefreghismo ed egoismo, decide di rifarsi una vita con una nuova compagna. Leggendo la caratterizzazione di questo personaggio mi è venuta in mente quella del dottor Guido Tersilli, o meglio la di lui madre, nel famoso film interpretato da Alberto Sordi. Infatti il padre, poi ex marito, come quel Guido è un medico. Una realizzazione professionale che ha contribuito in gran parte la madre Fosca a rendere possibile. Ha idolatrato la sua figura, ponendola su un piedistallo dal quale lui non è mai sceso. Per questo motivo si sentiva in grado di realizzare tutto ed ottenere tutto quello che voleva. Per la madre non esisteva altro che quel suo figlio per il quale aveva investito tutta la sua vita, le sue speranze di madre orgogliosa di chiamarlo per sempre dottore in ogni occasione.
Ma mentre il film vira i suoi contenuti dal sarcastico all'ironico, nel romanzo invece c'è tutto il dolore di una scelta scellerata da parte di quest'uomo alfa che come hobby ama cacciare e pescare, non solo anatre e pesci, ma soprattutto donne, femmine dalle quali si sente attratto e lui allora getta la sua esca in particolare su una certa Mara e lei abboccherà, dapprima come docile preda, successivamente come colei che dirigerà i di lui sentimenti, invischiandolo metaforicamente nel suo stesso retino da pesca.
Nel romanzo però, come ho accennato prima, si traccia con profondo scavo psicologico ciò che quella scelta ha comportato e si focalizzerà sui successivi comportamenti che i figli e la moglie hanno addottato per sopravvivere, modificando per sempre il loro destino di esseri umani.
Stinco-Alfredo se ne andrà via presto di casa, annusando quell'aria pesante e per nulla costruttiva che sente in avvicinamento. Avverte il pericolo di una disgregazione e non vuole esserci quando questo accadrà, per non farsi troppo male.
La moglie Adele, insegnante, con quel suo carattere mansueto accetterà quella situazione. Mangerà il fiele amarissimo di essere stata spodestata come unico amore del marito; i suoi occhi non si poseranno più su di lei come la prima volta che l'aveva vista; lei continuerà ad amarlo, persistendo a farsi del male, a pensare che un giorno tutto forse sarebbe tornato come un tempo.
La figlia Miriam, invece, cercherà in qualche modo di fare da ponte tra la madre e il fratello, di minimizzare certo sguardi, certe parole del padre, quel suo atteggiamento ormai lontano, perso in una nuova sottana.
In queste pieghe tragiche, utilizzando parole argute, pensieri sinceri, sarcastici, a volte ironici che l'autrice mette in bocca e nella mente dei suoi protagonisti, ne esce un romanzo in cui il focolare domestico è ormai limitato ad un piccolo fumo triste; le braci ormai sono tutte spente. Si innesta così un tritacarne in cui scelte, per lo più consapevoli, vanno ad innestarsi ad altre scelte disastrose che comporteranno a loro volta altre scelte.
Il romanzo narra di una piccola epopea intima, di una fra le tante innumerovi famiglie italiane che dalla fine degli anni sessanta del Novecento attraversa il tempo e come un album di foto vediamo crescere fratello e sorella, legati da un profondissimo affetto; di presenze e di assenze che si susseguono negli anni.
Ma mi piace ricordare di questa storia, di cui vi lascio scoprire in maniera più approfondita le dinamiche, alcuni valori che, secondo me, riescono a rendersi visibili e acquistano vigore.
Certamente in questo romanzo si narra una storia come è logico che sia, ma soprattutto si racconta, e non è così scontato, una storia dei sentimenti che si evolvono e acquistano sempre più spessore man mano che la trama si dipana, si fanno largo e si ingigantiscono fino ad assurgere a protagonisti essi stessi con un proprio nome. Il primo che mi viene in mente è il sentimento-personaggio della riconoscenza, che si tramuta nell'intenzione, in quella comsapevolezza di poter ricambiare un grande beneficio, direi primordiale, verso qualcuno che abbiamo amato in maniera viscerale; il secondo è la gratitudine che è simile alla riconoscenza, ma che si carica di amore infinito; un altro sentimento è l'empatia, quella sorta di capacità di porsi in comunicazione dell'altro, a volte, anche di chi abbiamo per la prima volta davanti a noi; il sentimento della libertà, che non è solo un valore, ma qui assume proprio una connotazione più ampia, il sentirsi liberi, la consapevolezza di non essere più al giogo di nessuno, e vedere sè stessi con occhi nuovi; la comprensione, in quella sorta di vicinanza e partecipazione alle difficoltà altrui e molti altri che si possono leggere sottotraccia e che lascio a voi scoprire.
Grazie Maria Laura per il bene che, nonostante il dolore acuto e lancinante, viene alla luce in questo tuo lavoro e allora è bello pensare a Miriam, ormai cinquantenne che guarda l'oceano che le scompiglia i capelli ma la rende salda nel guardare, ancora una volta, il domani.

 
La mia lampada ha illuminato questa frase:
"Miriam chiedeva scusa al mondo, cominciando molto presto di mattina. Stinco scosse la testa e la guardò negli occhi con un lampo feroce e allora Miriam pensò che forse avrebbe dovuto scusarsi anche con lui perchè stava abbracciando Mara per scusarsi con lei del fatto che lui non l'avesse salutata e che anzi la trattava in maniera palesemente maleducata. Un incrocio folle di pensieri, un intreccio di sensi di colpa che cominciò ad affacciarsi nella sua testa in quegli anni e che l'avrebbe imprigionata per sempre. Infruttuosa ogni manovra di resistenza, ogni atto sovversivo progettato dal fratello, ogni suo stesso tentativo di evasione: Miriam era nata vittima e là, tra le vittime, voleva rimanere".
 
 
Gli oli essenziali da utilizzare durante la lettura:
tre gocce di arancio e tre gocce di rosa da sciogliere nel bruciatore di essenze con candela bianca neutra, per allentare la tensione nervosa e ri-trovare la sensibilità femminile.
 
 

Un po' di luce sull'autore
Maria Laura Antonini (23 novembre 1967) è una scrittrice italiana. Dopo la maturità scientifica si è iscritta alla facoltà di Giurisprudenza e si è laureata nel 1991. Esercita la professione di avvocato dal 1994 a Perugia, dove attualmente vive e lavora.
 
 
 Bibliografia essenziale
- "Un colpo d'ala, all'improvviso" (2015);
- "Modalità provvisoria", raccolta di racconti (2017);
- "L'ultima domenica d'inverno" (2017)
 
 
 
INTERVISTA ALL'AUTRICE
 
Ciao Maria Laura e benvenuta nel mio spazio letterario. Vuoi parlarci un po' di te?
Non c'è moltissimo da dire. Ho frequentato il Liceo Scientifico, studiato giurisprudenza, svolgo la professione di avvocato da tantissimi anni, dal 1994 forse, non me lo ricordo neanche più. A volte penso che se dovessi inviare un curriculum professionale, sarebbe di poche righe, seppur in quelle righe è passata tanta vita, la mia e quella di altre persone insieme a milioni di storie.

Il titolo così come la copertina mi incuriosiscono molto. Come mai hai optato per queste scelte?
Amo il latino, la capacità di sintesi di una lingua che non è mai morta. Avevo una mamma che lo insegnava, lo conosceva  e ne faceva un uso quotidiano e disinvolto, mai spocchioso o arrogante. Era come se dicesse: te lo dico in questo modo, così io faccio prima e tu capisci meglio.
Gli anni dell'Università mi hanno insegnato che concetti di diritto apparentemente contorti e complicati potevano essere risolti con una frase, latina appunto. Il titolo del libro affonda però nell'analisi, da adulta, degli anni dell'infanzia, nella scoperta di quanto il posto da dove vieni, la culla in cui sei nata, possano condizionare il tuo futuro. 
Una benedizione a volte, una maledizione altre. Ius sanguinis è la storia dell'appartenenza ad una famiglia complicata, allegra, stimolante, dolorosa. Un tributo e un grazie a quello che è stato (per me come per altri), ma anche il tentativo di un'analisi lucida su quello che sarebbe potuto andare diversamente se nelle vene dei protagonisti del libro fosse scorso sangue diverso.
La copertina invece nasce da un'opera di Valeria, studentessa all'Accademia delle Belle di Firenze, una giovane donna che stimo tantissimo. L'originale ritraeva una ragazzina, dai tratti del viso straziati dal dolore, che abbracciava, di spalle, un ragazzo più alto e senza volto. Il tratto era a china, rosso e nero. L'immagine mi ha colpita subito ma ho sentito che era troppo forte come copertina di un libro, per cui le ho chiesto se potesse far passare quello stesso  amore fraterno, in un disegno meno crudele e lei lo ha fatto, un po' di malavoglia, devo ammetterlo, ma mi ha accontentata.
Se noti, Miriam ha le mani scheletriche ma dalle braccia e dalle dita stanno sbocciando cose nuove, sentori di una primavera ancora lontana ma che arriverà. Stinco la stringe, lei sa che la ama ma che se ne andrà, perchè non può fare diversamente. In copertina c'è l'addio tra un fratello e una sorella e il sentore di un amore sfortunato che non finirà mai. Io amo quel disegno, la sua autrice un po' meno; dice che non la rappresenta (la comprendo, a ventun anni è difficile accettare compromessi); rappresenta il libro però e la storia nascosta tra le sue pagine.

Come sempre leggo con interesse le dediche, quando ci sono. Nel tuo romanzo c'è una dedica e anche una citazione. Potresti parlare un po' di queste tue?
La dedica è ai miei figli. Alessandro il più grande e Gianluca il più piccolo. In realtà sono quasi coetanei e la scelta di non andare in ordine cronologico è perchè il minore lamenta sempre e scherzosamente una mia ipotetica, mai verificata e impossibile da verificare, perchè inesistente, preferenza per il più grande. É quasi un gioco, uno scherzo tra noi tre. Nel contenuto invece il libro è dedicato a Gianluca e ad Alessandro perchè ho cercato di crescerli con un forte concetto di libertà e di autonomia. Fin da piccoli li ho sempre trattati, sentiti, cresciuti come due persone diverse da me. I bambini sono esseri umani, piccoli di stature, ma essere umani e non nascono con debiti di riconoscenza verso nessuno, genitore uno e genitore due compresi. Al tempo stesso però, sentivo l'esigenza di raccontare una storia che, seppur maneggiata con distacco, era inevitabilmente anche la loro. La citazione è un augurio che faccio ad entrambi: qualunque cosa sia successa, da qualunque famiglia, paese, continente voi veniate, avete la possibilità di fare a modo vostro, di cambiare il destino e magari di provare anche ad essere felici, liberi sicuramente.

La storia è ambientata alla fine degli anni settanta del Novecento. Questo contesto storico ti ha appassionato di più rispetto ad un altro?
Di solito scrivo di cose che conosco. Non studio, non approfondisco, non ho niente da insegnare a nessuno, la mia intenzione non è certo quella di redigere un accurato saggio storico. Mi fanno pure un po' paura le scuole di scrittura, i professori che ti insegnano a costruire l'intreccio, ad alimentare la suspence. Sono figlia degli anni settanta, sono cresciuta in una famiglia senza regole ma anche senza pregiudizi, senza la paura del diverso. Perugia era già allora la prestigiosa sede dell'Università per Stranieri ed eravamo fieri e orgogliosi di avere studenti provenienti da tutte le parti del mondo seduti sulle scalette del Duomo, a spasso per Corso Vannucci. Amo quegli anni non perchè abbia particolare nostalgia della mia infanzia o della mia giovinezza, semplicemente perchè li sentivo liberi e carichi di speranza, perchè erano stati il terreno di conquiste che ora sembrano essere rimesse quotidianamente in discussione. Mi appassiona quel periodo perchè rispetto al presente, paradossalmente, mi sembra il futuro.

Uno dei protagonisti del libro è Stinco-Alfredo che deve affrontare l'esame di maturità. Un momento della propria vita che, per chi l'ha sostenuto, è ricordato con un misto di timore e felicità. Se dovessi ripensare al tuo, quali sensazioni ti sono rimaste?
Sono stata una studentessa fortunata, fin da bambina. Ho avuto insegnanti di valore, di grande spessore umano e professionale. La scuola è sempre stata per me un luogo sicuro, protetto, fonte di grandi gratificazioni e soddisfazioni. La vita un po' meno, ma non importa. Ricordo nitidamente il giorno del mio orale di maturità. Non avevo chiuso occhio, nella testa ripassato per tutta la notte il programma. Per fortuna ero la prima, per via del cognome che inizia con la A, altrimenti temo sarei crollata prima delle 11:00 di mattina. Ricordo le domande e l'ultima su Hegel. La mia risposta ragionata, dopo una lunga esitazione, il commento del Presidente della commissione, professore di filosofia "É questo che volevo sentirle dire". In quel momento mi sono girata e c'era tutta la classe ad ascoltare. Non mi ero resa conto che, alla spicciolata, in silenzio, piano piano, erano arrivati tutti gli altri. Ricordo il loro sorriso amichevole e la frase, scolpita nel cuore, di Stefano, ruvida ma affettuosa, come lui "Dai Antonini che questo sessanta ce lo portiamo a casa". Gli anni della scuola, di tutta la scuola, sono stati anni felici.

Miriam Morini e la sua famiglia (eccetto il fratello Stinco) trascorrono il Natale del 1978 in Sardegna, nella Barbagia, un luogo che susciterà in lei un forte disagio. Qual è stato invece per te, un Natale o una ricorrenza che al contrario ti ha portato gioia?
Io non amo molto le feste comandate. Mi fanno una terribile tristezza il Natale, il capodanno, le feste di carnevale; sopporto con fatica i compleanni, cerco scuse di continuo, mi nascondo. Chi mi vuole bene lo sa e non se ne prende a male.
C'è stato un giorno però, il 10 luglio del 2019, che ricordo come luminoso. Alessandro mio figlio più grande, secondo nella dedica, si è laureato a Bologna. La conclusione rapida e indolore di un corso di economia e finanza in lingua inglese. Ha discusso una tesi su quanto la legalizzazione delle droghe leggere avrebbe influenzato il pil del Paese. Era sicuro, tranquillo... sorrideva, gesticolava. Aveva intorno me, suo fratello (il primo nella dedica) e un sacco di amici a fare festa, felici, commossi, affettuosi. Mi è arrivata addosso la carica della loro giovinezza e poi il brindisi per la strada, i fumogeni, gli striscioni. Erano bellissimi. Sono ancora tutti bellissimi. Vivi, senza le frustrazioni, i rancori, le invidie degli adulti. I ragazzi ci salveranno, se noi adulti gli daremo la possibilità e creeremo le condizioni perchè restino puliti, onesti nel profondo, competitivi solo quando è necessario, generosi con sè stessi e con gli altri.

Miriam, nei suoi pensieri di bambina era convintissima che (ispirata dalla favole) alle Bocche di Bonifacio, tra la Sardegna e la Corsica, vivessero le sirene. Anche tu, da piccola, avevi la profonda convinzione di qualcosa che ritenevi così credibile e che invece poi ti ha lasciato una grande amarezza, quando hai scoperto che non era come lo immaginavi?
Per me scoprire che non esistessero fate madrine, maghi, elfi, unicorni dotati di poteri sovrannaturali e quindi in grado di risolvere qualsiasi problema è stato scioccante. Ero cresciuta in una famiglia atea, leggermente anarcoide, non era facile sostituire la sirenetta col santo patrono. Non è stato mai facile e ancora oggi invidio chi nutre fedi incrollabili per un Dio qualunque, per un'idea, per una convinzione in grado di guidarlo sicuro nelle scelte. Anche se sono certissima, in un preciso istante di una mia idea, di fronte a chi me ne esprime una di segno completamente opposto, mi viene da pensare: ma se avesse ragione lui? Coltivo il dubbio, costantemente e questo a volte rende la vita completa.
 
Uno dei capitoli del romanzo si apre con il titolo "Restare vivi". Che significato potresti dare a queste parole e quali sono, secondo te, le modalità adatte per affrontare i momenti di dolore e sofferenza che ciascuno di noi incontra nel cammino della propria esistenza?
Non ce l'ho una ricetta, veramente non ce l'ho. Penso che l'istinto di sopravvivenza pulsi in ognuno di noi, un battito sotterraneo capace di riemergere, prima o poi, in qualche modo. Credo che però occorra darsi il tempo di stare male, non pretendere la reazione istantanea ad ogni costo, metabolizzare il dolore, aspettare che la tempesta passi. Ci sono certamente perdite insuperabili che infatti non si superano, si impara a sopravvivere, in modo diverso come persone diverse. Conosco tantissimi sopravvissuti, li riconosco dagli occhi segnati, dalla pelle del viso che sembra corteccia di quercia centenaria, dalla tristezza nello sguardo anche quando ti concedono un sorriso. L'istinto di abbracciarli, uno per uno, lo tengo a freno, non sarebbe opportuno e forse neppure gradito, ma sono sicura di saperlo riconoscere.

Cosa significa per te scrivere?
Sono un'avvocata, la declinazione al femminile non piacerà a molti, ma è così. Quando lavoro, e scrivo molto per lavoro, rifletto tanto: sottolineo alcune cose, ne sorvolo altre, doso le parole, gli avverbi, utilizzo il condizionale, insinuo il dubbio. Ogni atto  che redigo, ogni lettera che invio ma anche una semplice e-mail è il frutto di una riflessione per raggiungere un obbiettivo, evitare una catastrofe o almeno limitare un danno quando e se risulta possibile. É un lavoro estremamente faticoso, carico di responsabilità.
Quando scrivo per me, che siano racconti, romanzi, novelle, anche se so e se spero che verranno letti da altri, mi sento libera, capace di esprimermi senza dover raggiungere un risultato, una meta precisa. Sono io, anche se dovessi raccontare una storia di fantascienza, resterei io e basta. Penso di dire una cosa banale, comune a tante persone che scrivono: non c'è niente che mi somigli di più delle parole raccontate con l'inchiostro o col toner di una stampante, dipende.

Hai altri progetti in cantiere?
Scrivo sempre, continuamente, senza meta, senza progetti. Prima o poi i personaggi prendono corpo, la storia si dipana da sola e a quel punto mi accorgo di averla scritta sul serio. Vedremo, senza fretta, senza angoscia. La scrittura resta sempre la mia amica migliore, non mi batte il tempo, non si offende se la trascuro per un po', non ha pretese, non mi fa il muso se salto un appuntamento. Lei sa aspettarmi e io so aspettare lei.

Grazie di aver condiviso le tue riflessioni.
Grazie a te. 




La scrittrice Maria Laura Antonini
 
 
 



 
 

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