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"Hypsas" di Valerio Mello.

 "Hypsas", Edizioni Ensemble, 2024, pagg. 55. "Incontro i morti sui margini dentati delle foglie, ospiti e pietrisco più brillanti - centellinando le veglie, perché i nomi vanno incontro a ciò che si ripete; e il sole di Eraclito è nuovo tutti i giorni. Quieta pulsione di ogni luogo, le acque sono tiepide e danno esile diadema, dolce fissità degli occhi ; morbide sculture sul bianco di parete accolgono corpi liberi"... Pensieri luminosi La raccolta di poesie di Valerio Mello è un percorso immersivo nella natura e del suo potere rigenerante, correlato però anche ad una visione particolare e aulica, quella delle antiche divinità che si trasformano  esse stesse in poesia. Un percorso di parole e immagini che come quadri astratti e simbolici accompagnano il lettore in una dimensione onirica. Ciò che mi ha maggiormente colpito è stato leggere della terra, di alberi, di erba, di pietre secolari che si intersecano nella millenaria conoscenza, con la civiltà del sapere. Una

"Maria che danza sulle antenne di un calabrone" di Alberto Coco

 

 

 


 

Porto Seguro editore, 2021, pagg. 425.

 

Incipit

"Le storie non arrivano mai per caso. Viaggiano nel tempo su pagine ingiallite o nell'aria sospinte dal fiato di infaticabili narratori. E cambiano il nostro destino.
Alcune le scegli, o pensi di farlo; altre ti arrivano come cadute dal cielo. 
A me questa storia è arrivata dal mare. I quaderni su cui era scritta erano ancora umidi quando li toccai per la prima volta. Me li passò una mano che spuntava da una manica nera con i bottoni scintillanti, mentre una voce grave mi diceva gentilmente che forse erano destinati a me. Io li ho presi senza esitare perchè in quel momento ho creduto che i quaderni volessero le mie mani".

 Pensieri luminosi 

Che valore diamo ai rapporti interpersonali? Cosa riteniamo importante comunicare all'altro? Quanto tempo dedichiamo ad ascoltare l'altro?
Questi sono gli interrogativi che la lettura di "Maria che danza sulle antenne di un calabrone" hanno suscitato in me. 
Sì, perchè questa storia possiede la straordinaria capacità di mettere in discussione le certezze che si hanno nei legami interpersonali; quella comunicazione tra le persone che non è semplicemente far viaggiare parole e sentirle scorrere da un orecchio all'altro.
L'ascoltare implica, invece, qualcosa di più complesso che è un misto di desiderio, sensibilità, attenzione, intercettazione di parole sì, ma  che si espandono, si fanno spazio e diventano comportamenti, storia vissuta, esistenza dolorosa, misteriosa. Parole che hanno in sè una forza dirompente, disvelano segreti, fremono d'amore, sottendono pure il non detto.
Ascoltare con intenzione significa non solo far uscire dalla bocca suoni articolati, ma mettere gli occhi in altri occhi che raccontano, proprio lì a metà strada tra un sopracciglio e l'altro. Ascoltare con tutto il corpo; abbracciare con lo sguardo l'altro che in quel preciso momento, non prima e non dopo, parla di sè, ci racconta del suo attimo importante che vale una vita e quello stesso attimo lo dobbiamo cogliere, affinchè non si perda nel "cestino della dimenticanza", irrecuperabile e destinato a perire.
Ascoltare, dunque, come una missione, una volontà decisa che il protagonista di questa vicenda, Berto, è riuscito in toto a realizzare nel suo rapporto leggero e profondo, significativo e alchemico con sua nonna Pina.
Un percorso nei sentimenti; un ascoltare, ancora una volta, con tutti i sensi; già perchè anche il profumo è ascolto e nonna Pina è  l'effluvio invitante delle sue melanzane fritte che il giovane nipote annusava spesso mentre saliva le scale per andare a trovarla.
Nonna Pina che viaggia nel tempo di ricordi lontani (quello dei primi anni del Novecento) e nello spazio (San Severo in Puglia che soffriva la povertà e il ventennio fascista, ma al contempo lavorava con vigore, con la terra e dalla terra riceveva doni; di altra gente che odiava gli esseri umani e in quella tirannia implacabile purtroppo si riconosceva).
Berto ascolta, in un viaggio che parte da Milano, squarci di esistenze lontane, ma al contempo vicine. La stessa nonna fa parte di quel ieri e di oggi, ma è malata e lei lo sa con certezza. Ha una "forcina" incassata nel cervello e sembra non voler andarsene. Una sorta di "porta fortuna" paradossale che, come un magnete, attira i destini di altri personaggi del romanzo.
In primis dunque c'è Berto, ventenne universitario degli anni ottanta del Novecento, sensibilissimo, altruista che come un rabdomante capta l'amore per Roberta; ma non troverà in lei l'acqua che disseta, ma poltiglia amara con la quale dovrà fare i conti anche in futuro.
Berto però è ancora più addolorato per la salute precaria della nonna, che necessita di un percorso di cure pesanti e destabilizzanti, così come gli è stato rivelato dai suoi zii.
Allora il nipote davanti a questa rivelazione si trasforma, diventa "ponte" tra la malattia che intacca e nonna intaccata. Si fa "mediatore di sofferenza"; interprete che agisce, perchè ascolta, percepisce un dolore dirompente ma che in qualche modo lo tramuta in qualcosa d'altro per lei.
Nonna e nipote affrontano il periodo della chemioterapia e tutto ciò che comporta e Berto si fa mediatore di strategie che diventano canto sublime e racconti che leniscono. Il suo amore per lei è come un sasso gettato in una pozza d'acqua; si amplifica  e si estende anche agli altri che come lei in ospedale affrontano il dolore. 
Poi però un sogno premonitore cambia le prospettive e le finalità. La "forcina" è ancora lì, ma ora è impellente ascoltare qualcosa d'altro che grida forte. E allora ancora una volta Berto e Pina si intercettano vicendevolmente. Decidono quindi di affrontare il viaggio più importante della loro esistenza. Lasciano quella Milano che aveva accolto lei e le sue valigie di migrante per andare, o meglio ritornare alle sue origini, alle radici di sè stessa.
Là, forse, potrà trovare risposte ai suoi eterni perchè; tasselli di vita che troveranno la giusta collocazione, da tenere stretti come perle preziose di una collana da indossare. 
Il viaggio su quell'auto, rubata al padre, Berto la guida sicuro. Davanti ai suoi occhi scorrono paesaggi e ricordi di un'Italia che si sovrappone a quella di ieri, costellata di spiagge e amicizie, ma anche di dolori e amarezze.
Il punto di partenza, Milano appunto è come la punta di un iceberg; piccole cose dimenticate, fossilizzate, nostalgiche. Ma man mano che la macchina si mangia i chilometri e  scende letteramente giù, ecco che anche l'iceberg fa vedere tutta la sua enormità sotto il mare. La storia, come una immensa lastra di ghiaccio nascosta, si fa più corposa, gli indizi diventano sempre di più e quel misterioso sogno diventa comprensibile.
Ma ciò che sconvolgerà i due viaggiatori, sarà arrivare al "Posto", che diventerà più importante di tutto; sarà quell'essenziale irreale  più reale del reale.
Ad un certo punto, infatti, Berto e nonna Pina sprofonderanno con l'auto in una natura lussureggiante, animata, in cui anche gli animali e gli alberi parlano, seppur a modo loro.
Vicino a San Severo, ma in punto non ben definito, si troveranno ad osservare una spiaggia dal sapore tropicale, con il sole che avvolge e accarezza, le fronde degli alberi che sfiorano i visi. C'è pure una casa laggiù. Verranno accolti con generosità e calore da Maria, una ragazza di poco più giovane di Berto e da suo padre.
Trascorreranno giorni felici, sereni, dove il tempo sembra rallentare; una specie di Eden che li aspettava, con manicaretti gustosi della tradizione pugliese e pesce sempre fresco. Una casa che profuma di spezie mediterranee che la brezza marina rende dolci e carezzevoli.
Ma soprattutto lì vive Maria, che con il suo sesto senso, le sue magie taumaturgiche, quella sua capacità di attrarre con dolcezza, e per quel suo modo infantile di dire le cose, ma che proprio per questo offre squarci di saggezza. Berto si innamora quasi all'istante di lei. É leggiadra Maria, nei suoi vestiti di cotone che scivolano sul suo corpo di pelle ambrata. Balla Maria, sulle antenne di un calabrone. Sì, è davvero poeticamente così! É lungimirante Maria e grazie al suo dono ricevuto vede oltre, ascolta anche lei e intercetta il suo destino legato a quello di Berto che è intrecciato a sua volta a quello di nonna Pina.
La penna dello scrittore Alberto Coco è sensibile, gradevolissima e sa usare sapientemente vari registri narrativi; sorprende nella sua cristallina maestria nel descrivere non solo i sentimenti che animano i vari personaggi ma soprattutto pone attenzione alle umane debolezze e sulle altrettanto vette di autentico amore che si diluisce nel rapporto primario di nonna e nipote, ma ha anche altre accezioni che lascio a voi scoprire.
Un romanzo "on the road" sul tempo di un passato remoto, di un passato prossimo ma anche di un oggi.
Una vicenda che traccia la memoria anche storica del nostro Stato e che pone delle riflessioni sull'essere cittadini italiani; uomini e donne che con scelte oculate o scellerate hanno determinato e determinano quotidianamente il destino di un Paese di struggente di bellezza e che è tale anche nei suoi riti, nelle sue superstizioni, nel suo folklore e in Maria che danza sulle antenne di un calabrone.

 

La mia lampada ha illuminato questa frase:
"Secondo la sua lunga esperienza di incontri con la nonna, quello doveva essere uno straight, un diretto, un pugno più potente del jab, che in genere precede il colpo circolare, più ravvicinato e potente, il colpo del KO. Sapeva che gli sarebbe arrivato sul mento di lì a poco, ma esserne consapevole non consente di evitarlo, neanche ai pugili professionisti".
 
 
Gli oli essenziali da utilizzare durante la lettura:
tre gocce di tea tree e tre gocce di rosmarino da sciogliere nel bruciatore di essenze con candela bianca neutra, per purificare la mente da situazioni in cui non ci sentiamo adatti e ritrovare le sensazioni estive e del Sud Italia.
 
 
Un po' di luce sull'autore
Alberto Coco (1964) vive a Cusago, Milano. Ha lavorato in tutto il mondo occupandosi di marketing e di comunicazione di licensing e publishing. Per conto della sua società, Ubisoft, racconta ai ragazzi italiani i brand che hanno fatto la storia dell'industria dei videogiochi.
 
 

 INTERVISTA ALL'AUTORE

Ciao Alberto e benvenuto nel mio spazio letterario. Vuoi parlarci un po' di te?
Ho 58 anni, sono nato a Milano. Mi sono occupato di marketing nell'industria dei videogiochi. L'ho amato, praticato e insegnato. La letteratura è stata da sempre la mia passione e la mia compagna di vita. Sognavo di scrivere e a un certo punto ho deciso di farlo. Era il 2013 e da allora non ho più smesso. Così è nata "Maria che danza sulle antenne di un calabrone" e tra qualche mese pubblicherò il mio secondo romanzo, "Case rosse".

La storia narrata affonda le sue radici nel tema dell'emigrazione interna al nostro Paese, in particolare quella del secondo dopoguerra, che ha visto molte persone del Meridione spostarsi al Nord in cerca di un futruro migliore. Cosa ne pensi di questo fenomeno che oggi vede masse di persone partire e rischiare di morire per una vita diversa? 
L'immigrazione è uno dei temi del mio romanzo. Ho scelto di raccontarlo dal punto di vista della seconda generazione, di chi come me è cresciuto a Milano im una famiglia di emigrati, piccole oasi di civiltà mediterranea nel cuore della Mitteleuropa. Berto, il protagonista, si nutre dei racconti della nonna che gli trasmette la sua cultura contadina popolare del Sud; cresce tra i ricordi dei suoi familiari intrisi di nostalgia per la terra natia idealizzata (un po' come l'Arcadia della letteratura del Settecento) per reazione al trauma dello sradicamento e del confronto con una realtà dura, aliena e spesso nemica.
Berto è il figlio di due mondi, di due culture radicalmente differenti, appartiene a entrambe che significa anche non appartenere a nessuna delle due. Si sente diverso dai coetanei, dalla sua generazione e la mancanza di "connessione" che emerge nel confronto con Maria (il suo contrario da questo punto di vista) riflette questa contraddizione originaria.
 
La storia della mia famiglia, mi ha portato inevitabilmente una certa sensibilità nei confronti dell'emigrazione di oggi e del suo lato umano tragico.
Penso che sia  molto difficile arginare le masse di persone disperate che fuggono dalle guerre, dalla siccità che fa mancare acqua e cibo nelle loro terre. Non so neanche se sia umano farlo in nome del nostro benessere dell'ordine. Ma il fenomeno, non governato, mina anche le basi della nostra convivenza e della nostra democrazia.
Le soluzioni che ricorrono nel dibattito pubblico, spesso demagogico, rischiano di compromettere i valori della nostra civiltà, la nostra anima. É un problema che non si può affrontare nè con il cuore nè con la testa sotto la sabbia. Occorre studiare, capire, esperire tante soluzioni e integrare trasmettendo i valori della nostra società ai nuovi venuti.

Nonna Pina e il nipote Berto hanno un legame davvero profondo. Anche tu hai avuto una nonna per la quale hai avuto un particolare affetto e simpatia? 
Sono partito da schegge di realtà vissuta. Ce ne sono diverse nel romanzo, e la nonna è sicuramente una di esse. Tra tutti i rapporti familiari, quello tra nonni e nipoti è sicuramente il più bello, è l'amore nella sua forma più pura. Il personaggio di Pina è un tributo a mia nonna, a una generazione eroica che ha attraversato la storia travagliata del Novecento, due guerre, la ricostruzione, il passaggio alla civiltà industriale... la mia intenzione (ambizione) era di fare di Pina l'archetipo dell'eroina popolare della sua generazione.

Il romanzo più di una volta è attraversato da citazioni e brevi estratti di alcuni romanzi di Italo Calvino. Come mai hai scelto questo autore piuttosto che un altro? 
Italo Calvino è stato ed è per me un riferimento. Di tutte le sue opere ho citato le tre che afferiscono alla Trilogia degli antenati, che riflettono il magico-irrazionale di cui è intrisa la cultura popolare contadina di Pina. Berto sceglie questi romanzi per distrarre la nonna nei momenti difficili della sua malattia perché corrispondono alla sua visione fantastica del mondo. Le citazioni inoltre, come il titolo del resto, hanno anche la funzione di indicare al lettore la via surreale che troverà nella seconda parte del romanzo, dopo l'irruzione di un evento irrazionale che rappresenta il punto di svolta della trama.
Questo evento, tra l'altro è uno di quelle schegge di realtà da cui sono partito. I lettori faranno fatica a crederlo, ma l'evento in questione (che non cito per rovinare la sorpresa) è realmente accaduto a mia nonna e con esso  ho dovuto fare i conti per tutta la vita. In altre parole, è stato la scintilla originaria di "Maria che danza sulle antenne di un calabrone".
 
Collegandomi alla domanda precedente, nel libro è presente una citazione lirica tratta da "Madama Butterfly" di Giacomo Puccini. Ha un significato particolare per te?
Sì, la cantava spesso mia nonna. Non sono un melomane, non ho mai dato peso alle parole dell'opera e della sua trama. L'ho fatto un giorno, tanto tempo dopo la sua morte, un po' come accade a Berto nella trama, scoprendo che aveva dei tratti in comune con la storia di mia  nonna. Le storie non arrivano mai per caso, recita l'incipit del mio romanzo...
 
Un'altra tematica importante presente nel testo è la malattia e lo struggente desiderio di renderla "meno difficile" in tutte le sue dinamiche fisiche ma soprattutto psicologiche, attraverso una particolare strategia. Quanto secondo te "la cura dell'amore" può essere di aiuto quando una persona si ammala?
L'amore è lenitivo nella malattia come nella vita in generale. É l'unica ancora di salvezza nel caos che attraversa le nostre esistenze. Ed è anche il vero protagonista del romanzo. L'ho  raccontato nelle sue forme più pure: l'amore tra nonni e nipoti, l'amore eterno di una madre per il figlio morto, l'amore di due giovani ragazzi e di un padre per una figlia straordinariamente "diversa".

Il romanzo, secondo il mio punto di vista, si sviluppa attraverso tre registri narrativi: una prima parte per lo più ironica e scanzonata che strappa anche sorrisi, una seconda più intimistica per approdare verso la fine ad uno stile che mi ha ricordato il "realismo magico" di Marquez. Questo o altri autori ti hanno in qualche modo influenzato nella tua visione di narratore? 
Sì, ho immaginato la mia opera come un grande portone, con due cornici, la fondazione e la conclusione che connette i personaggi e le vicende; due ante, una che si apre su una storia improntata al realismo e l'altra al surrealismo; al centro un evento che rappresenta l'irruzione dell'irrazionale nella vita di Berto.

Sì, quando si parla di realismo magico si pensa immediatamente alla lettura sudamericana, ma esiste anche nella nostra letteratura. Sono solo un avido lettore, non abbastanza colto per una trattazione sistematica dell'argomento. Posso solo citare gli esempi che ho incontrato nel mio errare disordinato tra i libri: Palazzeschi, Zavattini, Bontempelli... Esiste anche nella nostra tradizione popolare contadina di cui ho accennato precedentemente, una tradizione intrisa di religosità magica, un po' pagana, e di una spiritualità profonda, "dove tutto diventa divino e sacro" come diceva Carlo Levi. Ho cercato di evocare questa atmosfera nel mio romanzo, l'atmosfera nella quale sono cresciuto attraverso i racconti della nonna.

La figura di Maria rappresenta una sorta di pre-veggenza. Lei possiede quel "sesto senso" di cui spesso sentiamo dire tra le persone. Tu credi in questa particolare capacità? Ti è mai capitato?
Non ci credo, sono figlio dei miei tempi... Ma nella vita mi è capitato più volte di imbattermi in persone che hanno dei poteri taumaturgici. Non ho mai provato di persona, ma li ho incontrati ovunque, nella Daunia, in Sicilia, tra i boschi della Bosnia e in un villaggio sperduto dell'Indonesia. Ho vissuto e frequentato le comunità che a loro fanno riferimento e mi sono confrontato con le persone curate o guarite. Ho utilizzato queste esperienze per costruire il personaggio di Maria e della sua genìa di donne guaritrici. Ma ho anche utilizzato una buona dose di fantasia.

Il romanzo ha il suo epilogo nel "Posto", un luogo non ben identificato in Puglia, ma che rappresenta al meglio l'idea di libertà che Berto ha sempre cercato. Cosa significa per te questa parola?
Il "Posto" del romanzo non ha nome perchè è un luogo interiore. É la vita e la dimensione spirituale che meglio corrisponde al nostro io più autentico.

Hai altri progetti in cantiere?
Sì, sto ultimando il mio secondo romanzo e sto dialogando con un editore cui è piaciuto molto. É completamente diverso dal primo, perchè ho l'impulso di sperimentare nuove modalità espressive. Il suo protagonista è un bambino tra i cinque e i sette anni che racconta le cose importanti dell'esperienza umana: l'amore, l'amicizia, la morte, la diversità, la religione, il vischio familiare, la pazzia... La mia ambizione è di portare i lettori indietro nel tempo fino al luogo nebbioso della memoria dove albergano le emozioni e i primi ricordi, quando tutto è accaduto per la prima volta. Con l'ironia e la voce originale (spero) del protagonista che si chiama ancora Berto, con un pezzo del mio nome.
 
Grazie di aver condiviso le tue riflessioni!
Grazie a te.



Lo scrittore Alberto Coco

 

 

 

 
 

 

 

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