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"Case rosse" di Alberto Coco

  LuoghInteriori editore, 2023, pagg. 216. Incipit "Sono inginocchiato nel sedile posteriore della Fiat 1100 color verde oliva di papà. Mia sorella Olga si è sistemata al mio fianco nella stessa posizione. Attraverso il finestrino guardiamo l'ingresso del civico 9 di viale Monza. Mamma si è fermata a parlare con le cornacchie allineate davanti al portone d'ingresso. Stringe mani, abbraccia, si asciuga le lacrime. É un addio, il mio primo addio. Non so bene cosa sia.  Papà mi ha spiegato che è un saluto che fai quando poi non ti ti vedi più per tanto tempo. Mi farà male, ne sono sicuro. A me fa già male il ciao che dico a Dante la sera. Sembra far male anche a mia sorella: ha il labbro inferiore che tremola come un budino alla fragola. Se piange lei - lei che non piange mai - io piangerò almeno il doppio. L'addio mi riempie di vuoto, mi strige la gola con un nodo". Pensieri luminosi Vi è mai capitato di ascoltare una canzone e fra un ritmo e l'altro la mente ap

"La memoria della cenere" di Chiara Marchelli

 


 

 Casa editrice NNE, 2019, pagg. 289.

 

Incipit

"Prima ci deve essere stato lo sguardo. Gli occhi di Patrick che sono diventati attenti, allarmati. Dopo ci deve essere stata la voce, il mio nome ripetuto: Elena, Elena. Il mio nome che Patrick pronuncia quando siamo in mezzo agli altri o per dichiarare la mia presenza nel suo mondo. Sapendo che corrisponde a me, e quindi a lui.
Per dirlo lì, in quel modo, noi due soli, si deve essere accorto subito che stava accadendo qualcosa di grave. Di questo sono certa perchè mi è stato detto spesso: Per fortuna il suo compagno ha capito immediatamente. Non è esatto. Patrick non aveva idea di cosa fosse, ma lo spegnimento del corpo, l'improvvisa assenza. Eri come vuota, tu che scotti anche quando dormi". 


Pensieri luminosi
 
Avete mai visto un vulcano in eruzione? Penso di sì, almeno in qualche immagine televisiva. Ecco, ora provate a ricordare la forza dirompente di quell'evento; qualcosa che parte dalle viscere della terra ed esplode in superficie con una forza sconvolgente ed erutta dalla bocca del vulcano. Innumerevoli colate di lava incandescente rossa e arancione, densa, vischiosa che si fa strada come l'enorme  corazza di un animale preistorico; diventa subito coriacea e inghiotte tutto quello che trova lungo il suo cammino. Ad accompagnare il tutto rumore di esplosioni; cenere e lapilli scagliati a distanza ragguardevole. Un evento affascinante, misterioso e pericoloso al contempo per l'uomo e il paesaggio.
I sismologi e i geologi non possono prevedere quando potrebbe avvenire un evento così traumatico, ma possono rilevare i minimi segnali che potrebbero precedere un prossimo evento di questo tipo.
É come se il tutto fosse preceduto dalla cosidetta "calma prima della tempesta" o, evocando in parte il titolo, "il fuoco che cova sotto la cenere".
Questa premessa è indispensabile per entrare in contatto con la trama di questo romanzo, che ha la forza dirompente di un vulcano; ma invece di esplodere all'esterno, implode nel cervello di una donna, Elena, scrittrice di successo (con una grande capacità immaginifica) di origini valdostane che una notte, nella sua casa di New York, durante una notte d'amore con il suo compagno Patrick è colpita da un fortissimo dolore alla testa. Quel sintomo strano si rivelerà essere qualcosa di molto grave.
Fortunanatamente si salverà grazie ai tempestivi soccorsi; ma come spesso accade a chi ha superato un evento così scioccante a contatto con la morte, compreso chi le è stato vicino in quei momenti drammatici, deciderà di cambiare passo.
Dopo i mesi di ospedale, dei continui controlli e della riabilitazione la coppia decide di lasciare gli States e di trasferirsi nella terra d'origine di Patrick, professore universitario, in particolare in Alvernia, al centro della Francia.
Un luogo congeniale soprattutto a lei perchè "non era mio, ed era per quello che lo volevo. Un luogo che non somigliasse a ciò che non ero più".
Nel piccolo paese di Mézac conosce alcuni abitanti con i quali scambia periodicamente alcune parole, come l'ex insegnante Bruno che sente affine per quella vicinanza intellettuale, attraverso la quale  si spingerà a donargli fogli di parole-anima per un probabile nuovo romanzo post-trauma. C'è anche Sophie, proprietaria di un locale che nei suoi confronti ha un moto di repulsione; non sa spiegarsi bene il perchè e ha sguardi solo per Patrick. Ma soprattutto viene a conoscenza del Puy de Lùg, un vulcano che svetta con il suo pinnacolo. In quei giorni sospesi, in attesa di un ri-equilibrarsi fisico e psicologico, affiancata dal suo compagno che la nutre con cibi salutari, la segue come un'ombra e cerca di captare nel suo sguardo ogni minimo mutamento che potrebbe essere indice di una ricaduta, arrivano a trovarla i suoi genitori. Ancora scossi e preoccupati da ciò che le è accaduto si uniscono al suo compagno e diventano come una enorme coperta protettiva per Elena che in un certo senso soffocano, limitano, pur con tutte le buone intenzioni, il suo spazio vitale. Lei, giorno dopo giorno, sente la fastidiosa morsa di un "troppo amore" e diventa scostante e per nulla empatica. Al contempo il Puy de Lùg inizia a fare sentire la sua scomoda presenza, con scosse telluriche e una coltre nube che copre il cielo. 
Con questa meravigliosa metafora del vulcano che ribolle nelle profondità della terra parallelamente al disagio che si amplifica nell'animo della protagonista, la scrittrice Chiara Marchelli ci offre una storia che tratteggia scrupolosamente le minime variazioni del cuore; battiti che diventano sempre più forti in Elena, nel suo cammino accidentato del ricomporsi come donna, scrittrice, compagna, figlia, rivale. Quel fuoco esistenziale che sussurra di normalità e cova sotto la cenere, un po' alla volta diventa sempre più forte, si  fa grido che rieccheggia nella valle; scuote il vulcano, lo risveglia e il vulcano stesso a sua volta scuote gli abissi interiori della protagonista. Vorrebbe tornare al passato quando poteva trovare pensieri da scrittrice che scivolavano dalle dita alla carta. Ora si sente arida, non ha più parole, solo il nulla da imbastire. Il presente l'angoscia ed è lì tutto da ri-scrivere. Vorrebbe riuscire a concentrarsi, ma non ci riesce, troppo occupata a confermare "sto bene", ed è proprio questo che la fa stare male. 
L'autrice scansa con delicatezza il facile e banale pietismo e si concentra in modo perfetto al momento in cui la natura e l'animo umano si fanno sentire all'unisono; una sincronia in cui i giorni, le ore, i minuti si riuniscono per "buttar fuori" una forza prorompente che turba e impaurisce. Il vulcano erutta ed Elena si ubriaca, di una ubriacatura che non è solo fatta di calici di vino, ma soprattutto  di vita e la spinge, come un sogno febbrile, a scalare il vulcano stesso.
La scrittura dell'autrice scocca frecce con raffinatezza e precisione, senza edulcorare nulla nel descrivere momenti relazionali difficili e complessi in cui i gesti e i silenzi fanno rumore, così come lo scartare un pacchetto di creckers, lo stappare una bottiglia o riscaldarsi una tazza di latte; e proprio questi gesti in certi momenti sembrano sostituire le parole che, paradossalmente, acquistano spessore profondo e raccontano di vincoli familiari in cui amarezze e sofferenze riaffiorano intatte.
Il romanzo mi ha coinvolto molto, presa da un vortice di sensazioni che hanno trasformato il magma di ricordanze di Elena (emblematiche le pagine piene di memorie bambina, tenere e affettuose) nelle mie. Una scrittura graffiante che mi ha messo in discussione come lettrice anche davanti ad un segreto esplosivo che coinvolge Elena e Patrick e riaffiorerà, ancora una volta, proprio durante la notte tremenda dell'eruzione, portando uno scossone alla terra e alle persone. Un lessico ricco, vibrante, colmo di sfumature e nello stesso tempo capace di creare la giusta attesa; un "avvento" che comporterà poi dei cambiamenti. Verrà un nuovo giorno, un mattino in cui il cielo diventerà più definibile e il vulcano sembrerà solo un ospite troppo rumoroso che ha levato le tende e chissà se mai tornerà a farsi sentire, ma che comunque ha lasciato una traccia di sè: ha ricoperto di polvere sottile i prati, il fiume, i tetti delle case; quella cenere che forse non sarà mortifera, ma saprà trasformarsi in humus vitale e nutrirà con vigore anche Elena e le sue viscere.


La mia lampada ha illuminato questa frase:
"Imparerò i profumi dell'aria. Per ora è un misto generico di bosco e prati, a tratti familiare. Senza la cuspide pungente della vegetazione di montagna dove sono nata, senza la dolcezza rancida del mare tra gli scogli, diverso dalla composizione infantile della campagna che  conosco, fatta di legno bruciato, terra fradicia di nebbia, rosmarino, burro e carne al fuoco d'inverno, oppure campi di grano, marmellata di prugne, caffelatte, sudore, pesche e albicocche d'estate. Questo odore è intatto, libero. Andrà riempito, nel tempo".
 
 
Gli oli essenziali da utilizzare durante la lettura:
tre gocce di arancio e tre gocce di pino da sciogliere nel bruciatore di essenze con candela bianca neutra, per metterci in pace col mondo e ritemprare la mente.
 
 
 
Un po' di luce sull'autrice
Chiara Marchelli (Aosta, 1972) è una scrittrice italiana. Dal 1999 vive a New York dove lavora come editor, copywriter e traduttrice. É laureata in lingue orientali all'Università Ca' Foscari e ha vissuto in Belgio e in Egitto. Dopo gli incarichi presso l'Università di Pavia e la John Cabot University di Roma, diventa titolare dal 2004 della cattedra di Italiano e scrittura creativa all'Università di New York.
 
 
Bibliografia essenziale 
- "Angeli e cani", 2003;
- "L'amore involontario", 2014;
- "Le mie parole per te", 2015;
- "Le notti blu", 2017, selezionato tra i dodici finalisti del Premio Strega;
- "Redenzione", 2020;
- "Madre terra", 2022.


INTERVISTA ALL'AUTRICE
 
Ciao Chiara e benvenuta nel mio spazio letterario. Vorrei partire subito a discutere dal titolo del romanzo che è molto evocativo; cosa ti ha spinta a sceglierlo?
Il titolo è stato scelto dal mio editore. Anch'io lo trovo molto evocativo e, come succede spesso con le scelte di NN, è perfetto per il romanzo.

Come sempre leggo con interesse le dediche ai romanzi e 
la tua è dedicata ai padri, alle madri, a chi ricomincia e a Nicolas... vorresti parlarne un po'?
Nelle dediche che scrivo cerco di indirizzarmi a chi sta nel libro. A seconda della storia che racconto, e quindi del bisogno che sento di mettere in luce un certo aspetto delle cose che mi attraversano o che attraversano la mia osservazione, la scrittura cerca un destinatario. Spesso questo destinatario è proprio chi inserisco nelle dediche, e quindi in questo caso ogni padre, ogni madre, e ognuna delle persone che si trovano a dover ricominciare, in qualche misura, la loro vita.
Nicolas è un discorso a parte: è il mio compagno.
 
Il tuo scritto pone in risalto la figura di Elena, la protagonista, attraversata dal desiderio di ricominciare dopo un grave evento accaduto nella sua vita. Quanto è importante per te ri-partire dopo un trauma che può destabilizzare le nostre esistenze?
Senza ripartire non si può vivere. Non è una ripartenza metaforica, quella di cui racconto, è una ripartenza negli istanti e nelle esperienze della vita: mangiare, alzarsi, lavorare, viaggiare, correre. In questo romanzo Elena deve riappropriarsi di ognuno di quei gesti, perchè il suo cervello per un momento si è fermato, il corpo è andato in coma, lei è costretta in ospedale per settimane.
In senso più generale non credo che la mia visione cambi di molto: se ci succede qualcosa di traumatizzante non possiamo che superarlo, procedere. Non si può vivere congelati dentro un fatto, tutt'al più si rimane talmente danneggiati da uscirne stortati, indeboliti. E in questo senso credo sia fondamentale raccogliere le forze e provare a reagire, anche con l'aiuto degli altri: gli amici, la famiglia, la medicina, la psicoterapia, insomma tutto quello che è a nostra disposizione per poter sopravvivere a un trauma e uscirne.
 
Quanto c'è di Elena in te e quanto invece si discosta?
Questo non è un romanzo autobiografico, anche se Elena ed io condividiamo molte cose: l'origine, il mestiere, alcuni aspetti del carattere. Detto questo, tutta la letteratura porta in sè qualche traccia di chi la produce. Ogni romanzo è in qualche misura, seppur minima, autobigrafico. Lo diceva Philip Roth: l'autobiografia non è capire quanto di anagrafico ci sia dentro un libro, ma individuare lo sguardo che l'autore ha sul mondo, una certa visione delle cose.
 
Come mai hai deciso di ambientare la maggior parte del tuo romanzo nella Francia centrale?
Perchè avevo voglia di uscire dal terreno conosciuto, cosa che faccio anche rispetto ai generi letterari (i miei ultimi due romanzi sono gialli/noir, per quanto atipici) e di immergermi dentro una terra sconosciuta in cui potessi scatenare l'immaginazione. Non ero mai stata in Auvergne e, basandomi su alcune immagini e un minimo di ricerca, per il resto me la sono completamente immaginata. É stato molto divertente, e liberatorio.

Quanta ricerca c'è stata nel trattare un tema così specifico-medico per spiegare dettagliatamente un trauma cerebrale?
Ho fatto una ricerca enorme. Non sapevo nulla di questo argomento e ho dovuto imparare tutto. Cosa che faccio per ogni romanzo che scrivo: non scrivo necessariamente di ciò che mi è familiare, anzi, quasi mai. Perché i personaggi "chiamano" la loro storia, la loro bigrafia, che non coincide con la mia. Cosa fare allora? Ciò che ogni scrittore dovrebbe fare quando decide di scrivere un romanzo che non sia su di sè: studiare.

Elena è una scrittrice e ha quella spiccata attitudine a osservare con profondo interesse le persone, situazioni e luoghi per cercare di dare un senso a ciò che scrive; quella capacità che non riesce più a trovare dopo la malattia. Cosa significa per te scrivere?
Scrivere è la mia posizione nel mondo. La mia maniera di processare la vita, le relazioni, la solitudine, il tempo, il passato, le emozioni, tutto. Ho iniziato prestissimo, da bambina, ed è diventato il modo che ho di stare nella vita: la mia osservazione, la sedimentazione degli eventi, la loro trasformazione. É la mia voce, il mio protendermi verso l'altro. Un bisogno inspiegabile, anche. 
Ecco, forse alla fine, quando mi si chiede perchè scrivo, dovrei rispondere semplicemente questo: perché ne ho bisogno.

Sei mai stata su un vulcano?
No, ma ci sono andata vicino: in Islanda. Una terra assolutamente magnifica.
 
Hai altri progetti in cantiere?
Dopo "La memoria delle cenere" sono usciti due romanzi: "Redenzione", nel 2020 e "Madre terra", nel 2022. Ora sto lavorando a un altro romanzo e mi auguro di avere sempre "progetti in cantiere". Ci sono così tante cose da raccontare.
 
Grazie per aver condiviso le tue riflessioni!
Grazie mille a te.




La scrittrice Chiara Marchelli
 
 
 

 
 
 




 

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