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"Prima che sia troppo amarti" di Annalisa Teggi

    Il Timone editore, 2024, pagg. 188.   Incipit "Se l'era cercata. Diana correva al buio pensando ai commenti sul suo necrologio. Non staccava gli occhi dall'unica luce davanti a sé. Aperti h24, un'insegna così anonima di giorno. Arrivarci, presto. Sentiva ancora addosso il fiato di alcol e sudore. Una voce roca era rigurgitata fuori da un angolo della strada. Un'ombra viva, arrabbiata o isterica si era sollevata da terra spalancando le braccia verso di lei. Un forte colpo a terra e una risata cavernosa. La stava rincorrendo?  O era rimasto in quel cantuccio nero di marciapiede?".   Pensieri luminosi Nel vocabolario   la parola "troppo" è sia un avverbio che un aggettivo e in entrambi i casi la definiscono come una quantità eccessiva, qualcosa più  del dovuto, più del giusto.  In definitiva sia che lo si qualifichi come avverbio o aggettivo, "troppo" ha un connotazione negativa e lo si può affiancare allo spreco come quello alimentare; o...

"L'acqua del lago non è mai dolce" di Giulia Caminito



 

 Casa editrice Giunti-Bompiani, 2021, pagg. 297.

 

 Incipit 

"Viviamo in un quartiere che a mia madre non piace chiamare periferia, poichè per essere periferia devi avere presente quale sia il tuo centro e noi quel centro non lo vediamo mai, io non ho mai visitato il Colosseo, la Cappella Sistina, il Vaticano, Villa Borghese, piazza del Popolo, noi le gite a scuola non le facciamo e se esco è per andare con mia madre al mercato rionale.
Di quella casa, larga cinque e lunga quattro metri, io ho a cuore la spianata di cemento e le aiuole, dentro c'è solo erba, nessuno ha mai pensato di metterci i fiori e mia madre anche s'è rifiutata, ché piantare vuol dire rimanere".


Pensieri luminosi
Ci troviamo nei primi anni del 1990 alla periferia di Roma, in un contesto familiare molto difficile e povero. 
Mamma Antonia, dai capelli rossi, con un carattere passionario e autoritario, porta avanti una famiglia composta da un marito invalido a causa di una caduta sul lavoro, un figlio nato da una precedente relazione, due gemelli di pochi anni e una figlia, voce narrante.
Il gruppo poi, per una serie di vicissitudini, si trasferisce ad Anguillara Sabazia, sul lago di Bracciano.
Qui la vicenda si dipana come una matassa lunga e piena di nodi, fili rotti, tagli e ricuciture e si intreccia con altri fili, altre storie che gettano le loro trame in quel lago che è tutto fuorchè limpido; anzi, riflette solamente ciò che quelle vite raccontano: senso di incompiutezza, solitudine, paura di essere, piccole e brevi gioie, difficoltà di avere.
Tutto è gettato nell'acqua del lago che a causa di questi "veleni emotivi" non può essere dolce, ma al contrario, si nutre di pantano, di immobilismo, di melma che rende tutto torbido. Non si riesce a scorgere qualcosa sotto la superficie, perchè la superficie è essa stessa inconsistente, non ha basi che permetta di risalire. Il lago, così come il paese, con i suoi muri sbeccati, le ringhiere arrugginite, le case diroccate, rappresenta al meglio la vita di persone disarmoniche, come la stessa Gaia, figlia di Antonia, che porta quel nome come fosse uno scherzo, un'ironia della sorte. Sì perchè nella famiglia in cui vive non c'è gaiezza, serenità, gioia di vivere; al contrario vige l'austera "grande madre" Antonia, figura dolente di un passato che ricorda il Neorealismo post bellico, che cuce dove è strappato, abbellisce dove c'è bruttura, esige e non consola, si erge a paladina di giustizia ma non giustifica; traghetta la sua famiglia come un capitano, ma alcuni della ciurma complottano per un ammutinamento; ma forse non è possibile, perchè gli ammunitati non sapranno dove andare, l'ombra della onnipresente "grande madre" è troppo imponente per poter fuggire. Così allora i componenti seguono senza muovere un muscolo le sue direttive impositive.
La giovane figlia ci racconta di tutto questo, di un nucleo familiare deprivato di beni materiali ed affettivi, dove la mancanza di carezze, abbracci, gesti gentili sono inversamente proporzionali alla ricerca spasmodica di parole che leniscano il dolore, la sofferenza, l'isolamento; sorge allora in Gaia il grande desiderio  di ricercare la felicità condivisa nei libri. Lo studio diventa brama dell'esistenza e che può, forse, grazie alla parola "molologo" diventare nutrimento per far affiorare l'amore tra una madre e una figlia. Infatti l'unico episodio che ha un timido effetto di serenità familiare è il giorno in cui  entrambe leggono sul dizionario di questa parola così inconsueta, cercano di ripeterla, la sentono suonare buffa sotto il palato da sorriderne insieme. Allora Gaia intuisce che in quell'anfratto può nascondersi il sentimento, l'empatia.
In realtà è solo un fuoco fatuo, un germe di luce ingannevole, ma Gaia non rinuncia e studia forsennatamente, perchè le parole nutrono l'anima. Si laurea in filosofia, perchè quella disciplina più di altre, ricerca il significato profondo delle parole che diventano teorie, riflessioni, parole corpose, fluide, d'amore.
Ma l'amore non abita a casa di Antonia; esistono solo ordini da eseguire, e tutto diventa rivalsa verso il mondo, risentimento verso gli altri, gelosia edi invidia e così la giovane ragazza attraversa l'infanzia e l'adolescenza in un turbunio di sensazioni malvagie, violente, cattiveria impellente perchè si sente tradita dal mondo, offesa da comportamenti che la rendono rabbiosa; un sentimento di odio che cova nei meandri della sua anima fino ad esplodere in un paio di occasioni. Diventa un bozzolo, una testuggine, coriacea, ma in realtà fragile da sentirsi topo, animale selvatico, orecchie grandi, pelle bianca e lentigginosa, capelli rossi come la propria madre.
Guilia Caminito con penna acuta, spigolosa, dirompente, mai banale, ci accompagna tra le pagine di vite dolorose, in cui i personaggi galleggiano su acque pericolose, in mulinelli nascosti che come zavorre trascinano giù.
Il viaggio in questa lettura è stato doloroso, impietoso; non sembra esserci riscatto in questa vicenda. 
In realtà, forse, nelle ultime pagine del romanzo, quasi in una visione onirica, Gaia ripercorre quei luoghi con una nuova prospettiva; ha compreso che il tempo del ricordo non fa male, è catartico. 
Lei serba il ricordo dell'amicizia con Iris, sua amica vera; ha compreso essere stata fedele e con la quale condivide un gesto che vale una vita.


La mia lampada ha illuminato questa frase: 
"Lei ha sempre custodito, nella sua memoria emotiva, la me fantastica e valorosa, la me affabile e sorridente, la me che è vittima e non fa pezzi dei corpi altrui, quella che canta a gola aperta in macchina e legge libri al fresco dell'ombra, una me fugace, durata il tempo di una stagione, una immagine evanescente, un viso sott'acqua durante una gara di apnee".
 
 
Un po' di luce sull'autrice
Giulia Caminito (Roma, 1988) è una scrittrice italiana ed è laureata in filosofia politica. Con "L'acqua del lago non è mai dolce" è arrivata finalista al Premio Strega 2021, vincendo il Premio Strega Off.
 
 
Bibliografia essenziale
- "La grande A" (2016);
- "Guardavamo gli altri ballare il tango" (2017) una raccolta di racconti;
- "La ballerina e il marinaio" (2018) una fiaba;
- "Un giorno verrà" (2019) vincitore del premio Fiesole.
 
 
 
La scrittrice Giulia Caminito

 
Per l'acquisto del libro
 

https://www.unilibro.it/libro/caminito-giulia/l-acqua-del-lago-non-e-mai-dolce/9788830103245


 

 

 

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