Passa ai contenuti principali

"Prima che sia troppo amarti" di Annalisa Teggi

    Il Timone editore, 2024, pagg. 188.   Incipit "Se l'era cercata. Diana correva al buio pensando ai commenti sul suo necrologio. Non staccava gli occhi dall'unica luce davanti a sé. Aperti h24, un'insegna così anonima di giorno. Arrivarci, presto. Sentiva ancora addosso il fiato di alcol e sudore. Una voce roca era rigurgitata fuori da un angolo della strada. Un'ombra viva, arrabbiata o isterica si era sollevata da terra spalancando le braccia verso di lei. Un forte colpo a terra e una risata cavernosa. La stava rincorrendo?  O era rimasto in quel cantuccio nero di marciapiede?".   Pensieri luminosi Nel vocabolario   la parola "troppo" è sia un avverbio che un aggettivo e in entrambi i casi la definiscono come una quantità eccessiva, qualcosa più  del dovuto, più del giusto.  In definitiva sia che lo si qualifichi come avverbio o aggettivo, "troppo" ha un connotazione negativa e lo si può affiancare allo spreco come quello alimentare; o...

"Le otto montagne" di Paolo Cognetti

Casa editrice Einaudi, 2016, pagg. 199.

 

 

Incipit

"Mio padre aveva il suo modo di andare in montagna. Poco incline alla meditazione, tutto caparbietà e spavalderia. Saliva senza dosare le forze, sempre in gara con qualcuno o qualcosa, e dove il sentiero gli pareva lungo tagliava per la linea di massima pendenza. Con lui era vietato fermarsi, vietato lamentarsi per la fame o la fatica o il freddo, ma si poteva cantare una bella canzone, specie sotto il temporale o nella nebbia fitta. E lanciare ululati buttandosi giù per i nevai.
Mia madre, che l'aveva conosciuto da ragazzo, diceva che lui non aspettava nessuno nemmeno allora, tutto preso ad inseguire chiunque vedesse più in alto: perciò occorreva avere buona gamba per rendersi desiderabili ai suoi occhi, e ridendo lasciava intendere di averlo conquistato così. Lei più tardi alle corse cominciò a preferire sedersi nei prati, o immergere i piedi in un torrente, o riconoscere i nomi delle erbe e dei fiori. Anche in vetta le piaceva soprattutto osservare le cime lontane, pensare a quelle della sua giovinezza e ricordare quando c'era stata e con chi, mentre mio padre a quel punto veniva invaso da una specie di delusione, e voleva soltanto tornarsene a casa".
 
 
Pensieri luminosi
 
In questo romanzo ci troviamo a Torino e poi a Grana, alle pendici del Monte Rosa e la storia prende inizio negli anni Ottanta del secolo scorso.
Questa vicenda mi ha fatto pensare alle dinamiche della mente. La prima è quella di Bruno, uno dei protagonisti, che ha un approccio alla vita più lineare, con meno sovrastrutture. Lui è qualcuno che rimane nelle sue tradizioni, nel suo territorio; non lo sfugge, ma con  e per il suo luogo cerca di creare un destino edificante, un futuro concreto. Desidera proteggere la montagna e non la vuole contaminare scendendo in città.
La seconda è più complessa e appartiene a Pietro che per tutta la sua vita cerca chirurgicamente di non lasciare radici nè territoriali nè affettive, relazionali. Il suo è un continuo partire, fuggire. Sembra deciso in modo razionale a perdere dei momenti importanti della sua vita; cerca di mantenersi distaccato, trasformando quello che potrebbe diventare qualcosa di valorizzante come una semplice narrazione fredda di eventi.
Ma i miracoli accadono, ed è in montagna che questa amicizia diventa profonda e scaccia via i respiri affannosi, perchè lassù c'è l'aria pura che ritempra, perchè quella amicizia ha bisogno di quel luogo e quel luogo ha bisogno di quel legame che rimarrà solido nel tempo per un trentennio, diventando completo, costruttivo. I loro sentimenti si traducono in gesti più che in parole. Sì perchè è solo nelle alte cime che si può ascoltare il silenzio, interrotto piacevolmente da qualche campanaccio al collo di mucche al pascolo, si può annusare l'odore intenso del letame, si può osservare la luce tenue che balugina nella notte dentro a qualche piccolo rifugio, si possono toccare innumerevoli fili d'erba e assaggiare un fiocco di neve ghiacciato e puro.
La montagna in questo romanzo è come un percorso nella vita di ciascuno di noi; la sua scalata è la metafora di chi fatica, di chi ci mette impegno, energia, sacrificio e raggiunge una meta tanto agognata nel lavoro, negli affetti. Quando si arriva alla cima, al nostro obbiettivo, la spossatezza e la stanchezza del viaggio sembrano quasi perdere la loro forza e si trasformano in soddisfazione, felicità, perchè si è arrivati al traguardo e ne è valsa la pena.  Così il "mi piacerebbe", "vorrei", "spero di" diventano  risposte concrete e hanno un epilogo soddisfacente.
Trapela così un rapporto intimo con la montagna che però oltre la luce, i pascoli erbosi, i fiori colorati, gli alpeggi, il profumo di resina degli abeti, ha anche un volto cupo nei suoi boschi fitti e impenetrabili dove la luce del sole filtra a fatica, luogo misterioso in cui si nascondono animali selvatici, nelle sue nebbie dense che fanno perdere la cognizione del tempo e dello spazio, nei temporali improvvisi che sorprendono il viaggiatore che si sente impotente  tra la furia degli elementi. La montagna, ancora parlando di metafore, è un padre severo, solitario, silenzioso, ma è anche una madre affettuosa, accogliente, profumata e amorevole.
La montagna viene descritta in modo ammirevole dall'autore, senza retorica, ma con il semplice desiderio di condividere con il lettore la sua bellezza struggente, incredibile, quasi che l'occhio umano non riuscisse a contenerla tutta.
Le otto montagne del titolo si riferiscono ad una storia del folklore e della tradizione nepalese, che pone una domanda che lascio a voi scoprire, come anche il misterioso epilogo che conclude il romanzo.


La mia lampada ha illuminato questa frase:
"La montagna non è solo nevi e dirupi, creste, torrenti, laghi, pascoli. La montagna è un modo di vivere la vita. Un passo davanti all'altro, silenzio, tempo e  misura".



Un po' di luce sull'autore
Paolo Cognetti (Milano, 27 gennaio 1978 - vivente) è uno scrittore. Ha vinto il Premio Strega con "Le otto montagne". Ha studiato matematica all'Università di Milano prima di lasciare gli studi accademici e diplomarsi, nel 1999, alla scuola di cinema di Milano. Nel decennio successivo si dedicò alla realizzazione di documentari a carattere sociale, politico e letterario. Ha frequentato New York per diversi anni tra il 2004 e il 2016, realizzando dei documentari sulla letteratura americana. L'altro luogo dell'autore è la montagna, in particolare la Valle d'Aosta, dove ha trascorso d'estate l'infanzia ed è tornato a vivere dopo i trent'anni.
 
 
Bibliografia essenziale
- "Una cosa piccola che sta per esplodere" (2007);
- "Sofia si veste sempre di nero", finalista al Premio Strega 2013;
- "New York è una finestra senza tende", saggio (2010).



 
 
Lo scrittore Paolo Cognetti
 
 
Per l'acquisto del libro
 
 




 
 


 

Commenti

Post popolari in questo blog

"Il giardino dei gelsomini" di Nadia Mari

  IP Independently published, 2024, pagg. 353   Incipit "Nel tranquillo villaggio di Ca' di Verdalba, adagiato su morbide colline, Nadine, una donna non più giovanissima ma con un fascino non ancora sfiorito, si svegliava ogni mattina con un senso di vuoto interiore. Le cicatrici del passato, invisibili agli occhi ma ben radicate nel suo essere, tingevano la sua esistenza di una sottile malinconia. Nonostante vivesse in un ambiente idilliaco, sentiva che la sua vita si stava consumando in una sorta di routine priva di colore e di passione. Le giornate si susseguivano in un perpetuo rincorrersi di gesti, imprigionandola in un mondo grigio e monocromatico, in cui ogni momento sembrava la replica del precedente. Eppure, nel profondo del cuore, avvertiva un richiamo, un'eco lontana che le sussurrava dell'esistenza di qualcosa di più grande, oltre i confini della sua routine quotidiana".   Pensieri luminosi   Avete mai intrapreso un viaggio dentro a voi stessi in alcun...

"Tutto può succedere" di Francesca Ziliotto

  Capponi editore, 2024, pagg. 152.   Incipit "Teresa Cortese era in piedi davanti al tavolino del suo salotto, vestita di tutto punto, come si fosse preparata per uscire da un momento all'altro. Aveva appena preso dalla madia antica, regalo di sua nonna, il vaso di cristallo che teneva sempre a portata di mano, il suo preferito, e lo aveva riempito di acqua fresca. All'interno vi sistemò un mazzo di calle bianche freschissime, ancora con il loro pistillo giallo racchiuso dentro il bocciolo. Quanta eleganza in quel fiore, così come elegante era lei". Pensieri luminosi Ricordate il detto "l'unione fa la forza?" Si dice che i proverbi e i detti popolari siano fonte di saggezza, perché nel tempo hanno trasportato insegnamenti degni di nota. Mi voglio soffermare appunto su sopracitato detto perché mi permette di riflettere sul nuovo libro scritto da Francesca  Ziliotto "Tutto può  succedere".  Sì, perché "l'unione fa la forza" calza p...

"Il sogno semplice di un amore" di Martina Tozzi

Nua edizioni, 2024, pagg. 398   Incipit   "Anche quell'anno, i cappellini andavano di moda con molti fiocchi. Lizzie lo sapeva bene, perchè era lei a cucirli, a uno a uno, nel retro del negozio di moda della signora Tozer. E non solo fiocchi, ma anche nastri, perline, pelliccia, velette e piume, niente sembrava troppo per abbellire i copricapi delle eleganti signore e signorine della città. Secondo Jeanette, la sua collega, che viveva come lei a sud del Tamigi, a Southwark, e faceva con lei ogni giorno la strada verso la zona di Leicester Square dove si trovava il negozio, i cappellini erano meno ricchi degli anni precedenti, ma nell'opinione di Lizzie, che amava la semplicità, erano ancora decisamente troppo ridondanti di decorazioni e orpelli vari. Le altre donne però, evidentemente, non erano d'accordo con lei, e ogni giorno si recavano numerose al 3 di Cranbourne Street, alla bottega della signora Tozer, per accaparrarsi quei copricapi che con fatica ...