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"Hypsas" di Valerio Mello.

 "Hypsas", Edizioni Ensemble, 2024, pagg. 55. "Incontro i morti sui margini dentati delle foglie, ospiti e pietrisco più brillanti - centellinando le veglie, perché i nomi vanno incontro a ciò che si ripete; e il sole di Eraclito è nuovo tutti i giorni. Quieta pulsione di ogni luogo, le acque sono tiepide e danno esile diadema, dolce fissità degli occhi ; morbide sculture sul bianco di parete accolgono corpi liberi"... Pensieri luminosi La raccolta di poesie di Valerio Mello è un percorso immersivo nella natura e del suo potere rigenerante, correlato però anche ad una visione particolare e aulica, quella delle antiche divinità che si trasformano  esse stesse in poesia. Un percorso di parole e immagini che come quadri astratti e simbolici accompagnano il lettore in una dimensione onirica. Ciò che mi ha maggiormente colpito è stato leggere della terra, di alberi, di erba, di pietre secolari che si intersecano nella millenaria conoscenza, con la civiltà del sapere. Una

"Le otto montagne" di Paolo Cognetti

Casa editrice Einaudi, 2016, pagg. 199.

 

 

Incipit

"Mio padre aveva il suo modo di andare in montagna. Poco incline alla meditazione, tutto caparbietà e spavalderia. Saliva senza dosare le forze, sempre in gara con qualcuno o qualcosa, e dove il sentiero gli pareva lungo tagliava per la linea di massima pendenza. Con lui era vietato fermarsi, vietato lamentarsi per la fame o la fatica o il freddo, ma si poteva cantare una bella canzone, specie sotto il temporale o nella nebbia fitta. E lanciare ululati buttandosi giù per i nevai.
Mia madre, che l'aveva conosciuto da ragazzo, diceva che lui non aspettava nessuno nemmeno allora, tutto preso ad inseguire chiunque vedesse più in alto: perciò occorreva avere buona gamba per rendersi desiderabili ai suoi occhi, e ridendo lasciava intendere di averlo conquistato così. Lei più tardi alle corse cominciò a preferire sedersi nei prati, o immergere i piedi in un torrente, o riconoscere i nomi delle erbe e dei fiori. Anche in vetta le piaceva soprattutto osservare le cime lontane, pensare a quelle della sua giovinezza e ricordare quando c'era stata e con chi, mentre mio padre a quel punto veniva invaso da una specie di delusione, e voleva soltanto tornarsene a casa".
 
 
Pensieri luminosi
 
In questo romanzo ci troviamo a Torino e poi a Grana, alle pendici del Monte Rosa e la storia prende inizio negli anni Ottanta del secolo scorso.
Questa vicenda mi ha fatto pensare alle dinamiche della mente. La prima è quella di Bruno, uno dei protagonisti, che ha un approccio alla vita più lineare, con meno sovrastrutture. Lui è qualcuno che rimane nelle sue tradizioni, nel suo territorio; non lo sfugge, ma con  e per il suo luogo cerca di creare un destino edificante, un futuro concreto. Desidera proteggere la montagna e non la vuole contaminare scendendo in città.
La seconda è più complessa e appartiene a Pietro che per tutta la sua vita cerca chirurgicamente di non lasciare radici nè territoriali nè affettive, relazionali. Il suo è un continuo partire, fuggire. Sembra deciso in modo razionale a perdere dei momenti importanti della sua vita; cerca di mantenersi distaccato, trasformando quello che potrebbe diventare qualcosa di valorizzante come una semplice narrazione fredda di eventi.
Ma i miracoli accadono, ed è in montagna che questa amicizia diventa profonda e scaccia via i respiri affannosi, perchè lassù c'è l'aria pura che ritempra, perchè quella amicizia ha bisogno di quel luogo e quel luogo ha bisogno di quel legame che rimarrà solido nel tempo per un trentennio, diventando completo, costruttivo. I loro sentimenti si traducono in gesti più che in parole. Sì perchè è solo nelle alte cime che si può ascoltare il silenzio, interrotto piacevolmente da qualche campanaccio al collo di mucche al pascolo, si può annusare l'odore intenso del letame, si può osservare la luce tenue che balugina nella notte dentro a qualche piccolo rifugio, si possono toccare innumerevoli fili d'erba e assaggiare un fiocco di neve ghiacciato e puro.
La montagna in questo romanzo è come un percorso nella vita di ciascuno di noi; la sua scalata è la metafora di chi fatica, di chi ci mette impegno, energia, sacrificio e raggiunge una meta tanto agognata nel lavoro, negli affetti. Quando si arriva alla cima, al nostro obbiettivo, la spossatezza e la stanchezza del viaggio sembrano quasi perdere la loro forza e si trasformano in soddisfazione, felicità, perchè si è arrivati al traguardo e ne è valsa la pena.  Così il "mi piacerebbe", "vorrei", "spero di" diventano  risposte concrete e hanno un epilogo soddisfacente.
Trapela così un rapporto intimo con la montagna che però oltre la luce, i pascoli erbosi, i fiori colorati, gli alpeggi, il profumo di resina degli abeti, ha anche un volto cupo nei suoi boschi fitti e impenetrabili dove la luce del sole filtra a fatica, luogo misterioso in cui si nascondono animali selvatici, nelle sue nebbie dense che fanno perdere la cognizione del tempo e dello spazio, nei temporali improvvisi che sorprendono il viaggiatore che si sente impotente  tra la furia degli elementi. La montagna, ancora parlando di metafore, è un padre severo, solitario, silenzioso, ma è anche una madre affettuosa, accogliente, profumata e amorevole.
La montagna viene descritta in modo ammirevole dall'autore, senza retorica, ma con il semplice desiderio di condividere con il lettore la sua bellezza struggente, incredibile, quasi che l'occhio umano non riuscisse a contenerla tutta.
Le otto montagne del titolo si riferiscono ad una storia del folklore e della tradizione nepalese, che pone una domanda che lascio a voi scoprire, come anche il misterioso epilogo che conclude il romanzo.


La mia lampada ha illuminato questa frase:
"La montagna non è solo nevi e dirupi, creste, torrenti, laghi, pascoli. La montagna è un modo di vivere la vita. Un passo davanti all'altro, silenzio, tempo e  misura".



Un po' di luce sull'autore
Paolo Cognetti (Milano, 27 gennaio 1978 - vivente) è uno scrittore. Ha vinto il Premio Strega con "Le otto montagne". Ha studiato matematica all'Università di Milano prima di lasciare gli studi accademici e diplomarsi, nel 1999, alla scuola di cinema di Milano. Nel decennio successivo si dedicò alla realizzazione di documentari a carattere sociale, politico e letterario. Ha frequentato New York per diversi anni tra il 2004 e il 2016, realizzando dei documentari sulla letteratura americana. L'altro luogo dell'autore è la montagna, in particolare la Valle d'Aosta, dove ha trascorso d'estate l'infanzia ed è tornato a vivere dopo i trent'anni.
 
 
Bibliografia essenziale
- "Una cosa piccola che sta per esplodere" (2007);
- "Sofia si veste sempre di nero", finalista al Premio Strega 2013;
- "New York è una finestra senza tende", saggio (2010).



 
 
Lo scrittore Paolo Cognetti
 
 
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